Uno slargo? Una piazzetta classicamente storta di Roma. Nevralgica per il passaggio, Piazza San Calisto si nasconde davanti all’imponenza di Piazza Santa Maria in Trastevere ma si allarga in un (tri)angolo che spacca il cuore di grande bellezza, tanto da ispirare Paolo Sorrentino a filmare (e fermare nel tempo) una delle scene più tradizionali delle sere nel bar più popolare di Roma. Il Bar San Calisto. Un bar che più antico non si può, come concezione. Niente fighetterie hipster o cocktail a 15 euro, tapas bar o altre tendenze food che affollano il dedalo della Capitale. Il Bar San Calisto (o Bar San Callisto, anche se l'insegna riporta una L sola) è la salvaguardia democratica a qualunque ora del giorno e della sera, un’istituzione per i romani e per i turisti che vengono sempre più attirati da quell’atmosfera vecchio stile, ruvida e un po’ scazzata. Roma è de tutti, canta Luca Barbarossa, e il Bar San Calisto ne è il simbolo. Scheggiato, oggi, da un’ordinanza del Tribunale di Roma che ne ha imposto la chiusura per tre giorni. Motivo? “Ritrovo di pregiudicati”, si legge in un tam tam di informazioni che ha riempito le pagine nazionali dei quotidiani. Come se negli anni 80 della Banda della Magliana non fosse stato chiuso per via di una sparatoria fuori dal locale, come ha riportato il Corriere della Sera nella ricostruzione della memoria fallace. Ma l’accusa è anche “disturbo al riposo e alla quiete pubblica” per via di un presunto rave organizzato i primi di giugno nella piazza davanti al bar. Non dal San Calisto, sia precisato.

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Si sono scatenate le condivisioni social e le parole/azioni di sostegno al bar San Calisto e alla sua incredibile funzione sociale. La Roma più bella, in grado di dar da mangiare agli affamati e bere agli assetati, è qui. Roma città aperta vera. Un baluardo di lotta sociale all’estetica imperante. Che non importa che tu sia il più reietto della società o il vip che fa le stories da alternativo (a cosa?) tra le piante che delimitano il perimetro esterno, il caffè (a 80 centesimi ancora oggi) non lo nega al nessuno. “Mica possiamo chiedere il certificato penale a chi viene qua” avrebbero detto ai carabinieri che sventolavano il provvedimento giudiziario temporaneo. E in questa frase c’è molto del San Calisto Trastevere. I prezzi sono volutamente tenuti bassi, a Trastevere è praticamente un miracolo. Marcello Forti detto Marcellino, il proprietario che da 50 anni osserva discretamente il via vai di persone dentro il suo bar, se ne frega dell’inflazione e delle mode. Al massimo ti fa lo spritz, che è di moda sì ma viene comunque dagli anni 70 e dagli aperitivi con patatine, olive e noccioline. 8 dipendenti a rotazione, un volume di clienti impressionante, il nome del bar come biglietto da visita universale.

Il San Calisto di Roma è il vero baretto di quartiere. Sono sempre più rari i vecchietti doc fitti di rughe che resistono all’assalto delle nuove generazioni a suon di posizionamenti tattici, ma ci sono. Specialmente nella bella stagione, quando i tavoli fuori sono un traguardo ambito. E ci si fa spazio anche tra compagnie diverse, solo per stare insieme davvero, dal vivo, pelle a pelle. “È il luogo in cui si incontrano generazioni intere di trasteverini” racconta Gianluigi, giornalista del trimestrale cartaceo made in Trastevere Il Ventriloco, che nel quartiere ci è nato e ci vive. “È un bar rimasto fermo nel tempo, dove non serve avere soldi per sedersi al tavolino ma occorre solo rispetto per chi ci lavora e per chi lo vive” conclude. È la livella sociale che piace a tutti, un luogo di aggregazione felice. C’è rispetto delle persone, al San Calisto: gli ubriachi vengono allontanati, le persone moleste non considerate. Un controllo reciproco e collettivo, una bolla dolce dove rifugiarsi per rifiatare un attimo. Che se hai pochi spicci in tasca una birra al San Calisto riesci a comprarla, poi via a godersi il fresco sulla fontana di Santa Maria In Trastevere, la fine serata più da sogno di tutte. E chissà che non ci scappi un bacio sospirato per il quale davvero tornerai indietro a ringraziare Marcello e gli altri, che se non fosse per loro non saresti lì. E loro ti faranno mezzo sorriso imbarazzato per poi dirti di spicciarti con un deciso “Che piji?”.

Dentro il locale il tempo ha smesso di scorrere con noncuranza tra foto di calciatori del secolo scorso, gagliardetti e bottiglie accuratamente impilate. Dal momento in cui paghi in cassa, rigorosamente prima della consumazione (e devi anche essere celere), in tre minuti netti sei di nuovo fuori. Il gelato costa 1 euro. Avete letto bene, 1 euro. E la panna non si paga. Si parla, ci si conosce, ci si innamora al Bar San Calisto. E del San Calisto. Che ha il fascino irresistibile della purezza sociale. Il pissi pissi informale sostiene che la denuncia per disturbo della quiete pubblica sia arrivata da esercenti limitrofi, e la notizia ha infiammato le polemiche. Altri sostengono che ci sia dietro un disegno volto a modificare completamente il tessuto commerciale di Trastevere, ormai sempre più barbaramente turistica. E il quartiere si ribella a modo suo, chiamando a raccolta chi crede nella bellezza vera. Un posto come il San Calisto è un’oasi di autenticità in una zona sempre più spogliata della sua essenza, replicata in souvenir di dubbio gusto e in foto su Instagram che estetizzano in modo quasi irreale. Trastevere ha bisogno del San Calisto, è il suo polmone d’acciaio (anzi di alluminio anodizzato, vero must dello stile anni 70 immutabile del locale). Con il San Calisto Trastevere ritrova la sua essenza più pura. Roma è de tutti, sempre. E al Bar San Calisto la vera Roma scalpita di resistenza.