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Malgrado siano passati diversi millenni, il fascino dell’Antica Grecia e Roma rimane inalterato ancora oggi. Sarà per la storia studiata sui libri di scuola, le leggende narrate e cresciute poi negli anni dietro i grandi imperatori e re; sarà per gli scrittori e poeti i quali sono riusciti, attraverso l’uso delle loro eloquenti parole, a creare delle saghe vere e proprie, nonché descrivere minuziosamente le prodezze di divinità, eroi e popoli. Da Omero a Virgilio, con Achille ed Enea, passando per Giove e Calipso. Così, per citarne alcuni, tanto non si può sbagliare: tutti vengono enunciati in versi e capoversi. Nascono così opere letterarie dedicate al mito. Ma la mitologia non riguarda solo le grandi popolazioni. La sua forza è tale da immergersi anche in aree geografiche più piccole. Tipo la Val Camonica, in Lombardia, conosciuta ai più per le incisioni rupestri che la circondano. In pochi infatti sanno che la valle detiene il Badalisc, una figura del mito. Un essere mitologico dagli occhi rosso Merlot e dalla silhouette simile a quella dei serpenti, che vive nei boschi, dove ogni anno viene catturato nel periodo dell’epifania da un gruppo di giovani e portato in paese, per poi essere liberato il secondo giorno, alla fine di un discorso celebrativo e di un ricco banchetto. Suona proprio come il modus operandi dei simposi platonici, a base di buon cibo e vino. È la cantina Antonio Ligabue, situata proprio in Val Camonica, a dedicare alla figura mitologica un vino rosso, il Badalisc. Ça va sans dire. Un nettare pregiato, la cui bottiglia, etichetta, metodo di creazione esprimono l’eccellenza e i valori dell'azienda agricola ma non riescono a comunicare sufficientemente bene il gusto, ciò che accade quando lo si beve: si entra in un altro mondo enologico. Si giunge direttamente ai piedi di Dioniso: il palato viene lambito da un’elegante acidità che però non persiste, dando un lascito intenso, di grande presenza. Insomma un mito da degustare, fare proprio. Da indossare, idealmente.

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Come fanno copiosamente gli abitanti di Atene, delle isole greche, di Roma e dei territori limitrofi giustapposti a quelli che la Capitale va a conquistare, sotto l’egida dei suoi grandi eroi ed eroine. Tutti, sia in periodi di pace che di battaglie, hanno in comune due elementi: il vino e l’adornarsi con i gioielli, senza particolari distinzioni di sesso. Uomini e donne, infatti, usano indossare orecchini, anelli, bracciali, spille e collane in egual modo. Prediligono l’oro, senza disdegnare pietre importanti e altri metalli, oggi di gran gusto, ma all’epoca considerati poveri, come il bronzo ad esempio. Quale sia la scelta, in comune hanno l’essere frutto di sapienti lavorazioni artigianali. E dalla manualità, oltre che dalla passione per il concetto di fatto bene, vengono alla luce le bottiglie di Ligabue, compreso il Badalisc. La storia della famiglia è recente, non come l’epopea di Artemide o il mito di Amore e Psiche. Risale infatti al 2003, dalla passione di Fausto Ligabue per il vino, per la natura e l’amore verso suo figlio Antonio. L’azienda agricola diventa sigillo di un atto d’affetto e una promessa di creare solo vini buoni. Per la cronaca: il motto dell’impresa naturale è: “La vita è troppo corta per bere vini cattivi”. E, si potrebbe aggiungere in questo caso, per adornarsi di monili privi di bellezza. Forse è per questo motivo che le popolazioni antiche non si limitano a uscire di casa solo con un paio di orecchini, aggiungendo alla coppia bracciali, spesso sul braccio, anziché sul polso. Tra l’altro, a proposito della forma del Badalisc, spesso questi bangle hanno proprio la forma di serpente. Il motivo risiede nella tradizione del mito: pare infatti che il rettile sia simbolo di protezione del focolare domestico. Ecco perché sono le donne ad apprezzarlo di più quando s’ingioiellano. E la casa è anche l’origine e dimensione del Badalisc.

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Un Merlot - sì, esatto, proprio l’uva che dà il colore rosso vivo agli occhi del mito camune - risultato di una macerazione a contatto con le bucce a tino aperto per 7 giorni, senza aggiunta di lieviti, di anidride solforosa e altre metodologie chimiche. Dopo la torchiatura (lavorazione che ha lo scopo di recuperare il mosto), matura 48 mesi in tonneau da 400 litri di quinto passaggio. E chissà quante ore di lavorazione impiegano i mastri orafi dei tempi che furono per creare preziosi ora ammirabili nei musei. Soprattutto se si pensa che alcune fanciulle spesso e volentieri indossa collane lunghe due metri, le quali vengono poste intorno al collo, incrociate sotto il seno e fissate sul dorso. Dipinti e affreschi docet. Insomma, non proprio dei sottili girocolli. La gioielleria del mito è senza compromessi. La stessa filosofia adottata dalla Antonio Ligabue, azienda agricola, la quale con vanto racconta di come le viti vivano benissimo assieme a "fiori e innumerevoli varietà di erbe che in compagnia di alberi e siepi, che circondano la vigna, contribuiscono a creare un ambiente armonioso, grazie anche all’aiuto di animali e insetti". Così, tra il mito di Bacco, del gioiello antico e del Merlot Badalisc, la natura viene ancora una volta celebrata, nel rispetto della tradizione e di un passato che può ancora insegnare qualcosa.