E dire che di cose ne ho superate. Semafori padovani (ipotizzavo i secondi che mancavano perché s’illuminasse il pedone verde e, se indovinavo, significava che quel giorno gli attacchi di panico

Vita perfetta vs vita imperfetta

Due sere a settimana, alle 20 e 30, dopo tutta una giornata di lezioni e attacchi di panico, riempivo un bicchiere di acqua naturale e lo appoggiavo sul panno verde del tavolino da gioco del soggiorno – Nataša arrivava sempre molto assetata – nell’attesa di ripassare lettere dell’alfabeto cirillico (Dio benedica la Rivoluzione che l’aveva semplificato al prezzo di qualche milione di morticiattoli!) e il funzionamento degli aspetti verbali in russo. Il perfettivo e l’imperfettivo. Il primo riguarda il futuro e il passato e caratterizza un’azione singola, puntuale e conclusa: perfetta, appunto. Il secondo si usa soprattutto al presente per esprimere ripetitività e non conclusività. Mentre Nataša – giunonica, bionda e ottusamente malinconica come vuole lo stereotipo – assicurava che ero “brilllante” col suo fiato di boršč (leggi: cavolo rancido), io pensavo a quanto fosse orribile la mia vita sommamente “imperfettiva”, a come solo il successo accademico, un harem e, forse, la lobotomia, potessero condurmi all’immobile pace del “perfettivo”. Finché lei invece di Gastone non mi chiamava Gaztone, sussurrando, con lo stesso sorriso che doveva utilizzare per i malati di Alzheimer. Allora io venivo ricondotto alla realtà, che nello specifico consisteva nella mia stentata lettura di fiabe russe incentrate su Ivan lo sciocco. L’eroe del folklore slavo sconfiggeva streghe e mostri grazie alla sua ingenuità disarmante perché, semplicemente, non si poneva problemi. Capivo che invece io sarei stato trucidato a colpi di manico di scopa dalla prima fattucchiera.