Un concetto, due sillabe, infinite possibilità. Verdure, legumi, pesce, carne, spezie, erbe, olio. Densa e compatta sull'orlo del cucchiaio, fluida vellutata monochrome, ristretta in brodo di ispirazione orientale. Appena il calendario marca l'avvio dell'autunno, come fare la zuppa diventa l'urgenza primigenia di ogni chef domestico. Calda, confortante, buona sotto ogni aspetto. Le versioni fresche o fredde per l'estate hanno sfondato poco, escluso il gazpacho spagnolo che regna nel suo solitario primato. N modi e metodi per preparare le zuppe, matematicamente incalcolabili. Esiste una zuppa per ogni umore, gusto, sentimento declinato (di responsabilità?), ricette di famiglia decrittate grafologicamente dalle annotazioni di nonne/i, genitori o zii, suggerimenti presi totalmente a caso, copie pallide di assaggi stellati che solo la testardaggine può portare a replicare nella cucina di casa. La zuppa è lì a scaldare lo stomaco e i pensieri, una colata lavica in ingresso che cancella brividi, freddo e malumore.

La storia della zuppa segna la prima attestazione, secondo alcune fonti, a 25mila anni fa, mentre la prima zuppa della storia sembra essere stata una zuppa di ippopotamo del 6000 a.C., riporta il libro A Curious History Of Food And Drink, scoperta grazie all'analisi delle ossa dell'animale anche se non sono pervenute le coordinate geografiche e temporali del ritrovamento. Gli archeologi e antropologi si spaccano la testa da tempo sulla datazione delle primissime preparazioni culinarie dalla preistoria in poi: la prima, remota scodella di zuppa deve aver davvero reso felice il suo scopritore. Ma è il passaggio del controllo del fuoco ad essere determinante per l'evoluzione umana e del gusto: dalla rosticceria, vale a dire la cottura a fiamma vivo delle prede, all'apprendimento di porre un contenitore pieno di liquido sopra il fuoco per immergerci del cibo, ci sono millenni di (prei)storia. E anche la geografia non aiuta, perché in certe culture e parti del mondo non si è mai parlato del processo di ebollizione per cuocere il cibo, anzi, importato in tempi recenti direttamente dagli europei. In altre, alcuni passaggi sono avvenuti prima: nell'est dell'Asia la ceramica è stata inventata ben prima dello sviluppo nell'area ovest del continente, il che ha portato probabilmente al lento perfezionamento delle cotture in un liquido e ha fissato l'antenato del moderno ramen. Le ricerche vanno avanti e per ora gli archeologi concordano sul datare la zuppa più antica del mondo nel Paleolitico superiore, tra la scomparsa dell'uomo di Neanderthal e lo sviluppo dell'Homo sapiens.

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L'equazione "zuppa = comfort food" è una cultura che abbiamo costruito cucchiaio a cucchiaio negli ultimi cento anni codificati della gastronomia mondiale, specializzandoci sempre di più, o effettivamente è sempre stato così? Difficile rispondere. La definizione di zuppa secondo la Treccani è "minestre in brodo preparate con ingredienti e in modi molto varî, ma servite per lo più con fette o pezzetti di pane tostati o fritti (messi a cuocere insieme o aggiunti all’ultimo momento)". Linguisticamente il lemma viene dal germanico orientale *suppa, che significava letteralmente fetta di pane inzuppato. Nella sostanza del piatto, non è cambiato molto: dalla zuppa di cipolle francese in avanti, sempre di pane bagnato da fluidi più o meno densi si tratta. Ed è proprio al vocabolario tocca votarsi per districare la confusione fermentata intorno al termine onnicomprensivo e al tempo stesso troppo ampio per il concetto/troppo stretto per significato. Da tenere presente per le differenze: la zuppa è una preparazione decisamente densa che mixa ingredienti di tutti i tipi, verdure e legumi e a volte anche tagli di scarto della carne (quelli che non possono diventare stufato, almeno), includendo come all'origine le fette di pane più o meno dadolate/sbriciolate ma rigorosamente abbrustolite. Una menzione a parte la merita la zuppa di pesce, ricetta specifica che nasce dall'esigenza dei pescatori di cucinare in un colpo solo la variegata rimanenza ittica invenduta. Tra le più famose al mondo c'è la bouillabaisse di Marsiglia, da mangiare rigorosamente col risucchio in quelle trattorie equivoche con tre tavoli in croce dove non sai mai se ti stanno ingannando o meno (un po' come Marsiglia stessa).

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Le minestre sono invece sempre liquide e bollenti, un brodo di carne o verdure più o meno filtrato, ma soprattutto contemplano cereali -pasta, riso, orzo, farro- che nella zuppa sono assenti: i tortellini in brodo, gloria della cucina emiliana, sono infatti considerati una minestra (e non è un caso che a Bologna per indicare i primi piatti si usi il termine onnicomprensivo minestre, contribuendo a ingarbugliare ancora di più la comunicazione). Nell'ampia varietà presente, il minestrone gioca un campionato a sé. L'accrescitivo deriva dalla numerosa varietà di vegetali, legumi e soprattutto tuberi che si usano per prepararlo: la sua ricetta base è stata fissata poco dopo l'importazione della misteriosa patata dal Nuovo Mondo, quindi è decisamente più recente (come il suo derivato, il passato di verdure, grande trick per convincere i bambini a mangiarle). Negli ultimi anni l'esplosione delle ricette di vellutate ha determinato un aumento decisivo del consumo del piatto caldo: monoingrediente glamour, cremose e chic, conquistano occhi e palato grazie ai colori meravigliosi dei vegetali che le compongono. Sarà anche il nome, vellutate, che libera la zuppa dall'iconografia di ingressi di palazzi anni 70 saturi di un'indefinito odore umido di brodo. E ce la riconsegna nella sua essenza più minimalista, elegante e confortevole.