Danzare tra i lievitati, misurare il burro per la frolla. Poi la pizza fatta in casa, ok. Il pane da curare come cucciolo di casa. Ma il richiamo del pesce fresco, l'acidulo dolce che scivola sul palato, il rito delle bacchette, è irrefrenabile. Come fare il sushi a casa è la domanda chiave che segue a catena (alimentare) tutte le aspirazioni dei cuochi domestici, l'ultima challenge senza resa cui ci si sottopone in mancanza del ristorante kaiten preferito. L'inebriante soggezione data dai maestri di Chef's Table su Netflix, i loro gesti sicuri e affascinanti che incastonano gioielli di riso e pesce, sono un canto di sirene per chi decide di provare il sushi fatto in casa, tentando il tutto per tutto pur di sentire sulla lingua quel sapore che evoca il Sol Levante.

Il primo step è sempre la selezione degli ingredienti che lo compongono: riso, aceto, pesce/molluschi/crostacei a piacere. E inizia il trattato di curiosità sulla storia del sushi, perché se oggi lo si interpreta come sinonimo di freschezza assoluta del pesce, un tempo il riso mescolato all'aceto veniva utilizzato allo stesso modo in cui in Europa si usava la marinatura in salamoia. "Il sushi giapponese delle origini (oggi chiamato narezushi) altro non era che un metodo per conservare il pesce più a lungo, facendolo fermentare con sale e riso condito con aceto" racconta Tim Anderson nel bellissimo libro Tokyo Stories (EDT). La ricetta del sushi fatto in casa è stata codificata dal cuoco di epoca Edo Hanaya Yohei nella seconda metà del '700, con la trasformazione di una tecnica di conservazione in un piatto distintivo a base di riso acidulato e pesce (ancora oggi la parola edomaezushi identifica la preparazione del sushi migliore, realizzato con il pesce che proviene dalla baia di Edo e con metodi tradizionali rigorosissimi). Balzo avanti di un secolo e mezzo, il sushi divenne una rappresentazione sociale, identificato come cibo simbolico della classe operaia e dei disoccupati. Tanto semplice da permettere di nutrirsi senza spendere troppo: un rettangolino di riso con una fettina di pesce fresco sopra, sublime spezzafame.

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Ai giorni nostri, con la fama diffusa dentro e fuori il Giappone, a fare la differenza nel sushi fatto in casa sono sempre gli stessi dettagli. Primo, la ricetta del riso per sushi, chiamato shari in giapponese: uno dei fondamentali da imparare a dominare per la riuscita dei futuri nigiri o di preparazioni più creative. Il riso dovrebbe rispettare queste caratteristiche: perfettamente cotto, perfettamente appiccicoso, perfettamente condito, perfettamente tiepido, con una forma perfetta. La preparazione va calcolata sullo stesso volume di acqua e riso per sushi, che andrà previamente sciacquato a lungo per eliminare qualunque traccia di amido. La ricetta di La cucina giapponese illustrata raccomanda tre bicchieri di riso giapponese e tre di acqua, che per i perfettini delle equivalenze sono 450grammi di riso e 60 cl di acqua, da cucinare in un cuociriso apposito, facendolo poi riposare almeno una decina di minuti prima di trasferirlo in un piatto fondo, meglio se in bambù spesso. (Se il cuociriso non è in dotazione, poco male: una pentola capiente farò il lavoro suo, rassicurano le esperte di La cucina giapponese illustrata Laure Kié e Haruna Kishi, Slow Food Editore). A parte si prepara il condimento per il riso miscelando 50 cl di aceto di riso, tre cucchiai di zucchero e un cucchiaino di sale, che andranno shakerati accuratamente prima di versarli sul riso cotto. Il momento più divertente è poi questo: mescolare il condimento ripetutamente, facendo attenzione a non schiacciare i chicchi, aiuta a far raffreddare più velocemente il riso. Trick di suprema raffinatezza: agitare un ventaglio sulla superficie aiuterà il riso a raggiungere prima una temperatura tiepida, e lo manterrà brillante. Va poi tenuto sotto un canovaccio umido, così che non secchi, in attesa di diventare meraviglia.

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Il riposo del riso, l'ingresso del pesce. Per fare un ottimo homemade sushi occorre un pesce di ottima qualità, e su questo c'è più unanimità che mai. Sì, ma quale è il migliore pesce da sushi? Non esiste. Dipende tutto da gusti, abitudini e disponibilità del mercato. L'associazione automatica sul sushi è il binomio salmone/tonno, qualcuno azzarda polpo e gambero cotto, ma allargare gli orizzonti è un divertimento che guarda soprattutto al pescato locale: filetti di ricciola o cernia, calamari tagliati sottili, vari tipi di crostacei appena scottati o crudi come canocchie e scampi, e perché no qualche azzardo sul pesce azzurro. Unica raccomandazione: il taglio va lasciato a chi sa farlo. Invece di rovinare la preziosa carne di una straordinaria creatura marina, affidarsi al pescivendolo di fiducia chiedendo la sfilettatura alla giapponese è la soluzione indolore. In caso di emergenza anche i supermercati offrono pesce da sushi già tagliato e porzionato, particolarmente comodo. Va tirato fuori solo al momento dell'assemblaggio del sushi.

Altro elemento cruciale su cui riflettere sono i condimenti per preparare in casa il sushi, vale a dire l'alfa e l'omega: salsa di soia e wasabi. Quest'ultimo è parecchio complicato da trovare originale, praticamente fuori dal Giappone se ne trova pochissimo ed è delizioso e costoso in proporzione. Se in etichetta c'è scritto hon wasabi, è quello giusto, anche se in Europa è più facile reperire la pasta di wasabi preparata con l'abbondantissimo rafano. Sulla salsa di soia ci sono capitoli interi a parte: secondo Tim Anderson la più adatta alle peculiarità del sushi fatto in casa è la shōyu, salsa di soia fermentata e invecchiata da dosare con estrema attenzione (e sempre sul pesce, mai sul riso), ma nulla vieta di miscelare diversi tipi di salsa di soia per trovare il sapore più adatto al proprio palato, magari regolandola con poco zucchero e con mirin a piacimento. Esistono in commercio salse di soia di tutti i tipi, a basso contenuto di sodio o senza glutine, più o meno sapide, più o meno dolci. Proprio come fanno i maestri di sushi, eternamente alla ricerca del giusto equilibrio che rende le loro creazioni uniche.

Gli ingredienti ci sono tutti, ora tocca alla tecnica, e le cose si fanno un filino più complicate. Come fare il sushi fatto in casa: practice makes perfect, mai slogan è stato più vero. Ci vorranno pazienza e movimenti calcolati, ma assemblare il sushi è un piccolo impegno che prolunga il piacere di mangiarlo. Una ciotola di acqua salata a temperatura ambiente servirà ad inumidire le mani: si deve prelevare una piccola quantità di riso e tenerla nell'incavo della mano, lavorandola per realizzare una polpettina di forma ovale. Quando sarà compatta, passare con un dito un velo di wasabi sulla superficie, adagiare la fettina di pesce scelto e pressare con indice e medio delicatamente, ma con fermezza, su tutta la lunghezza, in modo che pesce e riso aderiscano bene. Il primo nigiri del vassoietto casalingo di sushi è pronto: una goccia di salsa di soia e via, dritto in bocca.

Ben più complessa la preparazione dei maki che in Italia sono diventati il sinonimo del sushi giapponese, ma a differenza dei nigiri richiedono molta più manualità. Una soluzione rapida è quella illustrata da Laure Kié e Haruna Kishi: in questo caso entra in scena anche l'alga nori, croccante e profumata, che verrà sdraiata sulla stuoia da maki e ricoperta con uno strato di riso. Il condimento prescelto -verdure, pesce crudo o cotto, omelette sottili- dovrà essere steso per largo al centro del riso, come una fascia. Come si chiudono i maki da sushi: tenendo fermo il ripieno con le dita, si solleva il lembo della stuoietta e lo si ripiega sul ripieno, poi si preme per formare un cilindro. Con una mano si arrotola il maki, mentre l'altra tira leggermente la stuoia: si arrotola e si preme, si arrotola e si preme, fino a che non si toglie definitivamente la stuoietta da sotto. Con un coltello affilatissimo si taglia il rotolino in tanti bocconcini uguali, e finalmente si mangia con estremo gusto.