È un ringraziamento impetuoso a brillare sui saluti finali dell'intervista alla chef Marta Grassi del Ristorante Tantris di Novara, in una pigra mattina di fine marzo. "Grazie per aver scelto chef donne, tanto. Spezzo sempre una lancia: l'Italia è il paese con più chef stellate donne d'Europa. Siamo stufe di maschi primedonne, vogliamo che vengano valorizzate le donne perché siamo uguali, ma lottiamo il doppio per essere considerate" proclama la stellata novarese. Ex insegnante di scuola materna e nido, provetta sciatrice, è battagliera per sé, le colleghe e tutte le donne in generale. "Noi siamo messe male, finché non avremo una Presidente della Repubblica donna... O una premier donna, ma quanto mi piacerebbe! Decisa, energica, noi che sappiamo fare tre lavori insieme, governiamo tutto e non ci lamentiamo mai... Altro che uno stato" conclude con un sorriso. Dal 1993 nutre la filosofia felicemente innovativa del ristorante, che all'apertura suonava totalmente anticonvenzionale. E pure un filino kamikaze. La ristorazione della città piemontese era tradizionalmente divisa in due dalla soglia delle cinquantamila lire. Sotto, osteria o trattoria; sopra, eri troppo caro e non per tutti. La sfida partì da quella cifra e da una caparbietà che continua a fare scuola: i nuovi progetti di Marta Grassi e del marito Mauro Gualadris (che si occupa della cantina e della sala) sono la quintessenza della tenacia, della curiosità, dell'azzardo. "D'altronde siamo Toro e Leone" riecheggia lontana la voce del sommelier mentre la chef raggomitola i coloratissimi fili della sua esperienza.

Da dove viene Marta Grassi?
Dalla curiosità. La cucina mi incuriosiva ma io facevo un altro mestiere, ero insegnante di scuola primaria e asilo nido. La curiosità per gli elementi mi interessava, mi appassionava: ho iniziato a fare un percorso mio, però non mi soddisfaceva. Era fine anni Ottanta, non c'era tutto quello che c'è adesso per la cucina: cercavo corsi che mi dessero qualcosa di più. A Novara, in provincia, non c'era assolutamente niente; a Milano ho trovato delle scuole di cucina ma erano corsi per madame ingioiellate, il passatempo delle signore... Io ero più concreta. Sempre stata così: quando mi nasce un interesse per qualcosa, devo andare alla radice del problema finché non metto in gioco me, i miei affetti, le sensazioni. Devo arrivare, sono una zuccona.

Sostanzialmente sono una donna. Piedi a terra e testa che va dove vuole, che porta sempre bene.

E dopo i corsi di cucina da sciùre?
Uno degli chef ci dava i compiti a casa e io stravolgevo completamente cotture e proporzioni. Alla fine mi disse "ma non ha mai pensato di aprire un ristorante?" Porco cane, no che non ci avevo mai pensato! Mi ha messo la pulce nell'orecchio. Con mio marito abbiamo cominciato a pensarci, avevamo due bei lavori, lui aveva un'agenzia di viaggio, e non avevamo bisogno di niente. Mentre iniziavo il percorso di cucina, mio marito iniziava quello del vino: qui a Novara c'era un enotecario molto avanti per il periodo, Alberto Vivian, che ci faceva incontrare produttori di per far raccontare come lo facessero. E non erano solo persone che facevano il vino, ma avevano fatto della loro passione la loro vita, avevano scelto questo per amore, trattavano il vino meglio dei figli. Passava un messaggio che colpiva. Mio marito, che pure è un bel testone, ha cominciato a studiare da sommelier. Vivian aveva fondato un'associazione di enoteche, la Vinarius, lui allargava il giro ma pure le nostre menti".

marta grassi chefpinterest
Courtesy/brambilla_serrani

Comincia a ridere con uno scroscio argentino da ragazza divertita: "Intanto io facevo mega cene a casa mia e i miei amici si rotolavano dalla gioia, perché mangiavano cose incredibili... Ricordano tutti la cena dei 30 anni di mio marito, dove ho fatto cose mirabolanti. E avevamo una casa piccola, quindi una volta messi seduti stavano fermi, non si potevano muovere, solo mangiare" sorride ancora. La voce di Marta Grassi ritorna seria mentre rievoca i grandi maestri della sua formazione: "Sono stata da Angelo Paracucchi: mi ha aperto un mondo. Mi ha fatto capire l'importanza del cibo, l'amore per le materie prime, diceva che quando l'acqua bolle troppo in fretta, le bolle diventano proiettili sulle verdure. Aveva un'attenzione maniacale per tanti piccoli particolari. Poi ho fatto un giro da Gualtiero Marchesi al Bonvesin, e lì ho capito: cucinare mi piaceva troppo. Dovevamo farlo. Trovato il posto, che aveva chiuso da un paio di mesi, abbiamo acquistato la licenza (all'epoca era così) e ci siamo messi sotto. Mia suocera diceva "eravate due signori, ora siete due tapini": la vita del ristoratore è di tanto sacrificio. Se vuoi stare sopra le righe, fai banchetti e matrimoni per lavorare tanto e bene; ma se vuoi fare ricerca, devi farlo col cuore. E noi abbiamo scelto questa strada. Quando ho preso la stella sono andata a festeggiare da Marchesi che mi ha detto "ma tu sei matta, non hai idea di quello che farai ora". Io dico sempre che la cucina è grande, le scelte non sono mai sbagliate, c'è posto per tutti con le proprie peculiarità.

Tra poco festeggiate anche i 30 anni del ristorante.
Non ci penso nemmeno, non ho nessun traguardo. Dico sempre che finché, quando mi sveglio la mattina e sono ancora nel letto, penso a cosa posso fare di diverso, di nuovo di bello, per caratterizzare un piatto e valorizzare un elemento, allora scenderò in cucina. Se invece mi sveglio e ho voglia solo di andare a sciare, allora stacco la spina e vado a sciare (ride).

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Courtesy/brambilla_serrani

Novara non ha la fama di città molto aperta. Quale è stato il rapporto con la città per un locale di ricerca, e cosa significa reinterpretare una tradizione anche molto rigida?
È una città di provincia. Ma soprattutto siamo molto molto vicini a Milano, in 2o minuti di autostrada sei arrivato, ci si sposta a Milano per qualunque voglia: università, andare a cena fuori, comprarsi le scarpe, andare al museo... La mia amica gallerista di Novara mi dice sempre: "Questo quadro, qui non lo vendo. Lo porto a Milano, e il mio cliente di Novara va a Milano a comprarlo". È un'abitudine. Nascere qua non è stato facile perché noi ci siamo collocati in una fascia alta, non da osteria. Le città piccole sono provinciali, dicevano tutti che non eravamo niente, e non potevamo essere niente perché non avevamo i genitori che facevano questo mestiere. Ora siamo fortunatamente più aperti, hanno tutti capito che siamo uguali, con le stesse esigenze. Noi donne di Novara abbiamo lavorato tanto per portare avanti i diritti, rivendicare i ruoli giusti nella società. Adesso a Novara ci sono due ristoranti stellati e ci fa onore e piacere: vuol dire che c'è interesse. La gente comincia a capire che magari spendi un po' di più, ma...

Io cerco di farti sognare.

Poi facciamo anche un gran lavoro sulle tecnologie: bisogna affidarsi a chi ha più testa di noi, chi ha creato le macchine per aiutare, facciamo prove e tentativi. Gli essiccatori ci aiutano per l'erbario, gli estrattori aiutano a non sprecare nemmeno le parti centrali del cavolfiore, si possono usare nei brodi o miscelati agli alcolici per fare entrée... Quando compro un bel pezzo di carne da un bravo macellaio, io non lo devo rovinare quel prodotto. Dico sempre: una mucca è morta per il nostro piacere. Io devo onorare anche questo, dare il meglio di quel pezzetto di carne.

È una questione di rispetto nei confronti del cibo e della materia prima?
Sì. La cucina adesso è anche questo, è tecnologia e ambiente. Abbiamo installato i pannelli solari perché di energia ne consumiamo tanta e non possiamo pensare di usare solo quella fossile: con quei soldi lì ci avrei fatto una bella vacanza, ma ho preferito fare questo lavoro perché ci sembra corretto per i nostri nipoti. Nel nostro erbario, dove usiamo terra biologica e niente pesticidi, stiamo attenti ad ogni pezzo, abbiamo tanti tipi di aromatiche e fiori, violette, nasturzi, borragine: ci servono per cucinare ma anche perché attirano le api. Ho piantato due lavande giganti solo per le api! Ora che inizia la fioritura del ciliegio, c'è un mondo di api attorno ai ciliegi, è magnifico.

Avete assorbito quella filosofia dei vignaioli che avevate conosciuto all'inizio...
Abbiamo cercato di far nostro l'amore e la passione per quello che facciamo. Purtroppo non possiamo tornare indietro: sbagli sulla natura e il cibo ne sono stati fatti tanti. Dobbiamo tenerne conto e cercare di migliorare. I piedi per terra, e gli occhi che guardano avanti: tutto quello che ci può offrire la tecnologia va studiato, imparato, valutato, senza dimenticarci da dove veniamo.

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Courtesy/brambilla_serrani

Visto il trascorso da insegnante, una domanda pedagogica: c'è bisogno di rieducare a mangiare davvero in maniera consapevole e sostenibile?
Io due parole con i miei clienti le faccio sempre, cerco sempre di far passare dei messaggi di sostenibilità: questo è il futuro. Mi capita di vedere carrelli al supermercato pieni di ogni ben di Dio, quando vedo che la gente compra delle cose così stupide che può produrre a casa facilmente... C'è tanto bisogno di far passare questi messaggi. Non devi avere il frigorifero pieno per essere felice, bisogna leggere le etichette. Adesso ci sono le etichette energetiche, e vanno lette. Se compri per abitudine, non guardi a biscotti o altro cibo con farine biologiche, grassi diversi, dove è stato fatto un certo lavoro. Leggi gli ingredienti di un succo di frutta e ti viene un colpo, se metti quattro fragole in un frullatore fai il succo di frutta... Anche lo spreco non deve esserci: io cerco di far passare questo discorso quando parlo con le persone e quando faccio i corsi di cucina per le signore. Alcune mi dicono che sono terapeutici, loro si scaricano e stanno bene, meglio che andare dallo psicologo!

Prima ha detto una cosa bellissima: gli occhi devono guardare avanti. Dove guardano gli occhi di Marta Grassi?
Al cercare di stare bene, essere felici, e dare questa felicità a chi si siede al tavolo. Sembra semplice, ma significa ricerca. Noi cerchiamo per primi di essere felici assieme ai ragazzi che lavorano con noi, con i quali ci vediamo anche al di fuori delle ore di lavoro perché non ci basta. Andiamo anche in montagna insieme, li aiutiamo e sosteniamo da tutti i punti di vista. Hanno tutti figli, tiro fuori anche la mia parte di conoscenza dei bambini. Noi cerchiamo di essere il più tranquilli e felici possibili in questo tempo pesante in cui siamo chiusi, cerchiamo di fare esperimenti anche nel tempo di riposo, migliorarci e studiare nuove proposte. Le esigenze dei clienti sono cambiate. Voglio far passare sottotraccia nella ricerca anche queste cose, di modo che quando torniamo ad essere normali, cerchiamo ancora questa felicità nascosta. Dobbiamo essere creativi ma rigorosi per il piacere di chi si siede a tavola, per dare la felicità.

Abbiamo tutti più bisogno di chiarezza, di affetto, sicurezza.