Perché è così importante raccontare le fiabe ai bambini? È giusto saltare delle parti della storia? Perché le fiabe classiche sono più "importanti" delle favole? Abbiamo incontrato la dottoressa Maria Teresa Sagna, psicologa Psicoterapeuta di Torino, per saperne di più.

Come agiscono le fiabe nella mente del bambino?
Sappiamo tutti che le fiabe tranquillizzano, divertono e incantano i bambini. Per comprendere come si genera l’effetto tranquillizzante, occorre entrare in profondità su due aspetti: che cosa succede tra il bambino e i personaggi della fiaba e che cosa succede tra il bambino e l’adulto durante la lettura della fiaba.

Iniziamo con il rapporto tra bambino e personaggi.
Nelle fasi precoci della vita l’essere umano riesce ad adattarsi al mondo attraverso un funzionamento primitivo della mente che consiste nel percepire gli altri, cioè coloro che si prendono cura dei suoi bisogni primari, sia essi affettivi sia corporei, e se stessi in modo alternativamente o totalmente positivo/piacevole oppure totalmente negativo/spiacevole, a seconda dell’emozione sperimentata nell’interazione. I personaggi della fiaba classica sono sempre unidimensionali; per esempio la matrigna solo malvagia, il re solo buono, il cavaliere solo coraggioso, la fanciulla solo invidiosa, il ragazzino solo coraggioso... Per questa ragione si prestano bene a “corrispondere” alle rappresentazioni interne che il bambino ha di sé e degli altri, si prestano cioè a esteriorizzazioni.

Una sorta di proiezione...
Sì, i personaggi mettono in scena, come in una pièce teatrale, le rappresentazioni interne, scisse, di sé e degli altri. Osservando i personaggi il bambino prova quello che “loro” provano e prende così confidenza, familiarizzandosi sempre di più, con le emozioni piacevoli come gioia, amore, stupore e sorpresa, ma anche con quelle spiacevoli come rabbia, ostilità, odio, tristezza e disgusto. Questo processo di familiarizzazione con le proprie emozioni, che avviene a livello preconscio, è un momento di importanza fondamentale per consentire al bambino di evolversi naturalmente verso funzionamenti mentali più evoluti, che gli consentiranno cioè di integrare le ambivalenze e di adattarsi sempre meglio al mondo. Quando la familiarizzazione non avviene, il bambino si sente inconsciamente costretto a tenere scisso ciò che è piacevole da ciò che è spiacevole, terrorizzato dalla fantasia che il “male” inquinerà il “benee che il bene andrà sempre isolato per essere conservato. Per esempio, accorgendosi di provare momentanea rabbia per una persona molto amata, si sentirà terribilmente in colpa; oppure nel sentire un genitore arrabbiato, avrà il terrore di perdere il suo amore.

E il rapporto tra bambino e genitore?
La lettura della fiaba da parte di un genitore, di un nonno o di un adulto di riferimento significativo, specie se avviene con autentico piacere, offre al bambino dei momenti di condivisione affettiva, cioè “momenti in cui, a livello preconscio, avviene un'attribuzione di significato emotivo/cognitivo/sensoriale simile, ma non identico”. È importante capire che qui le spiegazioni non c’entrano, nessuno spiega nulla a nessuno, ma il contatto che avviene è profondo. La condivisione affettiva fa sentire il bambino profondamente legittimato nei suoi desideri più primitivi e profondi, nelle sue paure, nelle sue fantasie. Non solo, ma implicitamente l’adulto che legge gli comunica “io sento che tu stai provando qualcosa di importante… il tuo mondo interno è importante, tu sei importante".

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Quindi la condivisione gratifica il bambino?
Sì, perché attraverso la condivisione si sentirà legittimato nelle sue fantasie e nei suoi più intimi desideri, per esempio nel desiderio edipico di sconfitta del genitore rivale oppure di rivalsa verso i fratelli e/o sorelle. Ma attenzione: la cosa fondamentale per la sua crescita serena sarà verificare che la gratificazione avvenuta in fantasia non avviene nella realtà, cioè che i genitori non consentiranno a un fratello di prevalere su un altro; che la madre rimarrà per il bambino solo madre, rimanendo invece donna solo per il padre; che il padre rimarrà per la bambina solo padre, rimanendo invece uomo solo per la madre. In sintesi, i genitori sapranno nella vita reale porre e mantenere i limiti e le regole fondamentali, senza i quali il bambino si sentirebbe completamente perso nel caos.

In che senso le fiabe aiutano il bambino a crescere?
Perché la legittimazione, che avviene a livello preconscio e non è una spiegazione, avvia funzionamenti mentali più evoluti, la capacità di "integrazione". In pratica, il bambino sarà in grado di provare momentaneamente rabbia verso la persona amata senza temere di perdere l’amore verso/da essa, senza sentirsi eccessivamente in colpa o senza colpevolizzare eccessivamente l’altro; oppure proverà che “la mamma può essere arrabbiata con me ora e contemporaneamente volermi bene”. Si sentirà cioè più solido e sicuro. La capacità di integrazione renderà il bambino un futuro uomo solido e vitale. Il meccanismo di scissione non sparirà nell’adulto, ma si alternerà al meccanismo di integrazione.

La fiaba tranquillizza, rassicura e...
Mette delle buone basi per un futuro adulto capace di instaurare relazioni con gli altri equilibrate, ricche e rispettose; inoltre la fiaba incanta, rapisce e diverte il bambino, perché il linguaggio evocativo e l’assenza di spiegazioni didattiche gli consentono di oscillare a suo piacere tra il pensiero “ma nella vita succede proprio così!” e il pensiero “ma no, succede solo nei paesi delle fiabe!”. Questa oscillazione gli permette di “prendere il respiro” da temi per lui importantissimi, ma difficili da gestire.

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Quali fiabe raccontare e a che età? Hansel e Gretel per esempio è molto dura….
Capita spesso che il genitore si sforzi di trovare la fiaba “giusta” o eviti quella che ritiene “sbagliata” per una certa età. In realtà il bambino si diverte e basta; magari con certe fiabe prova più paura in certi punti, ma è il fatto di sentire l’adulto partecipe alla trama che lo rassicura. E poi il bambino si sa “regolare” molto bene, oscillando tra il pensiero “ma nella vita succede proprio così!” e il pensiero “ma no, succede solo nei paesi delle fiabe!”. La cosa più sensata è lasciarsi guidare da quello che chiedono i bambini, perché loro non sbagliano, perché sanno davvero “regolarsi” bene.

Tra le zoofobie il lupo è al primo posto, perché?
Il bambino ha spesso paura del lupo, ma del lupo dentro la fiaba, in questo senso la zoofobia è altra cosa. Nella fiaba di Cappuccetto Rosso, la protagonista mette in scena la difficoltà dei bambini a gestire il processo di separazione/distacco/autonomia dai genitori, processo connotato dal timore di danneggiare gravemente qualcuno; nella fiaba questo timore è evocato dall’immagine della nonna sbranata dal lupo. Il processo di distacco/autonomia è ciò che davvero impegna molto emotivamente il bambino. Con Cappuccetto Rosso il bambino vede che la paura e il dolore, ovvero immagine del taglio della pancia, sono inevitabili nel processo di autonomizzazione, ma alla fine si può trovare il proprio sentiero, senza che nessuno muoia. Muore solo il lupo, la paura!

Quali sono gli altri animali più paurosi dopo di lui?
Gli animali più paurosi/terrificanti per i bambini sono gli adulti che li inducono, consapevolmente o no, a evitare le emozioni negative. Con conseguenze gravi e complesse…

È poco costruttivo saltare delle parti di una fiaba?
Se è l’adulto a deciderlo, significa privare il bambino per esempio della soddisfazione di aver superato indenne un momento di paura. Significa anche che l’argomento saltato probabilmente turba l’adulto stesso. È utile che l’adulto non confonda sé con il bambino. Se invece è il bambino a proporre di saltare, lasciamoci guidare.

Perché il bambino chiede di ripetere tante volte la stessa storia o parti di essa?
Questo ci dice quanto sia importante per lui elaborare in quel momento quel tema, ma questo non dobbiamo mai spiegarglielo! Diventeremmo di un’invadenza intollerabile, rovinandogli anche l’incanto della fiaba.

Come spiegare il male, la morte e la violenza ai bambini?
La fiaba classica fa vedere cosa succede davvero nella vita, anche se i personaggi sono immersi in un contesto “irreale”, lontanissimo: i personaggi non sono eroi, ma spesso persone comuni come il contadino, la fanciulla o il pescatore, che fanno fatica, passano attraverso tanti guai, frustrazioni, dolori, avversità, ricerca di identità. Pensiamo alle “prove” cui sono sottoposti certi personaggi, o alle trasformazioni. La fiaba non ci dice che la vita è una passeggiata di beatitudine, non ci imbottisce di illusioni. Ma ci dà speranza. I personaggi delle fiabe se la cavano nonostante le avversità, ma solo se non cercano di evitarle. Dai 3 agli 8/10 anni la fiaba è il luogo dove iniziare dolcemente e gradualmente a comprendere tutto ciò. Senza spiegazioni. La fiaba dice tutto, senza spiegare nulla. E soprattutto senza fare la morale, come invece avviene nella favola.

Come gestire la scoperta che Babbo Natale esiste solo nella fantasia?
Babbo Natale è un po’ la metafora del “tutto quello che desideri sarà realtà”. Il bambino molto piccolo ha bisogno di un contesto/madre che risponda amorevolmente e incondizionatamente a tutti i suoi bisogni, ma ha anche bisogno di conoscere gradualmente la realtà esterna. Come? Attraverso graduali piccole frustrazioni, per esempio “la mamma non c’è sempre, non c’è solo per me”, “non tutto quello che desidero si trasforma in realtà”. Il Babbo Natale metaforico se ne deve andare via, gradualmente, dolcemente... Quindi anche il Babbo Natale "natalizio" non deve essere tenuto in vita a oltranza dai genitori, come tentativo inconscio di continuare a essere genitori di un bambino piccolo piccolo. Inoltre, come genitori, dobbiamo imparare a tollerare che il nostro bambino sia un po’ addolorato per la perdita di Babbo Natale, magari aiutandoci con la consapevolezza che stiamo facendo un favore a nostro figlio, perché gli stiamo dando gli strumenti per adattarsi alla realtà. L’onnipotenza delirante così diffusa nel mondo di oggi è alimentata da tanti Babbi Natale mai sepolti.

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