Per riconoscere una donna che lavora in Ikea basta guardare sul tavolo: davanti a lei non c’è mai uno smartphone, o se c’è (come nel caso dell’AD Italia Belén Frau) è girato con lo schermo che bacia la tovaglia. Piccolo, macro, dettaglio di una nuova politica di lavoro aziendale che prevede anche lo stop alle telefonate/mail/messaggi dopo le 18: nuova in Italia perché in Svezia è IL modello di lavoro. «Quando sono tornata dalla prima maternità mi hanno proposto la promozione. Il ruolo era totalmente diverso da quello di cui mi occupavo prima ma la sfida era stimolante» racconta Monica Corsini, ingegnere meccanico e oggi Finance Manager di Ikea Italia. La sua è una storia comune, se non standard, nella comunità Ikea. Il momento è abbastanza intimo per poter chiedere e conoscere i capisaldi del colosso svedese in Italia: un incontro con le sfere dirigenziali italiane comodamente sedute al Fioraio Bianchi Caffè di Milano, un pranzo informale per storie informali, cogliendo l’occasione della Giornata delle donne dell’8 marzo. Il succo della questione, però, giunge molto presto sulla bocca di tutti i commensali: se si vuole essere mamme felici e businesswoman appassionate bisognare andare a lavorare da Ikea. Del resto i numeri parlano chiaro: 60% dei dipendenti di Ikea Italia sono donne, il 50% dei ruoli dirigenziali è occupato da sedie (Ikea of course) r-o-s-a. Ma il trucco non è nel sessismo al contrario (quote rosa ad affossare le quote blu) come spiega una solare Belén Frau (nella foto qui sotto): «noi pensiamo alla persona, non al genere».

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La sua è la prima storia a far svanire qualunque imprenditore magnanimo nell’assumere una donna e non chiederle se ha intenzione di avere un figlio: «Ho cambiato lavoro quando ero incinta del mio primo figlio: a 8 mesi e una settimana di gravidanza. Dissi al mio datore di lavoro: “ma sono incinta!” e lui mi rispose “e cosa significa?!”». Il posto di lavoro era quello di store manager di Ikea in Spagna. Quando ha avuto il secondo figlio è diventata amministratore delegato di Ikea Spagna. Quando ha avuto la prima figlia è stata chiamata a diventare l’amministratore delegato di Ikea Italia «è stata dura perché erano gli anni della crisi. Ma ce l'abbiamo fatta. Quello che si deve comprendere è che non vogliamo tutto: vogliamo la metà di tutto». Bingo. Come lavorare in Ikea ed essere felici potrebbe essere un manuale facile tanto quanto lo è sfogliare il catalogo Ikea: il fatto che le due bibbie si assomiglierebbero non è un caso. Nè una pia illusione. La businesswoman che macina dollari su un volo intercontinentale e la madre assente alle recite scolastiche sono un vecchissimo cliché che ci auto-imponiamo? Monica Corsini, da 16 anni in Ikea, ha coperto ruoli molto diversi tra loro: dalla logistica di magazzino all’essere Finance manager, ha desiderato non uno ma due figli (tremate, tremate!) e ha ottenuto tutto quello che le è servito per poter crescere i suoi figli e crescere all’interno dell’azienda. «Vivo a Brescia e lavoro a Milano» racconta Monica «ho lavorato in realtà dove l’obiettivo aziendale veniva prima delle persone. Senza ombra di dubbio. Durante il colloquio in Ikea l’AD mi chiese cosa volessi fare e io non ho esitato: “la mamma!” lui mi ha detto solo “fallo subito! Tornerai con ancora più energia"». Happy end: secondo figlio, secondo avanzamento di carriera, i due giorni di lavoro da casa per stare con i figli più a lungo, un ruolo, iper strategico per un business che cambia a ogni acquisto (live e online). Il lavoro agile anche a livello dirigenziale? La voce sabauda di Renata Duretti, HR Manager di Ikea Italia, arriva calma a sedare qualunque dubbio: non c’è bisogno di retorica: «da Ikea si lavora così. Più il numero delle donne aumenta, più le donne crescono e più le esigenze si femminilizzano». Interviene Belén «non esistono chiamate dopo le 18, nessun meeting prima delle 9.30, non si lavora nel weekend, ci sono le emergenze certo, ma anche quelle vanno valutate come tali, se mi mandi una mail nel weekend la leggo ma a meno che non sia davvero un’emergenza ti risponderò alle 9 in punto di lunedì mattina. Non prima».

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Ovviamente non siamo a Dreamland e per farsi assumere in Ikea i requisiti necessari sono abbastanza chiari come ci racconta sempre Renata, colonna della storia di Ikea Italia «prediligiamo le crescite trasversali e non verticali, cerchiamo di seguire il bisogno dei singoli, dai part-time al lavoro agile quando possibile, questo ci permette di vantare un indice di motivazione tra i più alti d’Italia e uno dei più bassi di uscita dei lavoratori (l’1,2% circa, realtà che è molto simile ad altri colossi svedesi come H&M che ha formule molto simili: crescita interna rapida, dirigenze mobili ndr)». Lavorare da Ikea nel 2017 è la soluzione per amore & carriera? Ma quali curricula spiccano tra i candidati? Renata è molto limpida: «niente lettere di presentazione lunghissime: il quid è tutto nella trasversalità, passaggi all’estero, e soprattutto predisposizione a lavorare in teamwork perché in Ikea le decisioni si prendono insieme. A qualunque livello. Inoltre siamo orgogliosi di puntare alla protezione delle diversità: non c’è un limite di età, aspettiamo di accogliere i Millennials, che sono incredibili». Non bisogna aspettare il futuro per immaginarlo, letteralmente, roseo «C’è la possibilità di richiedere sei mesi di aspettativa per situazioni di maltrattamenti familiari e stalking, siamo stati tra i primi a istituire le licenze matrimoniali per tutte coppie di qualunque genere».

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Questo è IL metodo svedese: niente da fare, niente da copiare se non alla lettera. Ne è convinta anche Laura Schiatti, Marketing Manager di Ikea, new entry (da un anno e mezzo) con un passato in altri colossi stranieri (beauty compreso) «è difficile entrare in questa ottica dopo anni e anni di coltello tra i denti per difendere la propria posizione. Sono stata fortunata perché ho sempre amato e spinto per lavorare con le donne perché si somma la capacità di resistenza e problem solving». Il coltello tra i denti, altro che biberon, Laura lo ha dovuto mettere quando, tornata dalla maternità del primo figlio, la sedia ha rischiato di traballare: tutto questo diversi anni prima del nuovo metodo svedese. «Quando entri in Ikea devi imparare a essere smooth, non è facile, non è immediato: anzi. Bisogna disintossicarsi dall’essere workaholic. In questo l’azienda ti aiuta: perché è il tuo team a guardarti con gli occhi spiritati: e allora capisci che devi dire stop. Devi andare a lezione di imperfezione». Tra part-time di 24 ore che permettono di avere uno stipendio che sostenga un mutuo, case history di due donne store-manager che si dividono equamente il ruolo nel negozio più grande di Italia (a Padova) la chiave di volta di tutto questo forse è nelle parole di una persona che non lavora da Ikea, la madre di Belén «sapete cosa mi ha detto? “Certo che Ikea è molto furba: perché si è fatta amare"». E voi non le potrete dire di no.

courtesy photo IKEA/ Getty Images