I bambini superdotati sono sempre dei privilegiati? Lettera di una mamma sulle difficoltà di convivere con due piccoli con un quoziente intellettivo fuori dal comune.

Tenera, dolce Stella, così inconsapevolmente adulta e così esageratamente fragile. Ciao mia piccola fata dai grandi occhi spalancati sul mondo. Mi sembri così unica da non sembrare vera, con quel tuo corpicino immenso ed esile, i giochi Lego, la passione bambina per gli abiti vintage e il cuore rapito dai misteri dell’anima. Ti guardo, tutta spettinata dentro la camicina a fiori, mentre ti avvinghi sorridente a Matteo. Eccoli i miei due figli, il matematico di 11 anni e la filosofa di 8, due doni e due metà della stessa mela. Sono parecchie notti che vi penso e non dormo. Che strane incredibili creature mi è toccato di avere. Mi sveglio, puntualmente alle tre, e approfitto del buio per riprendere a guardarvi. Vi osservo da lontano cercando di capire, di trovare la giusta chiave di lettura. Una volta la strada me l’hai indicata tu stessa: «Io sono la fata del sole», hai detto. «E io ho i poteri». Ma chissà che cosa sai davvero. Forse in qualche modo confuso ti intuisci, e forse tra i due è sempre stato Matteo il più incline a stupirsi di come e di che cosa sentiva. Finché un giorno mi si è piantato davanti per affidare a me la grande domanda: «Mamma, ma perché sono nato così?». E il perché, mia piccola Stella, me lo sono chiesta anch’io tante volte, quando tutto ha incominciato a succedere.

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Tu Stella hai i grandi occhi scuri di tua nonna, la mia mamma inquieta e sensitiva. Sembri lei, quando mi blocchi per impedirmi di parlare. Per qualche minuto stai sospesa nel tuo altrove, più che in un mondo fantastico in una percezione potenziata, dove vivi quello che pensi smettendo di essere soltanto una bambina. Me l’hanno dovuto spiegare, cos’erano quegli attimi di sensi acuti che inondano il pensiero, che qualche volta sono una grande forza e qualche volta sofferenza, come quando pensi alla guerra e ti tappi le orecchie per non sentire. Allora ti guardo e non faccio nulla, non ho più strumenti: lascio che finisca pensando a cosa dirti dopo, ma per quanto mi sforzi, non riesco a sentirmi fiera.

«Sbaglio o le mamme della classe non ti invitano più per il caffè?». Papà voleva sentire che cosa gli avrei risposto, ma in realtà aveva capito da un pezzo. No, le altre mamme non mi invitavano più. Mio figlio e mia figlia erano “diversi”, e io un genitore sbagliato; e non era questione di apparire migliore o peggiore, ma di riuscire semplicemente a farti capire da chi ti sta intorno. L’incubo è incominciato con Matteo. Matteo che a un certo punto a scuola non riusciva più a fare attenzione. Matteo con la passione per la matematica, il compagno “enciclopedia” che sta nei banchi in fondo e per passare il tempo butta giù il progetto per un reattore nucleare. Matteo con il mito di Einstein, che quando in classe scopre di non poterne più si mette a fare lo scugnizzo, agitato, scontroso, incontenibile, chiuso in se stesso, interessato soltanto ai libri che si è procurato da solo. Matteo che a suo modo non ce la fa. Non è una consolazione sapere che tuo figlio frequenta un corso di robotica, se poi te lo ritrovi a casa che corre a vomitare perché i compiti di matematica sono così semplici, ripetitivi e lunghi da risultare fisicamente intollerabili. E che quel cucciolo tutto testa che per amico ha il più indifeso della classe, l’unico a non prenderlo in giro, il ragazzino con una malattia genetica che solo grazie a Matt ha fatto pace con le tabelline, alla fine è fragile e anche lui si sente solo. Ma per fortuna la sera va a cercare conforto sotto la coperta del divano, si rannicchia contro mamma e papà, solleva lo sguardo e chiede: «Parliamo?».

Poi, come se non bastasse, il tormento è ricominciato con te. La psicologa l’aveva capito al primo incontro: «Questa bambina ha tutto del fratello: la grande differenza è che lei è doppiamente eccezionale». E così sei tu: una gemma piena di incertezze e vibrazioni, un’attrice nata consapevole della sua grazia, e un cristallo purissimo sempre sul punto di ritrovarsi in frantumi. A sei anni dicevi di sentire qualcosa che ti aleggiava intorno e ti seguiva alle spalle. È la tua ombra, ti ha suggerito qualcuno. E tu, con candore totale: «No, è la mia anima». Quando, un anno prima, ti avevo portata all’osservatorio astronomico, avevi fatto domande che non aspettavo. «Mamma, che cos’è il nulla?». Anche se ti stavi già dando la risposta da sola. «Il nulla è l’infinito. Prima c’è il nulla, e poi c’è l’infinito». Avevi tutta la sensibilità, tutta la sete di sapere dei bambini gifted, eppure la tua singolarità non brillava, anzi: spesso davanti alle prove rischiavi soltanto di inciampare. In classe c’erano problemi. Mamma, sulle pagine vedo le lettere tutte unite; mamma, vedo i numeri invertiti. Così dicevi, e non riuscivi a leggere né a contare. Finché un giorno, dopo le vacanze di Natale, non ne volevi più sapere di alzarti dal letto.

Dopo due settimane di calvario mi sono decisa a capire, ed è venuta fuori la doppia eccezionalità della mia piccola Stella, quel tuo essere in ritardo perché in realtà molto oltre la norma; quell’avere ali così grandi da incespicare quando cammini. «Non si preoccupi» ha detto la dottoressa, «i bambini come i suoi non si rompono, bisogna solo aiutarli».
So che si potrebbe fare un lungo elenco delle caratteristiche dei bambini come voi, ma meno lunga è la lista delle risposte in grado di darvi soddisfazione. Perché sentite amplificati odori, rumori, sapori? E perché anche cuciture, cerniere, rivetti metallici sono motivo di insopportazione se non di dolore? Perché le ingiustizie e le sofferenze del mondo mettono alla prova i vostri sensi allertati? Mentre in compagnia dei coetanei avete un tempo limite, oltre il quale vorreste mettervi da parte con uno dei vostri libri da adulti? Una volta persino papà è sbottato davanti all’estenuante energia di Matt che un venerdì, di ritorno dal supermercato, osservando i sensori dell’ascensore pretendeva di spiegargli come funzionano gli infrarossi. Per avvicinarlo ai compagni, lui lo aggiorna sulle classifiche del campionato di calcio. Mentre io spero sempre che tu, tra un documentario e un film sulle suffragette americane, ogni tanto ci infili un cartone delle Winx. Vorrei poter dire a tutti le cose belle che pensi e che fai, ma per proteggerti sono costretta a tacere, e il mio orgoglio è sovrastato dal pudore. Di notte ogni tanto sento una vocina chiamare il tuo pupazzo del sonno. Non lo trovi e lo vorresti abbracciare. E a me si stringe il cuore: ecco, forse, chi saprà custodire l’integrità della tua infanzia.

Si ringrazia Anna Maria Roncoroni, neuropsicologa cofondatrice dell'Aistap (Associazione italiana per lo sviluppo della plusdotazione) che ha reso possibile questo servizio. Dal 2015 nominato European Talent Center, l'Aistap si occupa di assistere i bambini gifted e le loro famiglie.