Prendete un capo a caso dalla sezione intimo in pizzo di un catalogo Postalmarket, stringetelo in un choker da collo tipo Brenda di Beverly Hills (ma di cioccolato fondente) fino a fondere le due cose in un solo semifreddo in abito scuro, i cui ricami di panna somiglieranno alle ruches modeste e orgogliose dello sparato di uno smoking da diciottesimo.

Oggi è difficile spiegare cosa sia una fetta di Viennetta Algida, senza scadere nel languido, a chi non ne abbia mangiata una prima del 2000. Per inverso, la descrizione ufficiale del capolavoro del design alimentare firmato Unilever sembrerà gelida ai viennettisti della prima ora: 360 grammi di "soffici onde di gelato e deliziosi strati di croccante copertura al cacao". Il fatto è che, per quanto gli ingredienti proclamati della Viennetta siano tutti capisaldi riconosciuti della microeconomia dolciaria – dal latte scremato reidratato al cacao magro in polvere – quelli meno palesi, che le conferiscono i retrogusti più intriganti, sono elementi di una grammatica che, per essere compresa appieno, deve essere stata masticata tanto dalle fauci che dall'autocoscienza di una precisa generazione.

All'inizio del 2021 si è tornati a parlare di Viennetta non tanto per celebrare i primi quarant'anni di questa splendida signora che, se dipendesse da lei, non dichiarerebbe di certo la propria età. La notizia è che, dopo quasi tre decadi di assenza, la Viennetta è rientrata negli USA e nel resto del mondo. Il che ha rapidamente generato, da Amazon a TikTok, l'effetto nostalgia – e nostalgia della nostalgia – tipico del revivalismo degli anni Novanta, di cui sembrano nutrirsi molte delle tendenze culturali attuali, anche in settori diversi dalla gelateria. Eppure nel Vecchio Continente – in silenzio, qualche volta colpevolmente, spesso di nascosto – non abbiamo mai smesso di nutrirci, a nostra volta, di questo prodotto dal naming che suona così austroungarico al resto del mondo e che, forse, abbiamo dato per scontato solo perché costa meno di dieci euro al chilo.

Esagerata nelle forme come una spallina anni Ottanta sfuggita a un look grunge di dieci anni dopo, forse la Viennetta non sarà, come scrive in questi giorni, colto dall'euforia da comeback, il magazine americano Eater, "il dolce più fancy degli anni Novanta". Ma è innegabile che non ci sia niente di più contraddittoriamente Nineties del finto lusso rappresentato dalle sue armonie di vaniglia, con la loro ostinata ricercatezza, capaci di rendere ironica la tavola di una gran signora e sontuosa la tovaglietta di uno studente fuorisede; unendo, come tante altre grandi trovate democratiche dell'industria alimentare (una tra tutte: quella del Ferrero Rocher servito in limousine), mondi lontani che non si parlavano se non per interurbana, in genere il weekend, se non c'erano amici a cena o abbastanza budget per una serata.

Il manifesto poetico della Viennetta è da ricercare nel celeberrimo spot televisivo del 1989. Parte in chiave aspirazionale: le luci soffuse del ristorante, le perle al collo della commensale, l'anello tipo Trinity alle sue dita, che tutto sembra aspettarsi dalla vita tranne che di doversi insozzare, di lì a poco, di emulsionanti e addensanti. Ma ogni premessa altisonante viene annullata, improvvisamente, dal gesto di piazzare alla bell'e meglio una fetta di Viennetta dentro una coppa per Champagne. Siamo tutti quella dama di bocca buona dalla paletta d'argento, capace (perfino nel mezzo di una pubblicità anni Ottanta) di far calare il sipario sull'affettazione e l'insincerità e aprire uno squarcio di onestà intellettuale e alimentare. (Al pubblico sofisticato odierno apparirà surreale che un umile gelato confezionato venga servito in un locale apparentemente di lusso. Ricordiamo loro quanti locali veramente di lusso, negli anni successivi, ci hanno servito lo stesso tortino col cuore di cioccolato caldo, e a che prezzo). Un po' come una Lancia Y o una crociera in nave la Viennetta sa essere al tempo stesso l'idea sofisticata di un bene modesto e la materializzazione massificata di un desiderio chic. È, in altre parole, una raffigurazione del trionfo del superfluo alla portata di tutti, che ce lo possiamo permettere, o no: da una parte, le sue rocailles aristocratiche; dall'altra, il suo incarto proletario.

Mentre tra le influencer giapponesi e hongkonghesi, alla Crazy Rich Asians, cominciano a spopolare le nuove palette della Viennetta globalista gusto Neapolitan (vaniglia, cioccolato e fragola), per noi europei sentimentali è oggi più che mai il momento di uscire allo scoperto e di rilanciare un Viennetta Pride che, lungi dall'essere un fenomeno solo zuccherino, può toccare corde intime di un'identità culturale. Come sempre, davanti alle ennesime varianti di un prodotto storico, c'è chi accoglie le novità con l'ortodossia di chi ancora piange il panettone uno, santo e apostolico. Occorre resistere all'istinto di storcere il naso come è accaduto ad alcuni puristi, che hanno giudicato i recenti esercizi di stile dei mastri viennettai un po' troppo acchiappalike, tra coazione al collezionismo e puro decorativismo. Su Panna, Cappuccino, Frutti rossi, Tiramisù, tutti d'accordo. Ma con ChocoNut, Triple Chocolate, Menta, Biscuit Caramel, la rarissima AirChok, non staremmo esagerando? Un tempo rompere la lastra di cioccolato della Viennetta era la versione popolare della famosa perversione per la crosta della crème brûlée di Amélie Pulain. Ora è disponibile anche una Viennetta alla crème brûlée. C'è anche chi lamenta il fatto che nelle Viennette contemporanee il robusto esoscheletro cioccolatoso di una volta sia andato via via assottigliandosi, come le ossa nelle radiografie dell'umanità impigrita nel film della Pixar WALL•E. Per la serie: stai invecchiando se noti le mutazioni genetiche della Viennetta. Ma, se lo stai facendo bene, le accetti. La Viennetta, del resto, è da sempre vissuta del contrasto tra l'assoluta scioglievolezza della panna e la relativa fissità, fino al fatale crack, delle sue lamine opache di cioccolato. Se anche fosse vero che la percentuale di cioccolato si è ridotta col tempo, questo dato non farebbe che aggiungere realismo alla capacità della Viennetta di rappresentare la condizione di spaesamento esistenziale dell'uomo contemporaneo. Algida 1, rosiconi contascaglie 0. Inutile dire che col revivalismo sono aumentati i già innumerevoli tentativi di imitazione della Viennetta. Non sei nessuno nel mondo dei discount se non hai provato a realizzare la tua viennetta con la v minuscola e i riccioli di panna secchi e inerti, ma comunque teneri, come il disegno di un bellissimo paesaggio ridotto a uno scarabocchio dall'ingenuità di un bambino; oppure gonfi e poco raccomandabili, come l'Iron Man riuscito male a quel competitor di Tony Stark: con troppe armi ma, ahimè, senz'anima.

Su Instagram si sta scrivendo una storia dell'architettura delle Viennette taroccate. Ce n'è una giapponese il cui designer ha ingigantito le creste fino a renderle dei contrafforti gotici. La vera Viennetta è sì una lasagna di cioccolato, ma è ellenistica nelle proporzioni. C'è poi la “viennese” su stecco. C'è il cappellino ispirato alle frange della Viennetta. Non si è neppure fatto attendere il fenomeno delle Viennette fai da te. Anche se, a differenza di altri capisaldi della cucina in cui la natura prende il sopravvento sull'artificio (esempio: il Ciocorì fatto in casa), sono tutte destinate a fallire miseramente. Se il Magnum – il noto cugino palestrato del Cremino – è il campione di individualismo tra i gelati Algida, fortuna che la Viennetta – il boss finale di tutte le locandine di gelati al bar – lo è di fruizione collettiva del bene-gelato (anche se non manca chi è in grado di mangiarla in modalità all-in, lasciandone solo il vassoio in plastica con impressa una sindone bicolore).

La vera lezione della Viennetta è nella sua capacità di assecondare il piacere, solitario o condiviso che sia, di una trasgressione retrò da ciò che oggi è lecito, tanto per dieta che per moda alimentare. È una maxi dose di politicamente e organoletticamente scorretto, sempre disponibile nel freezer. Ne comprate una oggi e vi fate una promessa di buona fede che scadrà quantomeno a febbraio 2022. Chissà che in qualche frigo di casa al mare non ne resti qualcuna intatta – dove magari è congelata dal '96 in attesa dell'occasione giusta, dell'affittuario giusto – da rinvenire archeologicamente. Se la trovaste, magari non mangiatela o, perlomeno, non mangiatela subito. Provate a esporla per qualche minuto in salotto o in cucina, come meglio potete: sarà una retrospettiva personale che unisce ieri e oggi con una dolcezza d'altri tempi. Ripartiamo dalla Viennetta. Dimostriamo di saperci meritare quel gelato quasi perfetto, finché non si è sciolto.

Ci sono pochi video più rilassanti di quello, diventato cult, che mostra il dietro le quinte della nascita di una Viennetta, soprattutto se visto al rallentatore e senza il sottofondo techno con cui alcuni youtuber hanno deciso di accompagnare quella ginnastica ritmica del bianco sul nero. Cullati da quel moto pannoso, in grado di assumere la forma dei ricordi, fedele come un guanciale memory, il passato è un piatto da servire semifreddo.