Verso la fine della quarta elementare, Viola ha iniziato a chiedere a sua mamma di potersi iscrivere a TikTok. Alcune sue compagne di scuola avevano il profilo da oltre un anno e durante l’intervallo provavano i balletti che poi avrebbero registrato il pomeriggio, a casa. Viola era affascinata dal nuovo gioco, ed era stanca di dover aspettare di «diventare grande». Sua madre Silvia sapeva poco di quel social dal nome del rumore che fanno le lancette dell’orologio, ma nella testa aveva ben chiara la lista di tutti i timori che poteva avere a riguardo. «Viola insisteva, e dopo svariati “no”, ho iniziato a leggere online di che cosa si trattasse, ho parlato con altre mamme e studiato il modo migliore per creare un profilo sicuro», racconta. Poi si è decisa e ha scaricato l’app sul cellulare.

Se avete intorno un minorenne, probabilmente avrete già sentito parlare di TikTok, il social del colosso cinese ByteDance, nato nel 2018 dalla fusione con musical.ly e che oggi vale oltre 100 miliardi di dollari. Quando vostro figlio, nipote, figlio di amici, fa quelle mossette strane davanti allo smartphone che a guardarle da fuori sembrano senza senso, in realtà sta registrando un breve video di 15-30 secondi da condividere sul suo profilo TikTok, appunto. Si balla, si canta in playback, si fanno sketch comici spesso usando filtri fantasiosi, ci si sfida in «challenge» a colpi di coreografie, in un infinito scroll di musica, immagini e colori accattivanti che come un incantesimo stregano il pollice dei piccoli utenti, che corre verso l’alto alla ricerca di nuovi video da guardare. Tutto - quasi - bellissimo, fino a qui.
«Ma come ogni social, anche TikTok ha aspetti più oscuri», spiega Alberto Rossetti, psicoterapeuta e psicoanalista, che nel suo ultimo libro I giovani non sono una minaccia. Anche se fanno di tutto per sembrarlo (Città Nuova, 2019) analizza cosa voglia dire crescere ai tempi dei social. «Per quanto sia un luogo anche di creatività, perché a differenza degli altri su TikTok “fai“ e non mostri e basta, ha una serie di dinamiche e problematiche tipiche di questi ambienti: si può essere contattati da persone malintenzionate, si possono incontrare contenuti non adatti, l’algoritmo tende a proporre cose sempre più simili alle nostre ricerche, uccidendo la diversità. E poi c’è la questione della privacy e dei dati personali».

A luglio, il presidente degli stati uniti Donald Trump ha minacciato di bloccarlo «perché regala informazioni ai cinesi comunisti», per citarlo. Tra Trump e i tiktokers non corre buon sangue da tempo. Sono stati loro, i giovani della Generazione Z, tra i responsabili del flop del suo comizio di giugno a Tulsa, in Oklahoma: hanno fatto incetta di prenotazioni per l’evento, senza poi presentarsi. Se la questione spinosa dei dati attanaglia i governi di tutto il mondo, a preoccupare i genitori e gli psicologi è l’età d’ingresso dei più giovani. Secondo Rossetti, i bambini delle elementari, per esempio, sono troppo piccoli per beneficiare dei lati positivi dei social network, ossia l’incontro con gli altri e la condivisione. «Per quanto siano luoghi divertenti e d’intrattenimento, per i più piccoli rischiano di diventare soprattutto zone di pericolo. Motivo per cui, in Italia, l’età legale di accesso è fissata a 13 anni», afferma.

La richiesta di Viola di avere un profilo TikTok a 10 però non è così strana, visto che è il social del momento e conta oltre ottocento milioni di utenti attivi nel mondo, tra cui ragazzini delle elementari e delle medie.

I dati dicono che è il più scaricato nel 2019, con oltre 1,5 miliardi di download, e nel 2020 sta facendo numeri da record.
«Alcuni bambini delle elementari ce l’hanno già», dice Rossetti, «ma dove è davvero popolare è tra la prima e la seconda media: lì l’hanno scaricato davvero tutti e non è raro incontrare ragazzine e ragazzini che sognano di diventare famosi tiktokers da milioni di follower, come per esempio Luciano Spinelli, Virginia Montemaggi, Elisa Maino, per fare dei nomi».

Eleonora Chessa, una fotografa italiana che vive tra Los Angeles e Las Vegas, ci racconta che sua figlia di 4 anni usa TikTok, ha un profilo privato in cui postano insieme video di balletti divertenti. «Adora giocare con i filtri, le piacciono i filmati dove si cucinano dolci e quelli in cui i protagonisti sono gli animali. Non la lascio mai sola, e durante il lockdown, grazie a questo social, sono riuscita a farle capire meglio quello che ci stava succedendo». Eleonora è convinta che sia inutile vietare i social ai bambini: «Viviamo in un’era dove i cellulari sono il prolungamento del nostro corpo, e ogni cosa che facciamo la condividiamo online. La sfida è insegnare ai nostri figli come usare questi strumenti al meglio», dice.

Uno smartphone può capitare spesso in mano anche ai bambini in età prescolare: i dati dicono che la maggior parte dei piccoli di tre e quattro anni usa YouTube, «sono in tanti a guardare i video dal cellulare dei genitori», dice Rossetti, «ma a differenza di TikTok, Instagram e Snapchat, YouTube non ha la messaggistica istantanea, un dettaglio da non sottovalutare soprattutto quando i bambini iniziano a leggere e a scrivere». Alcuni genitori ci raccontano che i loro figli usano TikTok come semplici spettatori: non utilizzano un loro profilo, ma navigano tra video e challenge.

Nel mare immenso dei social, c’è anche chi non permette ai figli di iscriversi fino al raggiungimento dei 13 anni. «Non credo che alle elementari abbiano gli strumenti adatti per entrare in un mondo così complesso come quello di Instagram o di TikTok», dice Elena, mamma di una bambina di 8 anni. Rossetti le dà ragione, e dice che sarebbe meglio aspettare le scuole medie, «i bambini delle elementari che hanno i social devono essere seguiti con la massima attenzione dai genitori, che devono controllare i follower, la privacy, le chat: serve una presenza molto attiva. Crescendo, questa parte di controllo può progressivamente diventare inferiore, ma è fondamentale che un genitore aiuti il preadolescente a imparare a navigare senza rischiare il naufragio in questo nuovo mondo».