Carne, pesce, verdure da un lato. Olio, sale, salsa di soia il alcuni casi, spezie, aceto o limone, yogurt, zucchero. Una lista della spesa? Nì. Un piatto unico con una certa fantasia? Più o meno. Serve combustibile? Dipende. Grande è la confusione (e la perdita di pazienza) sotto il cielo delle cucine e di chi si diletta a giocare con gli alimenti per provare qualcosa di nuovo. Vale la pena tenere a mente un assunto base: cucinare e cuocere non sono sinonimi. I vocabolari della gastronomia sono imbottiti di plurisignificati in grado di ingannare persino gli esperti. Nomi differenti indicano la stessa tipologia di cottura, i prestiti vengono mescolati vigorosamente, le allusioni e le variazioni di senso sono l'unica cosa che si spreca. Nella dolce confusione delle tecniche di cottura lenta, il termine marinatura avrebbe fatto la gioia di Umberto Eco per la quantità di azioni che riesce a condensare: perché, tanto per cominciare, non è una cottura. Il dizionario etimologico pesca da una nomenclatura antica e racconta come il termine derivi direttamente dal francese mariner, a sua volta nato dal sostantivo mare, per indicare il modo usato sulle navi per trasportare i cibi per mesi senza che questi deperissero.

Cosa significa marinare un cibo? La risposta compilata nei libri offre tante varianti da perdere il filo del discorso. Nel manuale La grande tradizione della cucina italiana (Demetra) la marinatura viene stringatamente indicata come "particolare procedura riservata a carni bianche e rosse, pollame, pesce, ma anche verdura, atta a conferire un sapore particolare o, nel caso della cacciagione, a far perdere ulteriormente alle carni (dopo la frollatura) il sapore di selvatico". Punto di partenza, per quanto non esaustivo, perché non spiega realmente come si fa a marinare un alimento, quali sono gli ingredienti che ne modificano la struttura e il sapore a tal punto da poter parlare di cibo marinato. Per quanto semplificato, può mandare fuori strada chi si appresta a volerla sperimentare. Va molto meglio la descrizione che ne fa da insider lo chef Carlo Cracco in Dire Fare Brasare (Mondadori): "La marinatura è nata come un sistema di conservazione degli alimenti deperibili. Poi col tempo la tecnica è stata affinata e si è arrivati a delle marinature perfette che non servono più esclusivamente per conservare ma soprattutto per elaborare i cibi e trasformarli in piatti incredibili". Gioia e tripudio, ecco finalmente il nucleo centrale: marinare serve, fondamentalmente, per aromatizzare e conservare a lungo i cibi crudi. In parole fisico chimiche, la marinatura agisce sulle fibre degli alimenti tramite elementi che ne modificano radicalmente la struttura. I cari vecchi bucanieri ci avevano visto lunghissimo, pure se di chimica di laboratorio non erano studenti avanzati.

Dipanata la questione, resta da capire quali e quante siano le tecniche di marinatura che ancora oggi aiutano la conservazione e la "cottura" (virgolette necessarie) dei cibi. La primigenia tra tutte è la salamoia, la più antica e conosciuta, che consiste nell'immergere un alimento in una soluzione di sale e acqua. L'aggiunta di spezie o erbe per mitigare i sapori forti è eventuale, in epoca passata non era sempre contemplata. A modificare la tecnica di conservazione fu la scoperta che aggiungere un ingrediente acido alla salamoia poteva aiutare a rallentare ulteriormente il deperimento dei cibi, aprendo la strada all'utilizzo di aceto, agrumi e addirittura di una parte grassa che proteggeva ulteriormente l'alimento da muffe e batteri. Acqua + elemento grasso + acido + sapido + aromatico: innegabilmente è quella che viene di solito identificata con la marinata classica. Quella delle sardine marinate, per intenderci, no?

In realtà, riporta Cristina Scateni in Slow cooking per tutti (Ponte Alle Grazie), bisognerebbe fare un'ulteriore distinzione in marinate cotte e marinate crude, cercando anche qui di non perdere la rosa dei venti e ingarbugliare ancor di più la rotta. Però le marinate cotte vengono concepite per aromatizzare il cibo anche durante la fase vera e propria di cottura, a possono ad esempio contenere del vino ideale da sfumare mentre si cuoce; le crude sono invece un metodo di cottura a freddo di carne o pesce, che si basa su aromi, acidi e particolari enzimi in grado di scomporre le proteine e ammorbidire la struttura dell'alimento. Tutto chiaro? Solo in parte. Si continua a portare avanti l'equazione ingannevole salamoia = marinatura. E la confusione aumenta se si pensa che in alcune regioni con salamoia si indica la soluzione di acqua + sale in cui si mettono le olive, e in altre invece la golosa coppia sale + pepe con cui si massaggiano le cosce di maiale prima del letargo che le trasforma in glorioso prosciutto.

A chiarire una volta per tutte il dubbio ci pensa chef Daniele Usai, una stella Michelin col ristorante Il Tino a Fiumicino (Roma) dove ha impiantato un operoso laboratorio di ricerca sulle tecniche di cottura. "La marinatura nasce sicuramente come una tecnica di conservazione dell'alimento, permette di cuocere senza fuoco e portare avanti l'alimento per più giorni" conferma chef Usai. C'è una luce in fondo al tunnel, per quanto debole: "Tendenzialmente tecniche e ricette variano in funzione della proteina che vuoi marinare, dal tipo di carne o dal tipo di pesce, e anche le verdure. La prima cosa che mi viene in mente è la marinatura sotto sale dei pesci" continua lo chef. L'esempio principe? Il salmone affumicato, che non è così semplice come ci portano a pensare: "Prima di tutto viene marinato in sale e zucchero, perché l'affumicatura da sola non basterebbe a schermare dalla prolificazione dei batteri, anche se il fumo è un antibatterico naturale. Le dosi più comuni per marinare sono due parti di sale grosso e una parte di zucchero: entrambi "tirano via" l'acqua dal prodotto, lo asciugano e inibiscono la proliferazione batterica. Lo zucchero serve a far diventare la marinatura più omogenea, la fa arrivare al centro del prodotto. In funzione di quello che si sta marinando, poi, ci si può divertire a mettere erbe o spezie nella marinatura: nel classico gravlad lax svedese, ad esempio, ci sono l'aneto e il pepe". Quindi no, la marinatura non contempla necessariamente la presenza di un liquido o un grasso. "Quella che descrivo io è una marinatura come alternativa alla cottura e serve per conservare l'alimento più a lungo". Vai con i carpacci di pesce, olè. E per quanto riguarda i vegetali? "Secondo me marinare delle verdure sott'olio è più un insaporire: dà certamente una mano a conservare, perché l'olio scherma l'alimento dall'ossigeno presente nell'aria".

I grandi nemici della conservazione dei cibi, come sapevano bene i primi marinai, sono quindi l'ossigeno e l'idrogeno: per farli durare a lungo bisogna annullare la vita, ossia eliminare le condizioni che favoriscono eventuali cariche batteriche. Potrebbe sembrare un controsenso, date le origini liquide della marinatura, ma c'è un perché: "Con un pezzo di pesce o di carne molto grande, però, è meglio una salamoia". Eccolo, l'essenziale che mancava al quadro completo: "La salamoia è un'altra tecnica di marinatura, uguale al marinare sotto sale bilanciato, ma essendo liquida ti permette di arrivare molto più in profondità nell'alimento". Forse ce l'abbiamo fatta, a suon di esempi pratici riusciamo a chiarire le sfumature. "Per marinare una spalla d'agnello disossata è consigliabile immergerla in salamoia, perché con il liquido il sale arriva prima in profondità. Generalmente le percentuali di sale non vanno oltre il 10%, che è pure già bello spinto: una volta marinato il pezzo di carne così, va asciugato molto bene e va fatto poi seccare, appeso in condizioni climatiche particolari in una cella frigorifera ventilata". E per quanto riguarda quel cinghiale che riposa in ammollo per almeno 24 ore nel vino con ginepro e alloro prima di essere cotto? "In questo caso è più per farlo insaporire". Ah ok. Però un qualcosa di fisicamente ascrivibile alla marinatura c'è: "Sì, serve anche a rendere i tessuti connettivi del cinghiale un po' più morbidi, grazie all'alcol. Ma questa è una marinatura che anticipa una cottura". Finalmente è tutto chiaro: marinare è un termine onnicomprensivo per diverse tecniche a seconda dell'alimento da preparare, e comprende ufficialmente a) marinature destinate alla cottura e b) marinature per consumare i cibi crudi. (Terra, terraaaaa!)

Bye bye lievitati da lunghe attese, facciamo spazio a come marinare il pesce, sistema alternativo per la cottura-non-cottura di un mare freschissimo (e un figurone garantito). Si può sempre provare col salmone affumicato e, perché no, anche un pesce bianco: "Una bella spigola già pulita, spinata e sfilettata ma non privata della pelle, è l'ideale" suggerisce Lele Usai. Indicativamente via libera a tutti i pesci che popolano il mare, evitando solo la tipologia del pesce azzurro che è più a rischio Anisakis se non correttamente abbattuto (ps: l'abbattitura domestica in freezer non è corretta e rovina il pesce, non fatela mai). Con la massima prudenza e il fornitore scrupoloso del pesce giusto, fresco di giornata e a km zero, ci si può mettere alla prova con il pesce crudo marinato fatto in casa seguendo le indicazioni di chef Usai: per un kg di pesce pulito si prepara una marinatura di 100 gr di zucchero (la tipologia è a piacimento a seconda della sfumatura di sapore: demerara, panela, mascobado, zucchero bianco) e 200 gr di sale grosso, cui aggiungere erbe e spezie a piacimento: l'ideale è tenere presente l'eventuale contorno per abbinarlo al meglio. "Quello che si mette nella marinatura deve essere funzionale a ciò che accompagna il piatto, anche per non sprecare nulla" specifica Usai. La preparazione è solo apparentemente rapida, tra gli ingredienti non si può sottovalutare il tempo. La procedura comincia spargendo 2/3 del composto su una teglia, poi si prende il pesce, lo si asciuga molto bene e si appoggia dal lato della pelle sul composto; con l'altro terzo di marinatura si ricopre il filetto, facendo attenzione a mettere una quantità più generosa sulla parte più vicina alla testa, dove è più alto, e meno dal lato della coda dove lo spessore del pesce è minore.

È arrivato il momento del riposo in frigorifero, silenziosa alchimia del freddo che trasforma la carne in sublime e va a braccetto con la matematica del tempo: il rischio è che resti troppo crudo, oppure che diventi irrimediabilmente salato. Come si fa a capire quando il pesce marinato è pronto? Il pesce più grasso può riposare un po' di più, quello magro meglio tenerlo meno: indicativamente intorno alle 3 ore. Ma la tradizione naviga con la poesia del sentimento inteso come sentire il cibo: "La vecchia scuola sosteneva che se stendi il braccio verso l'alto e tocchi la parte vicino alla spalla con l'altra mano, sentirai la consistenza perfetta di una carne al sangue o del pesce sotto sale che non è ancora pronto. Se la stessa cosa la fai sul polso, sentirai la cottura eccessiva della carne o un pesce che è stato troppo sotto sale" racconta chef Usai. Empirico, non c'è che dire. In medio stat virtus: la consistenza giusta è quella dell'avambraccio. Nel dubbio, avvicinatevi pure un filino di più alla spalla.