Dimmi come mangi e ti dirò chi sei. Ma nell'anno domini 2020 della pandemia mondiale, il più grande gastronomo della storia moderna Anthelme Brillat-Savarin dovrebbe rivedere la sua celebre frase aggiungendo anche dove. Da quando esistono osterie, rifugi, fraschette, dalla notte della ristorazione contemporanea l'umanità ha elevato il mangiare fuori a piacere da coltivare il più possibile. Tranne in rare occasioni, e a partire dal 26 ottobre 2020, quando "le attività di bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie sono consentite tutti i giorni dalle ore 5 fino alle 18, compresa la domenica" come da DPCM del 25 ottobre 2020 firmato dal premier Giuseppe Conte. Una serrata alla convivialità dopo il tramonto finché i numeri dei contagi da Covid-19 non caleranno. Cambieremo il nostro modo di mangiare per adeguarci? Forse sì. Non in modo radicale e non nell'immediato, ma con sottili processi destinati a durare.

Già negli ultimi vent'anni, la ristorazione contemporanea ha accolto cambiamenti al servizio e alla preparazione di piatti. La tradizione delle molte portate è stata relegata alle cerimonie o ai tasting menu dalle porzioni pesate, la suddivisione antipasto/primo/secondo/contorno/dolce ha abbandonato il quotidiano. Oggi si sceglie più facilmente il piatto unico, inteso come completo di tutti i nutrienti e portata a sé. Oppure ci si concede l'indulgenza casuale del brunch, "la scusa migliore per bere alcolici al mattino", ri-evoluzione del buffet gastronomico importato dalla tradizione scandinava dello smörgåsbord. È un fatto inconfutabile che tante abitudini odierne siano derivative e si siano assestate sulla tradizione gastroculturale italiana, stratificandosi con estrema tranquillità.

"La storia del mangiare fuori è una storia di politica, di terrore, di coraggio, di follia, di innovazione, di arte, d'amore e di silenzioso, zelante sforzo" scrive William Sitwell nella prefazione al suo meraviglioso The Restaurant - A history of eating out. "Una storia che può essere spiegata semplicemente studiando gli individui con caratteristiche uniche, le cui passioni e lungimiranza li hanno visti aprire posti straordinari, implementare cucine nuove, o specializzarsi in un modo di servire o uno stile di cibo che ha cambiato la maniera in cui molti di noi mangiavamo". Non si può ancora calcolare che impatto potranno avere quattro settimane di chiusura serale sulla cultura del mangiare fuori, ma già le reazioni di chef e ristoratori, passato il primo momento di sgomento, fanno presagire una marcia innestata verso la voglia di sperimentare. Tre grandi campi di discussione: minore rigidità di orario, nuova destinazione d'uso di locali sempre più multifunzione laddove possibile, menu e cibi che seguono/mixano passato e futuro. Quando non vanno addirittura letteralmente fuori orario, inaugurando la riapertura delle 5 con spritz a Mestre come raccontato da Jacopo Giliberto sul Sole24ore, oppure (ri)portando il bollito misto a colazione come proposto l'osteria gourmet Campamac di Barbaresco.

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In una fase di profonda crisi di certezze incrollabili, è il momento di provare a cambiare. Rieditando dal passato, importando, mixando, rileggendo. La riedizione di un grande classico del turismo è diventata la forza dei restaurant d'hotel, risparmiati dalla chiusura serale, che si specializzano in pacchetti cena + camera offrendo staycation specifiche. "Il fine dining avrà un cambiamento in base alle zone" racconta racconta Riccardo Bassetti de Il Porticciolo a Laveno Mombello, sul lago Maggiore, una stella Michelin con annesso hotel e bistrot. "Qui restiamo aperti la sera solo se i clienti dell'albergo vogliono cenare, siamo fortunati perché qualcuno che viene sul lago dalla città magari c'è. Sabato resterà la serata che va per la maggiore, la settimana ci spaventa di più ma cerchiamo di fare il possibile per il nostro territorio". E il resto d'Italia non sta a guardare: il Rome Cavalieri con le tre stelle de La Pergola di Heinz Beck, l'hotel I Portici di Bologna con l'omonimo ristorante guidato da Gianluca Renzi, la Locanda Don Serafino di Ragusa Ibla offre la combo "cena&dormi" con il ristorante di Vincenzo Candiano, l'hotel Eridano di Sannazzaro de' Burgondi (Pavia) unisce la cena al ristorante 810 dello chef Rigels Tepshi. "Non è una soluzione finale, però non possiamo fare altrimenti: noi abbiamo avuto cancellazioni per il 95% delle prenotazioni" racconta Antonio Biafora di Hyle, resort stellato di San Giovanni in Fiore sulla Sila calabrese, che ha sposato l'opzione combo. "Essendo all'interno di una struttura ricettiva abbiamo potuto fare dei pacchetti comprensivi. Ma non abbiamo voluto svendere le camere con la cena, sarebbe stato come chiedere l'elemosina: è giusto pagare un prezzo equo per cena e camera. La cena non sarà più un'esperienza che termina con la piccola pasticceria, ma con la colazione del giorno successivo".

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L'orologio è costretto a segnare altri orari e la cultura socio-gastronomica viene influenzata, piaccia o meno. L'analisi su come i nuovi orari influenzeranno il nostro modo di mangiare presenta anche esempi inaspettati: a Milano Andrea Berton ha deciso di proporre il doppio turno per il pranzo della domenica, ultima roccaforte della tradizione, segnando le 12 come primo e le 15 come secondo orario. Al 4112, il bistrot di Daniele Usai a Fiumicino, si può andare direttamente per colazione la mattina alle 8 in giardino, a godersi l'aria di mare fino al pranzo, o a merenda fino alle 18. Da Pane e Panelle a Bologna si adatta completamente il menù alle nuove esigenze, riabilitando la sublime bellezza della rosticceria intelligente. Si anticipa o si ritarda la campana del pasto per romperla definitivamente, o forse è semplicemente un'alternativa, un extra, un allargamento ulteriore della forbice che già caratterizza fortemente le differenze Nord-Sud? "Per ora abbiamo optato per un orario flessibile per i clienti, così chi si vuole fermare più a lungo dopo il pranzo, o chi vuole venire solo a mangiare un dessert, prendere un tè o bere un bicchiere entro lo 18, lo può fare. È complesso far capire questa cosa ai clienti, anche perché siamo un ristorante, ed è difficile anche per noi per organizzarci con le linee e con i turni" racconta Stefano Sforza di Opera, a Torino. "Come italiani non siamo proprio abituati a cenare alle 17 o alle 18, come in altri paesi europei" gli risponde Marco Visciola del ristorante Marin di Genova, al porto antico.

"Io la vedo come una possibilità: reinventare la ristorazione e il nostro modo di lavorare.

Resteremo chiusi a pranzo in settimana, un modo per non dare un'offerta in più. La diminuzione delle persone c'è, rubarsi i clienti non fa bene a nessuno e non ha senso farsi una guerra tra ristoratori. Sarebbe stato bello sedersi ad un tavolo e costruire qualcosa di collettivo" racconta Visciola, che ha in progetto un allargamento di orari e menu tra brunch e tapas in chiave marino-ligure. "A pranzo apriremo solo il weekend con dei menu tematici, stagionali, con un prezzo fisso. Delivery no, per ora: lascio andare avanti chi ha un piccolo ristorante e fa fatica. Se riesco a favorire chi non ce la fa... Non ha senso fare tutti le stesse cose. E l'egoismo in questo momento va lasciato da parte".

Ma il vero cambio di prospettiva riguarda le pizzerie, che stanno colonizzando porzioni di giornata dove raramente trovavano posto. Pizza a pranzo, finalmente? "In generale la pizza è considerata un fast food, è difficile farla passare come un'esperienza gastronomica. Raccontare i topping creativi o gli abbinamenti coi vini è difficile" la prende alla larga Denis Lovatel, premiato pizzaiolo della Pizzeria da Ezio ad Alano di Piave, a Belluno. "La pizza a pranzo è una cosa che non si fa di solito, ma ora abbiamo l'occasione e il modo per far capire che il nostro prodotto è qualcosa di studiato. Il pranzo del weekend dà più tempo da dedicare all'esperienza gastronomica. Possiamo crearla, raccontarla, rafforzare il concetto della pizza come piatto completo, valorizzare chi fa qualità. È il momento esatto per queste potenzialità" conclude Lovatel. "Il pranzo del sabato e della domenica diventeranno il nuovo momento di ritrovo, l’occasione che prima era la pizza del sabato sera" si dice convinto Alberto Morello, pizzaiolo della pizzeria con orto Gigi Pipa di Este (Padova) che ha anche la sua personale app di delivery per la zona.

"Siamo di fronte ad un cambiamento culturale che hanno affidato a noi, i ristoratori. Ed è difficile rivoluzionare qualcosa come la tavola e la cultura culinaria in Italia"

fa eco Jacopo Mercuro di 180gr, pizzeria romana nel quartiere est di Centocelle. "Persino a Roma le persone venivano a mangiare alle 19, orario improbabile nella nostra città... Il delivery me lo tengo in caldo, l'asporto è ripartito dal mercoledì alla domenica. Poi pranzo sabato e domenica dalle 12 alle 15, il mio tour de France. Lo devo far funzionare nella maniera più assoluta, l'obiettivo è tenere tutti. Sono carico, lavoriamo, e a fine mese "stecca para pe' tutti", tipo Romanzo Criminale, dividiamo gli utili al netto delle spese. Senza forzature. I ragazzi sono la mia famiglia". Un esempio di locale polifuzionale arriva da Valentino Tafuri della pizzeria 3 Voglie di Battipaglia (Salerno): orari allargati per accogliere il concetto di colazione espressa, sfruttando i frutti del suo laboratorio di produzione, più la normale attività di asporto e delivery della pizzeria. "Ho sempre voluto farlo. Avevo provato con i cornetti la sera e ne vendevamo una trentina, che per una pizzeria era una pariata... Ora produco e porto in pizzeria la viennoiserie: cornetti, sfogliate, girelle, panettoni... La pizzeria diventerà tipo bar, con banco espositivo e sedute comode. Qualunque cosa si ordina verrà farcita al momento, al tavolo, con la crema o le nostre confetture di stagione. Saremo aperti tutti i giorni, sforneremo anche il pane con la farina cilentana". Extra, la possibilità di fermarsi a lavorare in una saletta apposita: "Daremo in uso 4 tavoli nella sala degustazione, con connessione e tutto, per massimo 4 persone. Non so quanto andrà, però qualcuno che fa smart working e vuole venire da me, è coperto. Il locale lavorerà da mattina a sera, e l'obiettivo è tenerlo per sempre".

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La sera è stata relegata a regno di asporto/delivery, anch'esso in un certo senso tradizione antica rivisitata in era millennial con tante sfumature. Di cenare prestissimo, in orario tradizionalmente da merenda, non convince nessuno. "L'esperienza del ristorante è diversa dal far da mangiare. E più che gli orari, cambieranno molto le modalità" commenta Giuseppe Iannotti del Krésios di Telese Terme (Benevento), che ha ufficialmente inaugurato il personale laboratorio di delivery 8pus, studiato per un anno e mezzo sin nei minimi particolari tra cui il packaging. Farsi portare il pasto a casa è un'abitudine evoluta dal passato, diventata sempre più comune durante la primavera di quarantena forzata e rimasta come opzione valida. Secondo lo chef Eugenio Boer e Carlotta Perilli del ristorante [b:ur], dove è la maître in persona a consegnare su Milano i piatti di gastronomia 4.0, l'asporto e gli orari ballerini influiranno sulle abitudini alimentari in maniera relativa. E saranno sempre un ripiego rispetto all'esperienza in sala al ristorante: "Nella mia visione da nordeuropeo, vedo la differenza: adattarsi a qualcosa di diverso è complicato. L'italiano è mediterraneo, ha difficoltà a cambiare le sue abitudini per una questione di carattere storico-culturale. Il delivery lo avremmo riaperto comunque, ci diverte e ci piace, è un bel contatto con le persone: però è diverso. Il ristorante è fatto di tante cose, dalla sala ai ragazzi, la spiegazione dei piatti e la musica, la presentazione del piatto...". Tornare a sedersi a cena, a qualunque orario dopo il calar del sole, per un po' sarà un lontano ricordo.