A compilare la word cloud dell'intervista a Elide Mollo chef del ristorante Il Centro di Priocca, nella profonda provincia di Cuneo, alcune parole tornano come onde lente di marea affettuosa. Sono parole che fissano concetti nobili e luminosi, pieni di universi e probabilità inesplorate, con quel tocco amaricante di rimpianto che solo chi ha vissuto vite lunghe e dense riesce a distillare. È un lessico famigliare che avrebbe fatto la gioia di Natalia Ginzburg se solo avesse voluto raccontare una saga diversa dalla propria, un dizionario di personale approccio ad un'esistenza che è cambiata in maniera umanamente naturale nel corso del tempo. La voce lieve della chef entrata in cucina per amore (del marito Enrico Cordero, con cui ha avuto i figli Giampiero, in sala come sommelier, e Valentina che vive in USA), poi diventata appassionata custode e innovatrice di una tradizione apparentemente inscalfibile, punteggia di dolcezza i ricordi dei suoi inizi, i sacrifici, e quello che ha strutturato i suoi quasi 40 anni di carriera.

Come sei arrivata alla cucina?
Non è stato per scelta mia. Mai e mai avrei pensato di voler cucinare, era l'ultimo dei miei pensieri. Quando ho conosciuto mio marito facevo tutt'altro lavoro. Lui aveva questo ristorante dove lavorava solo di sabato e di domenica, io facevo la cameriera nel weekend. Ho detto "se riusciamo a coltivare questo futuro insieme, la nostra vita, io continuo il mio lavoro e poi nel weekend lo aiuto", allora si lavorava molto come bar. Poi la consapevolezza di vedere e capire che c'era bisogno di dare una mano, ma non voleva dire fare la cuoca. All'inizio piccoli passi, sempre come cameriera in sala, poi sono subentrata ai dolci e ho imparato a fare la pasta come facevano le vecchie donne di langa, ma sempre senza pensare di lavorare in cucina. Senza che me ne accorgessi la cucina è diventata una passione, mi piaceva, avevo bisogno di conoscere e sperimentare. Oggi non potrei farne a meno.

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In un'intervista hai dichiarato "Ho sposato il ristorante e mia suocera": impegnarsi così in una tradizione così forte non deve essere semplice...
È vero... Quando le donne fanno dei progetti di vita, pensano di costruire un futuro col proprio marito. Certo, c'è il lavoro, ci sono altre componenti, ma il nucleo famigliare è la cosa più importante. Nel momento in cui mi sono sposata e mi sono ritrovata in questa situazione, l'ho fatto un po' per necessità. Al lavoro eravamo io, mia suocera (Rita Brignolo, storica ostessa e cuoca) e mio marito. Le ore di lavoro erano formate da noi tre, finito quell'orario c'era la famiglia ed eravamo ancora noi tre, e poi sono arrivati i figli. Ho sposato mio marito, il ristorante e la suocera. Per tanti anni abbiamo vissuto pienamente, 24 ore al giorno, tutti insieme. È stato gratificante ma molto, molto faticoso per tutte le parti, una bella sfida: è già difficile pensare di far funzionare bene un rapporto tra marito e moglie, noi dovevamo far funzionare la nostra famiglia appena creata nel poco tempo che restava, far funzionare il ristorante, e far stare in piedi anche il rapporto con mia suocera. Era un matrimonio su più livelli. Ma i risultati, con impegno, costanza e volontà, si sono visti.

Sul sito del ristorante non c'è la voce "staff" ma c'è la voce famiglia: è una parola che ricorre spesso...
È sempre stato così e io non riuscirei a pensarla in modo diverso. Da quando sono subentrata, siamo stati una famiglia che lottava per il lavoro e per la vita quotidiana. I figli hanno comunque contribuito al lavoro del ristorante, anche mia figlia che ora non vive qui con noi ma fino ai 24 anni ha sempre collaborato e dato un mano con piacere. Ad oggi non saprei come fare senza mio marito, e lui senza di me. La nostra unione fa la forza, ed è quello che ci fa andare avanti.

Per noi, il lavoro è famiglia.
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Oggi si parla molto di tradizione e innovazione, spesso in antitesi come se non potessero convivere insieme: con una cucina così radicata come quella piemontese e quella del Centro, come ti poni?
Secondo me non può esistere una cucina innovativa, con tutte le tecniche, se prima non si conosce una cucina di tradizione. Si deve essere capaci a fare una cucina di tradizione, e tradizione vuol dire tante cose: conoscere la materia prima, la stagionalità, la provenienza, il prodotto... Io sono nata in campagna, i miei erano contadini e ho vissuto questo entusiasmo di raccogliere la verdura, la frutta: ci sono nata lì dentro, per questo sono legata alla tradizione. Deve essere viva, presente. La cucina, col passare degli anni, è un evolversi, non si può fermare: non è che uno arriva, fa un piatto ed è finita lì. Un prodotto si può valorizzare con varie cotture e impiattamenti, ma i gusti devono rimanere della tradizione. Bisogna riuscire a far sposare la tradizione e l'innovazione, legare queste due parole, e allora sì che si può spaziare e far conoscere la propria identità di cucina. Io non condivido l'essere sempre di rottura: si possono fare cose estreme ma non so fino a che punto una cosa lontana dalla tradizione possa avere un percorso nel tempo.

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Dopo tanti anni in cucina, c'è qualche rimpianto?
Sempre lo stesso: non ho dedicato abbastanza tempo ai miei figli, che hanno dovuto adattarsi a tante situazioni. Il mio desiderio più grande è fare una vacanza noi quattro, anche solo una settimana, dove stacchiamo i telefoni e tutto quanto, e ci viviamo il tempo insieme, una passeggiata, una pizza. Le cose semplici, fatte insieme noi quattro.

È un desiderio comune delle madri...
Mi ricordo soprattutto quando erano piccoli, quando Giampiero aveva appena due anni: se si svegliava, lo mettevo dentro una coperta e lo portavo in cucina con me, lo tenevo sui tavoli vicino. All'epoca era diverso, oggi è impensabile una cosa così. Finché non tornavo su in casa, a mezzanotte o alle due, lui dormiva sul tavolo dentro la coperta. Perché lui diceva voglio la mamma, ma la mamma lavorava e a quell'ora la babysitter non c'era più. La mancanza di tempo con la famiglia, i miei figli, è il mio rimpianto.

Cosa ti senti di dire ai futuri chef?
Se la loro passione è veramente cucinare, devono sognare in grande e non si devono arrendere. Avranno tantissimi ostacoli, intoppi, delusioni, ma non devono mai mollare. Se un domani avranno una famiglia, però, dovranno rinunciare a qualcosa: e sul piatto della bilancia o è il lavoro o è la famiglia. A quel punto bisogna decidere a cosa rinunciare, perché è impossibile mantenere tutto insieme. Io ci ho provato con molta fatica, e oggi ho questi sensi di colpa verso i figli: magari qualcuno riuscirà a farlo bene.