«La prima volta che siamo usciti insieme, nel suo bar preferito, la guardavo muoversi con disinvoltura dall’alto dei suoi tacchi e pantaloni da maschiaccio. Rideva, gesticolava, ordinava un altro vodka sour con la sicurezza con cui, sei mesi dopo, sceglieva il colore delle ante della nostra nuova cucina». Jacopo ed Erika sono una coppia di trentenni di Parma che vivono una vita di convivenza serena, di una passione che li ha fatti conoscere per caso, il collezionismo di mobili anni Cinquanta, fino a quando l’ultimo bicchiere della staffa è diventato il primo di un crinale disastroso. Jacopo, che non vuole rivelare tutto della loro vita (cognomi, lavoro): si è accorto dell’alcolismo della moglie sposata tre anni fa, dopo una cena di Natale, l’ennesima, che ha portato Erika a bere l’ennesimo amaro. A stomaco vuoto. «Sono un uomo che pesa 90 chili, sin da ragazzino ho giocato a rugby, sport che continuo a praticare anche oggi che ho 34 anni. Diciamo quindi che ho il fisico per finire una bottiglia di Amarone a cena: mia moglie pesa 52 chili e beve almeno due bicchieri a pasto più di me. Sempre: all’ultima cena di Natale organizzata a casa nostra l’ho vista alzarsi svariate volte per far sì che tutti avessero i piatti e i bicchieri sempre pieni. Solo che il suo piatto era sempre vuoto. Il suo bicchiere no, quello era sempre pieno. Mia moglie è diventata un’alcolista sotto ai miei occhi. E io non ho fatto nulla per impedirlo».

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Quando Jacopo parla a Erika del suo problema, Erika minimizza: «come fa sempre. Con tutto. Mi ha schernito, poi mi ha dato del paranoico. Poi mi ha accusato di averla umiliata perché, quando non ha voluto più ascoltarmi, le urlato che anche il suo fisico era quello di un’alcolista». Dal fiato pesante della mattina alla nausea prima di dormire fino alla pancetta che spuntava su un corpo troppo nervoso. «La nostra vita sessuale è cambiata lentamente: un po' per abitudine della convivenza, del matrimonio, poi perché si faceva l’amore solo quando lei era ubriaca, abbastanza per voler stare nuda e girare per casa con quel dannato calice sempre in mano. "È un bicchiere di bianco cosa vuoi che sia!” mi diceva ridendo come una bambina. Peccato che fossero le 2 di notte e nel lavandino ci fossero almeno tre tappi di spumante, di rosso, di bianco…». Jacopo non si è voluto accorgere di tutte le volte che Erika, famiglia normale senza precedenti di alcolismo da annoverare, ha trovato la scusa per farsi un goccio «dopo aver sciato al gelo il bombardino era cosa comune, neanche ci facevo caso, quando ho visto la sua macchina aziendale ammaccata lungo la portiera ho pensato a qualche stronzo dell’ufficio che gliela aveva segnata di proposito dopo la sua promozione. Sì perché mia moglie non ha mai avuto un cedimento: mai un pranzo di lavoro in cui non si fosse rivelata brillante, mai un volo perso in trasferta perché era ubriaca, mai una défaillance che mostrasse la sua dipendenza». Erika non è una di quelle donne che nascondono la vodka nella borraccia dell’acqua (esempio: la protagonista de La ragazza del treno, perennemente ubriaca), neppure la svuota bottiglie in solitaria (da rivedere con la pelle d’oca il video dei Massive Attack Live with me: una normale ragazza che finisce in coma etilico dopo una giornata di lavoro). Erika, come rivela il marito dopo l’ennesimo incontro dall’analista di coppia, «ha semplicemente reso quotidianità il bere, trova un’occasione per farlo come le persone trovano un’occasione per farsi il tè delle cinque. Un rituale che ha iniziato a massacrare la nostra serenità di coppia».

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Erika non ha smesso di bere, non è andata in nessuna rehab, non ha ammesso di essere un’alcolista perché questo è il passaggio più duro da toccare - con cura «abbiamo iniziato a litigare da dove avevamo iniziato ad amarci: stavamo valutando l’acquisto di un mobiletto da bar, con un tavolino girevole integrato, laccato smeraldo e tutto il rivestimento di specchio. Costava 1.200 euro, le ho detto che mi sembrava troppo, ma lei ha iniziato a insistere, come fa sempre, io ho urlato di nuovo, in mezzo al magazzino e agli altri acquirenti "certo per metterci tutte le tue bottiglie dopo che te le sei scolate!" Lei si è messa a piangere: ma non perché fosse offesa, le sono ceduti i nervi. Ha iniziato a succederle spesso quando non beveva da troppo tempo». Jacopo ed Erika vanno da un analista matrimoniale, iniziano un percorso per capire dove e quando sono collassati in una spirale di accuse e difese, con in mezzo i primi calici rotti, le prime bottiglie di amaro sequestrate, i primi gesti in pubblico quando Jacopo copre con la mano il bicchiere di Erika, all’ennesimo tentativo della moglie di riempirselo. Erika finge di andare dall’analista di coppia per un problema che in realtà è solo suo: «ma è la soluzione più delicata e meno umiliante per farle parlare del suo problema. Per mia moglie bere è semplicemente un’azione, un piacere, non l’ho mai vista trangugiare vodka lemon scadenti, o birre da 2 soldi. Oggi a ogni seduta si rende sempre più conto che la sua ansia e il suo crescente malessere sono legati alla quantità di alcol che ingerisce. Per me è tremendo vederla stare in piedi e felicissima con una sola bottiglia di Ribolla: ma ha smesso di vendermela come bevuta di qualità tanto quanto il formaggio di capra comprato in alpeggio. Ora la controllo, e, insieme, abbiamo tagliato amari, bottiglie intere ordinate al ristorante. Basta un calice a testa. E lei, quando ordino per due, si fa piccola, quasi si nasconde. Sì anche tra le lacrime che le affiorano e mi fanno sentire una merda. Ne usciremo? Sì perché credo non dipenda solo da lei: dipende da noi».

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courtesy photo Getty Images - le persone ritratte non sono le protagoniste di questa storia