Le donne nella scienza oggi hanno due paladine in più. Due eccellenze nei rispettivi campi che entrano nell’olimpo delle studiose laureate universalmente, donne premi Nobel nella scienza che non sono seconde a nessuno. Anche se il riconoscimento non è assoluto ma giustamente condiviso, nelle stesse aree di studio, con chi ha fatto ricerche simili. L’uguaglianza della collaborazione nella scienza. In un 2018 che contempla attonito la mancata assegnazione del Nobel per la Letteratura (dati alcuni scandali, anche se sorridendo romanticamente è il giusto NON riconoscimento al defunto Philip Roth), due premi Nobel scientifici sono andati anche a due donne: alla fisica Donna Strickland per il suo contributo alla ricerca sui laser e alla chimica Frances H. Arnold per i suoi studi sugli enzimi nel riciclo.

E qui inizia il gioco delle casualità. I premi Nobel 2018 sono stati assegnati nelle ore successive alla polemica per le slide sessiste di uno studioso (uomo) in conferenza al CERN. Due fatti apparentemente lontanissimi, ma la scienza insegna che i collegamenti tra campi diversi possono arrivare quando meno te lo aspetti, anche se controlli tutte le variabili, e possono portare al big bang. Il professor Alessandro Strumia dell’Università di Pisa, ospite del CERN per una conferenza, ha provato a dimostrare con dati incrociati che la fisica è una materia da maschi. “La fisica è una comunità di interesse ottimizzata per comprendere la natura, è aperta alle persone di valore di ogni background, richiede regole molto selettive e una grande cultura” ha spiegato Strumia. A suo dire, le donne nella fisica sono sotto-rappresentate perché meno brave, la loro scarsa capacità deriva dalle differenze biologiche. Le dichiarazioni del professore, spiegate di fronte ad una platea di ricercatrici senza parole, sono divampate come fiamme infernali ritorcendoglisi contro. Il CERN, che dal 2016 è diretto dalla fisica Fabiola Gianotti, ha emanato un comunicato di scuse nei confronti di tutte le scienziate donne offese dalle dichiarazioni del professor Strumia. L’istituto si è anche dissociato dalle parole dello studioso, sospendendo la collaborazione, e ha avviato una sorta di indagine interna per comprendere come una presentazione del genere (discriminatorio) sia potuta arrivare fin lì.

La sequenza dei fatti in piena consegna dei premi Nobel 2018 è stata un vero e proprio cinema. Perché ha dimostrato con fatti e dati reali che le donne scienziate esistono, sono brave, vengono premiate e riconosciute come eccellenze. Eppure, al tempo stesso, sono ancora pesantemente discriminate per il loro genere sessuale, considerato inferiore. C’è stato anche chi ha obiettato timidamente che l’Accademia svedese si sia piegata all’epoca #metoo, premiando scienziate donne per far vedere di essere al passo coi tempi. Come se dare il Nobel ad una scienziata per il suo lavoro dipendesse soltanto dalle mode sociali del momento o dalle tendenze culturali. Secondo questa difensiva scuola di pensiero, l’Imperatrice delle Radiazioni Marie Curie non sarebbe mai stata la prima scienziata in assoluto a vincere il Nobel, l’unica donna tra i quattro vincitori di più di un Nobel ad averlo ottenuto in due aree distinte, la chimica e la fisica, e la prima donna ad avere una cattedra scientifica all’Università della Sorbona di Parigi. Erano i primi anni del 900, le donne nella scienza erano più uniche che rare. Eppure la loro bravura e intelligenza veniva riconosciuta, non senza fatica. Pochissimi casi, ma c’erano.

La storia, nella sua infinita magnanimità di riscoperta, ha riportato alla luce donne scienziate e pioniere in alcuni campi, che molte ragazze e donne di scienza possono sventolare orgogliosamente come protettrici delle loro capacità di studiose. Ad esempio ad Ada Lovelace, figlia del poeta Lord Byron che non conobbe mai, si deve il primo algoritmo da utilizzare espressamente nelle macchine calcolatrici, vale a dire i trisavoli dei moderni computer. Era il 19esimo secolo e Ada Lovelace viene spesso indicata come la prima programmatrice (analogica, in questo caso) della storia: se oggi abbiamo gli smartphone, è anche merito suo. O l’esempio di Emmy Noether, fisico-matematica tedesca genio assoluto che per tutta la vita insegnò senza essere pagata solo perché era una donna, anche se i colleghi facevano a gara per averla nei loro gruppi di ricerca. (Narra la leggenda che il collega David Hilbert, infastidito dal continuo ribadire che la signora fosse di sesso femminile e quindi inadatta all’insegnamento delle materie scientifiche, sbottò: “Cari signori, non vedo perché il sesso della candidata debba costituire un argomento contro la sua ammissione come Privatdozent. In fin dei conti il Senato accademico non è uno stabilimento termale”).

Ci sono stati altri casi molto meno felici che mostrano la discriminazione femminile nella scienza. Il più emblematico è quello di Rosalind Franklin, scienziata britannica di chimica, fisica e biotecnologia, lavorò attivamente per scoprire il mistero del DNA negli anni 50 del 900. Ma le sue scoperte pioneristiche sulla doppia elica, a causa di invidie e cartelli maschili nei laboratori del King’s College di Londra, furono messe in secondo piano. Il collega Maurice Wilkins, con cui non era mai entrata in sintonia e che la considerava la sua assistente esperta e non una scienziata pari grado, spifferò le sue ricerche agli amici scienziati Watson e Crick. Nel 1962 i due studiosi vinsero il Nobel per il modello a doppia elica del DNA. Che però era stato individuato per prima da Rosalind Franklin. La scienziata è diventata simbolo dell’ingiustizia nei confronti delle donne di scienza dopo la sua precoce morte avvenuta a 37 anni nel 1958, e le sue scoperte rivalutate in seguito.

Sommando i dati della storia a quelli dell’attualità, la verità sulla discriminazione sessuale delle donne scienziate è, purtroppo, incontrovertibile. Un uomo scienziato verrà sempre visto come più potente, più credibile di una scienziata donna. A confermare in parte questa triste teoria è stato il fisico Carlo Rovelli, che ha raccontato sui suoi social di essere stato contattato per intervenire sul dibattito delle donne nella fisica dopo le polemiche sul professor Strumia. Al suo suggerimento di invitare una donna, dato che l’argomento le riguarda davvero da vicino, gli è stato ribadito che era meglio che ci fosse un uomo a sostenere le donne scienziate, “perché detto da un uomo è più autorevole”. La giornalista che lo ha contattato ha chiarito sotto il Tweet del professor Rovelli di non aver mai pronunciato il termine “autorevole”, e che sarebbe stato un bel messaggio di sostegno alle donne scienziate se detto anche da un uomo. Nel dibattito continuo sulla legittimazione delle donne di scienza per il loro lavoro, c’è un fondo di speranza dettato da fatti reali: due nuove donne Nobel 2018. Che potranno contribuire non solo ai progressi della scienza, ma anche a sradicare i substrati delle calcificazioni mentali. E chi lo sa, magari aprire ad un mondo scientifico davvero meno sessista.