A volte ci fermiamo a pensare a tutto quello che ci sta dando la tecnologia — soprattutto quando qualcosa va storto e un televisore si impalla durante i rigori di una finale, o un cellulare smette improvvisamente di ricordarci di respirare. Dal banco del suo laboratorio di riparazioni hi-tech, nel bel mezzo del quartiere Africano, Marco Legnani ci ricorda ogni giorno quello che possiamo dare noi alla tecnologia. E qui non parliamo di dati personali e buona parte del nostro tempo, libero e non. Qui parliamo di sentimenti.

Non immaginereste che un laboratorio tanto avanzato — anche uno che, fra i pochi vezzi che Marco si è concesso in 22 anni di apertura a orario continuato, si chiama Radio Gaga — potesse somigliare tanto a una vecchia bottega, ammaliante e piena di ricordi. Il negozio che somiglia di più a Radio Gaga è l’ospedale delle bambole di via di Ripetta; quello che gli somiglia di meno, una qualunque Clinica iPhone.

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Dal 1995 — che, in anni da hardware, è come se fosse dal 1895 — Marco non è un semplice Geppetto di telefonini, ma il Doc Brown di una macchina del tempo chiamata manutenzione. Il suo core business è bipartito. Da una parte, la riparazione efficiente e specializzata di impianti hi-fi, televisori, telefonini, attrezzature da dj. Dall’altra, la nostalgia di qualcosa di apparentemente rotto o perduto a cui, grazie a Radio Gaga, possiamo dare un’altra possibilità. In altre parole, Marco è tra le sei persone, nel nostro Paese, che possano riparare un certo televisore Philips, ma l’unica che può aggiustare un po’ anche voi.

Un veterinario di autoradio che scrive un pezzo di sceneggiatura nel suo Toy Story

Radio Gaga è un porto di mare, dove clienti da ogni parte di Roma — e, per corrispondenza, d’Italia — vengono a sfogare tutte le ansie e le preoccupazioni che, per un motivo o per un altro, non riescono sfogare sul prossimo o sui propri cari, e riversano sugli oggetti che meglio hanno imparato a rimpiazzarli: i loro dispositivi elettronici.

Ogni giorno questo veterinario di autoradio scrive un altro pezzo di sceneggiatura nel suo Toy Story per giocattoli da adulti, venduti come perfetti, ma che trovano nel momento del bisogno l’epifania di imperfezione che li fa amare ancora di più, forse perché diventano migliori amplificatori non solo delle canzoni preferite dai clienti, ma anche di loro stessi.

Questi oggetti, tra le sue mani, non conoscono obsolescenza, né programmata né imprevista. È chiaro che Marco è qui per fregare il sistema. La sua visione della tecnologia non comprende relazioni occasionali e superficiali, one night stand con transistor fallati, alla Tinder; ma spinge a rapporti seri, astenersi perditempo.

Nonne a un passo dalle nozze di silicio portano con sé, avvolti nel sudario improvvisato di un centrino di pizzo, telecomandi anni ‘80 di cui conoscono a memoria ogni centimetro e pulsante, come conoscono la mano di loro marito. Si capisce subito, dallo sguardo sotto le lenti progressive, che Marco è la loro ultima spiaggia, perché nessun altro può o vuole riparare prodotti del genere e, soprattuto, di certo loro non possono o vogliono imparare un nuovo libretto delle istruzioni.

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Radio Gaga è diviso in due parti, per il senso dell’altezza. Al primo piano, la sala accoglienza dominata, oltre che dalla gentilezza e dalla pazienza del personale, da enormi casseforti d’epoca, dove sono custoditi gelosamente, insieme ai telefoni di centinaia di clienti, anche molti dei loro segreti. Al piano di sotto, dove le luci si fanno soffuse (sono al neon colorato, effetto naturale, il giusto equilibrio per tante ore di premure per l’artificiale), c’è il laboratorio di Marco.

È qui che riuscite a capire la sua soddisfazione per un braccio da giradischi che, dopo ore a piatto aperto sul banco, torna in partita, senza che sia versata neppure una lacrima di hipster o di dj. È qui che è più evidente che, per lui, la tecnologia è di nuovo un mezzo, e mai un fine. Quando lavora sui giradischi, Marco non solo è oltre le mode, ma è anche oltre la musica stessa: nel testare un Pioneer appena riparato, al culmine di un vinile verdiano, non aspetta il do di petto, ma che la puntina finisca il suo percorso senza crepitii. La gioia per la cantata spetta a voi, una volta tornati a casa.

Il sancta sanctorum di Marco sarà anche al piano di sotto, ma il suo segreto è Silvana, la manager di Radio Gaga. Se Marco esercita il potere temporale sui prodotti, lei quello spirituale su dipendenti e clienti. È grazie a lei che tutto fila liscio, perfino con i ragazzi dell’alternanza scuola-lavoro, che finiscono per imparare da Marco alcuni dei segreti del suo mestiere, e non soltanto teoria e tecnica del cazziatone.

Mentre siete in fila per lasciare il vostro iPhone X in assistenza, non potendo ingannare il tempo sul display del telefono rotto, guardate alla vostra sinistra e vi si apre un mondo. Dietro una vetrina, un piccolo museo di cellulari antichi. Un’occhiata e ci entrate dentro, come nell’armadio di Narnia, perdendo rapidamente il senso del tempo, o forse riacquistandolo, e presto vi sentite degli sciocchi ad aver dato tanto peso a certi aggiornamenti di sistema.

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A darvi il benvenuto è il più elegante di tutti, a mo’ di maggiordomo: un T28 Ericsson. Con quel vitino sottilissimo, a fronte di quell’antenna tozza e trapezoidale, in alcun modo retrattile, ingombrante e potenzialmente foriera di traumi, si proiettava impertinente fuori dal taschino della camicia da cui sognavate di sfoggiarla nei ristoranti più in del vostro circondario. Quasi fosse una decorazione al merito di aver saputo scegliere il telefono giusto per affrontare sia il millennium bug che la prima cena con quella che avreste voluto fosse vostra moglie. A guardarlo oggi, attraverso la vetrina di Radio Gaga, quel T28, famoso per essere uno dei primi più caro di un milione di lire, e il più scomodo di tutti, vi fa sentire sollevati come davanti a una foto di una fidanzata d’epoca: lieti di rivedere in tutta la sua gravità, ma ormai neutralizzato e musealizzato, lo spauracchio di un piccolo grande amore a cui siete riusciti a scampare.

Si prosegue con gli sguardi alla Marina Suma in Sapore di mare che lanciate al BlackBerry Bold 9900, baldanzosamente posato su una piccola sdraio di legno, senza la cui tastiera, compagna di milioni di battute — spazi e sospiri esclusi — non avreste mai potuto sperare, per una stagione balneare in più, che si potesse realizzare l’amore impossibile della vostra vita.

Tesoro tra i tesori, una serie di stampe d’epoca della campagna Hotline, datata 1987, per un telefono che pesava un chilo eppure ti faceva sentire leggero come una farfalla e ardito come Indiana Jones. Le infinite possibilità rappresentate da questo nuovo, stupefacente dispositivo — da portarsi dietro con la stessa fiducia e comodità di un fucile a canne mozze — erano targettizzate su un moderno cowboy suburbano, a cavallo della libertà che gli permetteva la batteria, tra un’avventura e l’altra, di quartiere in quartiere della stessa città, meglio se nello stesso quartiere, perché l’autonomia era solo di mezz’ora di conversazione. E ancora: il lettore di cassette stereo PK-3, con la scatola ancora intatta, che strilla il suo nome da battaglia: AUTO REVERSE, con font grande il quadruplo rispetto al marchio Pioneer, il più proustiano gadget che sia mai stato prodotto dall’uomo.

Eppure, nonostante tutto questo, il vero tesoro di Radio Gaga è l’archivio dei messaggi dei clienti. Sono biglietti d’accompagno scritti in decenni di spedizioni da tutta Italia. Ancora oggi su carta, forse perché, nel momento della défaillance digitale, si preferisce appigliarsi alla certezza della penna. Gli strafalcioni che vi sono contenuti ne farebbero un libro meraviglioso, che Marco potrebbe tranquillamente intitolare: “Io speriamo che me l’aggiustano” e sbancare in libreria, se solo tra i suoi pregi non ci fosse anche la discrezione. Infatti, solo dopo molte preghiere e nel più completo anonimato possiamo citarvene, in esclusiva, qualche passaggio particolarmente significativo. L’ansia per la salute di un figlio o di un tablet può spingere anche i genitori più grammaticalmente sereni a commettere qualche ingenuità.

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Qualche volta non si capisce se sia richiesto l’intervento di Marco o di un otorino: “Mio figlio stava telefonando, è esploso il display e gli è venuta l’otite. Per favore aiutatemi”.

“La radio fa degli screcchi quando curvo a destra”.

“Per favore riparate entro lunedì il cellulare di mio figlio che ha 12 anni e ci lavora”.

“Il cellulare era appoggiato sulla scrivania (acceso), si è spostato da solo e cadendo si è spento”.

“Da quando ho ripreso il cellulare mi arrivano solo messaggi e poche chiamate”.

Ogni circostanza possibile, quando di un malanno non si conosce l’eziologia, può essere utile, nella mente del paziente, per il lavoro del medico: “Come da contatto telefonico ti mando il carica dvd [...] che si è bloccato dopo aver visto un film di Rocco Siffredi”.

Insomma, il bello di Radio Gaga è che vi invita ad abbracciare una forma di amore per la tecnologia che è, in sintesi, l’amore per la parte più preziosa di noi che potrà mai finire in un dispositivo, e che sfugge tanto agli analisti dei big data quanto ai nostri impertinenti contatti di Facebook; ai fidanzati che ci rubano il log in, agli inserzionisti che comprano al ribasso le nostre preferenze più inconfessabili: il software sempre aggiornato della nostra anima.