Il Brasile è la terra dei contrasti. È un Paese dove spesso l’orrore sposa la grazia, generando così una grande poesia. Basta ascoltare la Bossa Nova di João Gilberto, che nel 1959 “stonava” con la sua Desafinado, creando sonorità inedite. Le opere di Vik Muniz si inseriscono in questo filone. Contaminano sacro e profano, sono realizzate con materiali non convenzionali come cibo e immondizia eppure sanno trasformarsi in magia.

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Vik Muniz

Parole d’ordine: spiazzare e far riflettere. Come quando nel 2008 l’artista 57enne, originario di San Paolo, ha riprodotto la Morte di Marat di David o la Nascita di Venere di Botticelli con gli oggetti di una discarica o nel 2014 ha inciso un castello su un granello di sabbia con l’aiuto del microscopio. E pensare che Muniz, che oggi vive fra New York e Rio, avrebbe dovuto fare il grafico. A cambiargli la vita, un’aggressione subìta a trent’anni. Ferito a una gamba, l’assalitore, per evitare la denuncia, gli offrì un cospicuo risarcimento. Fu allora che Vik decise di partire per gli Stati Uniti e diventare artista.

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Vik Muniz

Oggi Muniz, fino al 28/7 in mostra allo Smith College Museum of Art di Northampton, Massachusetts per la collettiva Plastic Entanglements: Ecology, Aesthetics, Materials, è una star dell’arte, protagonista di mostre e progetti in tutto il mondo. L’ultimo è stato commissionato dalla casa di champagne Ruinart, dopo un soggiorno a Reims. Ne è uscita Shared Roots, un’opera di 12 “fotosculture” realizzate con foglie, grappoli e il legno delle viti. L'intera serie sarà esposta al Miart (5-7/4) e successivamente ad Art Basel (13-16/6), sempre all'interno delle lounge griffate Ruinart. Abbiamo incontrato l’artista durante il suo tour italiano fra Venezia e Roma (documentato nel suo cliccatissimo profilo Instagram @vikmuniz); e poi fra Reims - a 38 metri sotto terra, nello stomaco delle storiche Crayers della maison francese - e Parigi, nel sontuoso Palais Brongniart, il vecchio palazzo della borsa, sede dell'opening ufficiale del progetto Shared Roots.

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Vik Muniz per Ruinart
Chardonnay Leaf, Vik Muniz

Cosa ha ispirato il lavoro con Ruinart? La natura, essenzialmente. Il fatto che quando disegni una pianta con la matita diventi consapevole che lo strumento con cui stai lavorando un tempo era un albero. Ho scoperto che la mente è una manifestazione distillata della materia e ho dovuto disegnare un sacco di alberi e bere molto champagne per arrivare a questa conclusione.

Come è stata l'esperienza? Beh, fare Champagne è una forma d'arte tradizionale. Lavorare con professionisti appassionati che cercano costantemente di eccellere nella creazione di strumenti in grado di collegare la natura ai sensi mi è subito sembrata una partnership naturale.

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Flow Hands, Vik Muniz

Ha creato opere col cioccolato, con l'immondizia, con lo sciroppo d'acero, con il legno degli alberi: come spiegherebbe la sua arte a un bambino? Mi piacerebbe che la mia arte non necessitasse di essere spiegata, soprattutto a un bambino.

Di chi è la colpa se la gente non capisce l’arte, oggi? Dell’artista, del gallerista, del critico. L’arte, infatti, è disponibile a chiunque abbia uno sguardo aperto.

E' conosciuto in tutto il mondo per i suoi lavori creati con la spazzatura. Ha mai pensato di dedicarne uno alla nostra capitale, colpita da anni dall’emergenza rifiuti? Amo Roma. Ultimamente sto lavorando a un progetto per la Biblioteca Vaticana, ispirato agli alberi. Quello dell’accumulo dell’immondizia è un problema che coinvolge qualsiasi città che abbia mantenuto la sua urbanistica originaria. Il progresso che pulisce la storia non è sempre un bene.

La città più pulita che ha mai visitato? Tokyo. Che adoro non solo perché è la città più pulita del mondo ma anche è perché è quella “visivamente” più inquinata.

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Courtesy Photo

Lei è un brasiliano che vive negli Stati Uniti: com’è cambiato il Brasile negli ultimi anni? La tecnologia ha avuto un effetto radicale sulla democrazia di molti Paesi. Stati Uniti, Brasile e Italia sono esempi di come il discorso politico sia stato ridotto a una logica dominata da estremismi. Penso che la semplificazione di questioni complesse e l’impossibilità di dialogare stiano portando queste democrazie al disastro. Sta a noi intellettuali promuovere il confronto e la sensibilità.

Quindi per lei l’arte è sempre politica? Sì, non ho alcun dubbio. L’arte immortale è sempre intrisa di temi come potere, fede e lotta. Quindi è sempre politica.

A parte il grafico (la sua occupazione originaria), se non fosse diventato un artista, cosa sarebbe stato? Dipende. Forse un ingegnere meccanico, oppure un neuroscenziato, o molto probabilmente un pubblicitario o magari, chissà,... un alcolizzato.

Perché non ha mai utilizzato lo champagne per realizzare le sue opere? Perché lo champagne non basta mai.