Chi crede che la vita sia un gigantesco intreccio di coincidenze, avvertirà la risata beffarda del destino quando si diverte a shakerare gli elementi del caso a suo piacimento. Se ti chiami Arianna e sin da bambina sei stata rincorsa dalle leggende dell'antica Grecia sul labirinto del Minotauro, su quel disgraziato di Teseo, sul piantare-in-Nasso e la promozione a semidea grazie a Bacco, piombare in un ristorante che si chiama Krèsios significa assurgere all'ultima dimensione metafisica della mitologia onomastica. Tanto per cominciare ad allenarsi un po' con la semiotica e i livelli di significato, che verranno ampiamente stimolati/stuzzicati in una degustazione dal ritmo di soul gioioso, inteso come musica dell'anima ai massimi livelli. Senza il contorno di isolotti mediterranei, però. Il viaggio verso la fucina culinaria di chef Giuseppe Iannotti, classe 1982, instancabile parlantina alternata a sacrosante meditazioni (o meglio, ebollizioni cerebrali), è un'immersione in universi di silenzi e panorami, lento avvicinamento alla luminosa casa di campagna appena fuori paese. Perché, a differenza di tante deviazioni più comode o a portata di treno, a Telese Terme ci devi arrivare apposta. Sulla carta, i motivi per esplorare questo minuscolo paese sono due: il ristorante Krèsios e la libreria Controvento. Stomaco e cervello. Le fondamenta dell'esistenza. Devi volerlo davvero, non è una di quelle tappe di passaggio che costellano felicemente le statali italiane.

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Marco Varoli

Raggiungere il profondo Sannio significa deviare nettamente da tutte le solite rotte del fine dining di provincia, che innervano la ristorazione italiana di alto livello. Mangiare la strada chilometro a chilometro costeggiando la zona nord di Napoli fino nel casertano, per poi passare sotto gli archi dell'Acquedotto Carolino costruito per alimentare le fontane della Reggia, divisione ideale tra la provincia del palazzo reale e quella di Benevento. Ed è un buon vento gentile a mostrare montagne e alberi infiniti, segnando mentalmente tutti i cambi di paesaggio che accompagnano le province e modificano le categorie mentali. Quello che viene raccontato su queste zone è del tutto parziale. Il Sannio è un polmone verde inquieto, strade di curve e qualche buca, punteggiato di colline e campi lavorati. Silenzio e tenacia. Qualche capannone dismesso contro il cielo azzurro, moltissimi casali sgarrupati che non hanno mai beneficiato -forse per fortuna- dell'assetato turismo di lusso. C'è una genuinità generosa, armata di pazienza e sottile ironia, nutrita da racconti di famiglia e dinastie sgretolate dalla modernità. Un'autenticità orgogliosa che si discosta da tutte le cartoline sull'entusiasmo dei napoletani. I sanniti sono di un'altra pasta.

Si vede da Krèsios, infatti. Un ristorante stellato sublime, e con questo giudizio potremmo chiuderla qui, su questo nessuno ha mai avuto da obiettare sin dalle sue prime aperture. Però Krèsios è anche un posto che si traduce rapidamente in luogo dell'anima, il pedaggio che libera di ogni zavorra e al tempo stesso àncora alla concretezza del suolo, un'Itaca desiderata dove lasciarsi andare davvero. L'arrivo da moderni Ulisse con trolley al seguito è premiato da una pace rotta soltanto da rari rombi sulla provinciale antistante. Krèsios non è un posto per tutti, però. Ed è giusto così. Prima si respira l'aria dolce che si insinua sotto il porticato e ci si lascia incantare dal plenilunio sopra la montagna di fronte, poi bisogna drizzare le antenne per captare ciò che questa magica porzione di minuscolo paese del Sud Italia può raccontarti, come una delle formiche in filo di ferro simbolo del laboratorio creativo di chef Iannotti. L'analogia con l'operosità affascinante degli imenotteri è troppo facile da assecondare: lasciamola a chi ha poca fantasia e a chi non riesce davvero ad aggrapparsi, filtrare, fermare la corrente impetuosa di idee e pensieri di Giuseppe Iannotti, algoritmo gioiosamente impazzito cui ogni categorizzazione classica sta più stretta di una camicia sbagliata.

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Marco Varoli

Lo hanno definito di volta in volta creativo, estroverso, all'avanguardia, coraggioso, ambizioso, autodidatta puro, appassionato, testardo. Che se glieli elencassi di fronte, scuoterebbe le spalle con un mezzo sorriso impaziente (di cambiare discorso). Non c'è un aggettivo qualificativo in grado di riassumere da solo, per davvero, chi è Giuseppe Iannotti. Ma in fondo, perché dovrebbe identificarsi in una parola sola? Io sono vasto, contengo moltitudini, scriveva Walt Whitman. Meno prosaicamente, Gianni Togni cantava mi nutro di contraddizioni, che male c'è. E questo è Iannotti, punto. I risultati premiano questa capacità di non autoincasellarsi, rifuggendo dalle definizioni costrittive tanto comode per creare i pantheon di stelle. La cucina regionale rivisitata? Una noia mortale. La cucina di una volta? "La rovina del mondo sono le mamme e le nonne" ebbe a dire a Ein Prosit 2019 a Udine, prima di stordire le gole friulane con quel gioiello di regionalità casalinga che è la parmigiana di melanzane (a sette strati) di sua madre Elvira. Più antitetico di così, più algoritmo impazzito di così, davvero non si può. E per star dietro ad un cervello che non si ferma letteralmente mai ci vuole una squadra variegata e compatta come quella selezionata nella cucina di Krèsios e IannottiLab, il laboratorio creativo vero e proprio, fatta di collaboratori concentratissimi -Eugenio Vitagliano, Livio Improta, Simone Granata, Annamaria Corrado. Osservarli mentre compongono la degustazione di 30 assaggi di là del vetro è una pièce visiva a parte, l'unico audio è lo chef che chiama i piatti, controlla ogni atomo della messa a punto, entra impetuoso in sala con una domanda essenziale per l'assaggiatore: "Non me me frega nulla se ti piace o meno, il gusto è relativo. Io ti chiedo come va, non se ti è piaciuto". L'essenza stessa dell'imparare a mangiare immergendosi in una cucina diversa, di volta in volta, scindendosi da sé per raggiungere l'assoluto del Gusto, maiuscolo e singolare.

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Marco Varoli

Le massime non si esauriscono in frasi dai contorni netti, ma si ampliano nell'accoglienza. "La cosa più preziosa che ci può dare un cliente è il suo tempo", sorride Iannotti, ed è il vero segreto di un ritmo di cena che non cala mai, calcolato al millisecondo, mai incalzante eppure allegro, vivace, sostenuto. Saltano tutte le strutture del pasto, niente antipasti/primi/secondi così come ci si immagina ma una sfilata ballerina di bocconi golosi che risvegliano le papille gustative dal torpore. Ulisse avrebbe viaggiato da fermo tra una selezione di deliziosi fermentati, essiccati, ripieni, agrodolci. Il cestino del pane è uno scrigno delizioso di croccantezza, si sgranocchiano con infinita soddisfazione i taralli della tradizione legati con uno spago simbolico. L'uovo al tartufo è l'astuccio croccante di una bomba liquida di tuorlo morbido, dove sono accolti centocinquanta grammi di prezioso tubero aromatico; la pizza Iannotti version è un gioco di consistenze senza pari, di arriva il gusto assoluto bypassando l'aspetto. La dolcezza dello shock consolatorio è la pastina al formaggino: la cagliata della mozzarella, il formato dei semini di mela, da mangiare rigorosamente nel piatto da bambini con cucchiaino apposito. I bocconi di assaggio compongono i due menu, Mr. Pink e Mr. White, uno più ricco dell'altro, consigliati col wine pairing curato dall'inappuntabile sommelier e maître Alfredo Buonanno, in sala con Danilo Maria De Rosa e Gabriele Rapuano per quella parte metafisica di narrazione che compone e raffina l'esperienza dei piatti stessi. La selezione attenta e curatissima di bottiglie cerca il miglior meglio del mercato, ma nei bicchieri scorrono anche decotti e kombucha perfettamente abbinati ai diamanti di gusto della cucina. A fine serata la tisana digestiva è un plus stellato, non un peccato da anziani con la digestione lenta. Anche perché il giorno dopo la colazione si fa direttamente al caseificio Il Casolare, conduzione famigliare e gentilezza infinita: caffè e mozzarelle ancora calde tra le vigorose rimestate che trasformano la cagliata in palloncini di paradiso. Il Sannio più bello va vissuto così, facendosi traghettare da esperti Caronte che tengono a questo lembo di terra facilmente dimenticato. Prima di chiudere gli occhi nelle camere sopra la sala del ristorante, piccole e curate, ci si sente sciolti da ormeggi e cordami, liberi di viaggiare sulle proprie onde. Consapevoli che da Krèsios il tempo diventa ancora più personale e rigenerante. Pure se c'è troppa mitologia beffarda da cui attingere, e con cui poi fare pace.