Nonostante continuassi a tradirla, ancora non mi decidevo a lasciare Emma. Era il momento di chiedere la tesi e di distrarmi con note a piè di pagina e refusi da correggere. Mi proposi a Raffaella Pitti, docente di letteratura russa contemporanea. Aveva il tipico approccio degli specialisti. Dei filologi, in questo caso. Sono miopi. Si concentrano su metatesi qualitative e crasi vocaliche e perdono del tutto di vista che le lettere che stanno adorando sono stampate su cellulosa ottenuta dalla corteccia delle foreste pluviali, e che lo spazio sopra al libro è riempito per l’ottantacinque percento dalla Materia Oscura, e che fuori dalle finestre appannate della loro biblioteca antica svolazzano frotte di Columba Livia, dette volgarmente piccioni, angeli dell’entropia che cagano merda corrosiva su cattedrali gotiche costruite nell’arco di tre generazioni, e che l’universo si sta espandendo e raffreddando, e che Dio non sembra avere la minima idea di come convincerlo a ripensarci.

“Sarei onorato di essere un suo laureando” le dissi.

“Anche a me farebbe piacere”, aveva il mento triangolare, sacche adipose sotto gli occhi, un matrimonio fallito alle spalle, grossi seni fuori luogo.

“Ha qualche idea da suggerirmi?”

Aprì un agenda sulla cui copertina di pelle era incisa una frase in corsivo cirillico. Un’altra caratteristica dei linguisti è che sono fanatici, tanto che nel sentirli pronunciare i suoni di un idioma straniero con mercenaria diligenza mi riscoprivo patriottico, mentre mi sentivo una specie di traditore quando ero costretto a scandire Garbaciòf, secondo la dizione moscovita, invece che Gòrbaciov, come lo pronunciano tutte le persone che sanno salare la pasta.ì>

“Mi piacerebbe che mi approfondisse il tema dell’androgino nella produzione letteraria tra otto e novecento, con particolare riferimento all’opera di Vladimir Solov’ëv. – si era abbassata gli occhiali sul naso aquilino – Le andrebbe?”

Era un poeta-filosofo che, per i suoi problemi di erezione, si convinse di essere innamorato della Sapienza Divina, Sofia per gli amici, che di certo aveva altre gatte da pelare piuttosto che sfotterlo perché il suo pennellone pendeva grinzoso contro l’interno coscia. Era uno dei mostri sacri del dipartimento.

“Volentieri. – stavo già pensando a come vendicarmi della sua passione – Da che punto di vista?”

“Faccia un po’ lei.”, e non immaginava in che guaio si stava cacciando.

Mi venne in mente che il buon vecchio Poggi, con cui mi ero laureato anni prima a Scienza Politiche, era stato un caro amico del compianto maestro accademico della Pitti, de Grumellis. “Già, Raffaella Pitti. – mi fece Poggi, al telefono, forzando la memoria – Raffaella Pitti, l’allieva di de Grumellis. In gamba, molto in gamba de Grumellis, un vero esperto di acmeismo. Lei era una brava donna, sì. Ma ha sofferto tanto, se non ricordo male, ha tante beghe. Tu abbi pazienza, non ha ancora superato lo stato di coscienza della religione della croce. Il senso di colpa, l’ansia di redenzione. Tu dille che io sono con te, sorridile con comprensione e cerca di meditare un paio d’ore tutte le mattine, se possibile nella posa del loto.”

Feci quindi leva sulla deferenza che lei doveva provare nei confronti di quel vecchio pazzo spretato e impostai una tesi interdisciplinare tra critica letteraria – emanava quell’odore estraneo che si leva dai materassi degli sconosciuti – e la mia amata filosofia.

Il povero Solov’ëv, che non aveva mai goduto del calore di un corpo abbracciato al suo di fronte a un documentario del National Geographic, come invece succedeva a me con Emma, per compensazione aveva concepito un sistema metafisico che prometteva la ricomposizione degli opposti. Poveri e ricchi, defunti e viventi, angeli e demoni, Dio e Diavolo, peni e vagine. Quindi decisi di dimostrare che nel suo pensiero fossero tracciate le premesse teoretiche del totalitarismo staliniano. La cosa avrebbe fatto infuriare il cuore di romantica russofila incastonato nel sofferente e contraddittorio torace della Pitti – rachitico ma con grossi seni.

Per di più potevo convincere me stesso che la mia incapacità di darmi incondizionatamente a un’altra persona – Emma, nello specifico – non fosse un sottoprodotto del mio egoismo infantile, ma la concretizzazione di quello che è l’Amore, nella sua essenza: perenne tensione verso l’altro da sé senza pacificazione definitiva, voglia di scopare in giro senza rinunciare alla tranquillità delle gite domenicali.