I numeri sono chiari come il vuoto straniante sugli scaffali al supermercato: la vera, salvifica boa comfort food del 2020 è stata la pasta. Spaghetti vs lockdown, maccheroni contro l'incertezza del futuro, fusilli contro il logorio della vita moderna. Nel corso dell'ultimo anno sono state vendute 50 milioni di confezioni di pasta in più rispetto all'anno precedente, quasi un pacco extra per ogni italiano, secondo l'elaborazione di Unione Italiana Food su dati IRI, con punte di acquisto di circa il +40% a marzo e del +10% tra ottobre e novembre. Una seconda ricerca, stavolta di DOXA, rivela anche che 1 italiano su 3 ha sperimentato nuove ricette e modi di prepararla nel tentativo di valorizzare al meglio il piatto preferito. Ma cosa non sappiamo ancora su come cuocere la pasta? In virtù dell'amore rinnovato, i pastai italiani di Unione Italiana Food hanno lanciato la campagna #PastaDiscovery per raccontare, in tre appuntamenti distinti, il backstage che porta in tavola il cibo più rappresentativo/iconico dell'Italia nel mondo. "Sembra una banalità ma è la regina della cucina italiana, a tutti gli effetti. È il vettore più importante della cucina italiana e della dieta mediterranea in tutto il mondo, accompagna la cucina italiana alla conquista dei mercati internazionali, portandosi a fianco tutti i prodotti della nostra industria dai pomodori al formaggio, per la costruzione del primo piatto all’italiana" racconta Riccardo Felicetti dell'omonimo pastificio trentino.

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Il segreto del rinnovato successo? "La pasta è l’alleato principale, non ha limiti di conservazione, o religiosi, l'unico limite è la fantasia. Mette d’accordo tutti, ti dà la democrazia in cucina, fiducia e garanzia di successo" prosegue Felicetti. Alla riscoperta si accompagnano anche le rinnovate necessità di sapere quanti modi ci sono per cuocere la pasta. Attenzione: non si parla di condimento, ma proprio di tecniche di cottura della pasta, texture da ottenere, possibilità che non sono state esplorate. Tempi di cottura, non vi temiamo: forti dell'occhio clinico per la pasta, gli italiani sanno perfettamente quando scolare la pasta anche solo guardandola, al massimo rigirano il mestolo di legno nell'acqua come rabdomanti della consistenza. Di fronte alle pressanti richieste del mercato, però, anche sui tempi ci si sta organizzando: "Ognuno di noi sta cercando di raggiungere indicazioni di cottura che siano abbastanza fedeli. La cottura che va bene a Roma non va bene a Napoli, la cottura pugliese è diversa dalla siciliana. Scrivere un tempo di cottura fedele significa metterne 4 o 5 per tutto il territorio" spiega Felicetti. Qualcuno butta sempre quei tre-quattro rigatoni in più, con la scusa dell'assaggio empirico, ma esistono anche cotture che non contemplano la presenza del palato fino all'arrivo in tavola. L'unica vera regola aurea e amorosa sul piatto più simbolico è semplice:

La pasta non va mai lasciata sola, perché soffre di solitudine.

"La pasta secca, come la tratta l’italiano che cucina, non la tratta nessun altro" ribadisce perentoria la chef stellata Cristina Bowerman, tra le principali responsabili del rinnovato interesse verso la pasta nel fine dining. "Nel nostro DNA abbiamo anche la capacità di sapere esattamente che pasta va con quale sugo, come deve essere cotta e deve essere servita. Il tubetto, la linguina, hanno tipologie di sugo specifiche. La pasta secca rappresenta la cucina italiana a tutti gli effetti" continua ancora la chef. "Ci siamo intestarditi su alcune tipologie di cottura, dimenticandone altre che sono validissime: una delle paste che ci siamo dimenticati è la pasta riscaldata. Ha caratteristiche talmente buone che mio padre si preparava gli spaghetti al pomodoro a mezzogiorno per mangiarli la sera" racconta con un pizzico di genuina aneddotica. Ed è vero: quelli che oggi vengono abbellite come gourmand, tipo la frittata di pasta o i gloriosi timballi al forno, non erano altro che furbissime tecniche di recupero dell'avanzo o attente ricette strutturate dai lunghi tempi. "Oggi ci siamo aggrappati e limitati a tipologie di cottura che sono sempre le stesse: invece ci sono tanti altri modi di cucinare la pasta, non solo quelli in tv o quelli imparati quando eravamo piccoli" prosegue accorata Bowerman. Ok, quindi quanti e quali sono i modi per cuocere la pasta?

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Oltre al tradizionale, ossia la pasta lessata in acqua bollente salata ("Gli italiani notano una pasta che non è stata cotta in acqua salata, ce ne accorgiamo subito della sapidità tra interno e esterno" puntualizza Cristina Bowerman), ce ne sono almeno altri 7 che probabilmente non abbiamo mai sperimentato. E forse manco sentito nominare. Quale momento migliore per far largo alla dispensa e provarci? Cominciamo con le green a basso impatto ambientale: la cottura della pasta in pentola a pressione, inventata dallo chef Davide Scabin, e la cottura passiva. La prima si fa con una proporzione di 100 ml di acqua per 100 grammi di pasta per 11 minuti dall'inizio della messa sul fuoco, e non importa se non fischia. La seconda, invece, permette il risparmio sul combustibile: si porta l'acqua ad ebollizione, si cala la pasta con cura, si contano 2-4 minuti e si spegne, lasciando la pasta ad assorbire l'acqua per il tempo indicato sulla confezione. O quello che, conoscendo il formato e la marca, sappiamo essere d'istinto il nostro preferito. Diverso il discorso della tempistica della cottura risottata, presa in prestito dalla preparazione del classico risotto, come spiega chef Bowerman: "Se la cuociamo in acqua saranno 8-9 minuti a spaghetto, ma se facciamo la cottura risottata ci può volere molto più tempo". La cottura risottata è perfetta per preparazioni poco corpose, come il classico spaghetto alle vongole, e va fatta con la massima accortezza perché si formi la cremina meravigliosa che fa venire voglia di scarpetta immediata. Molto simile è la one pot pasta, amata dagli americani per risparmiare sulle padelle da sporcare: tutti gli ingredienti in un'unica pentola, con un litro e mezzo di acqua ogni 200 grammi di pasta (che va per ultima), e quando l'acqua sarà evaporata sarà pronta. Esiste poi la cottura espressa, apprezzatissima anche nel quotidiano e in molti ristoranti, con la pasta che salta per gli ultimi due minuti di cottura direttamente in padella. Chef Bowerman è d'accordo su questa fino ad un certo punto: "Non è necessario sempre saltare, perché l’italiano mangia la pasta calda. Quando la salti è più semplice, prendi tutto il condimento da sotto, ma non deve essere fatto in modo eccessivo. Si fa perché è molto scenografico e perché i grassi raffreddandosi danno cremosità. Ma va saltata con moderazione: alcune cotture non hanno bisogno di essere saltate" prosegue la chef. Altro mondo la cottura al forno tipica di molti timballi, dove la pasta si mette cruda e assorbe tutto l'abbondante liquido del sugo, le la cottura a campana che è la salvezza assoluta per preparare una ottima pasta fredda, specialmente d'estate. In questo ultimo caso la pasta, meglio in formati piccoli e corti, cuoce per 2/3 del tempo necessario, poi viene scolata, trasferita in una insalatiera larga e sigillata con pellicola, che creerà una camera di calore e umidità perfetta per terminare la cottura. Ma quando la pasta supera irrimediabilmente il tempo di cottura - per distrazione o manifesto abbandono, crudeli che non siamo altro - come si recupera? Cristina Bowerman suggerisce la pasta soffiata: "La soffiatura avviene per l’umidità che resta dentro la pasta, come per il pane: con la pasta scotta è perfetta". Oppure si opta per un passaggio brutale in padella, con olio e condimenti vari, simulando quella che la chef chiama la pasta all’assassina: "Si fa a Bari, con pomodoro molto piccante, e si ripassa a temperatura altissima in una padella che deve quasi bruciare". È proprio vero: della pasta non sappiamo niente. Almeno, non ancora tutto.