Ho bloccato mia madre su Instagram. È bastato il suo follow: sono andata d'istinto sul suo profilo, ho cliccato in alto a destra sui tre puntini, ho selezionato l’opzione giusta. Come bloccare su Instagram, lezione numero uno. Il profilo di mia madre è finito direttamente nell’elenco degli account bloccati tra spammer professionisti, venditori di like, ragazze palesemente fake e altre amenità. Una compagnia che non c’entra nulla con lei, ne convengo: mia madre è una signora elegante, la regina del pendant con le sue collane strepitose e i capelli bianchi sempre in piega. Ma sta nell'inferno dantesco virtuale dove, per puro contrappasso, ho deciso di relegarla. Mia madre non può vedere le foto, le Stories, i commenti. Per lei su Instagram praticamente non esisto. Che crudele, non vuoi che tua madre veda le foto che posti, non vuoi che segua le tue Stories? No. Non voglio. Vivo molto meglio da quando ho preso questa decisione. E a volte minaccio di vietarle anche l’accesso al mio profilo su Facebook: “Giuro che ti blocco”. Sono diventata mia madre, sì. La mamma social di mia madre.

Per mia madre i social sono la versione 2.0 del gazzettino di paese: sapere tutto quello che succede.

Il comportamento di mia madre su Instagram e Facebook è da lurker pura. Ai tempi di blog e forum, i lurker erano coloro che leggevano tutto ma non commentavano mai. Oggi non è cambiato molto: i lurker sui social hanno trovato il loro ambiente ideale. Sono in mezzo a noi intorno a noi in molti casi siamo noi: nello specifico, secondo la regola dell’1%, i lurker sono esattamente il 90% degli utenti attivi su Instagram, Facebook e Twitter, i tre social principali di questa parte di mondo. Non si intromettono in discussioni già aperte, non scrivono, non intervengono, non si fanno notare. Mia madre è una lurker semiprofessionista: non produce contenuti. Non scrive status, non posta foto, interagisce raramente, al massimo è capitato che ricondividesse qualche immagine (per fortuna mai quei post in stile “Cinquantenni su Facebook” come li descrive lo stand up comedian Edoardo Ferrario nel suo spettacolo Temi caldi su Netflix). Dalle foto sgranate, dai buongiornissimo kaffèèèèè, dalle scritte in Comic Sans è fortunatamente immune. Sarà il suo senso estetico, la privacy, gli studi classici, ma paradossalmente mia madre è consapevole che Facebook sia un’agorà dove è facile essere interpretati in modo sbagliato. Per questo preferisce guardare. Per mia madre i social sono la versione contemporanea del gazzettino di paese: sapere sempre quello che succede. Parziale, spesso iperbolico, totalmente interpretabile. Ma mia madre non resiste. Scrolla e legge pazientemente quello che le appare nella sua bolla di amici, allarmandosi quando qualcosa non segue il tranquillizzante flusso quotidiano della dashboard. Per dire, se non vede i miei articoli pensa che abbia perso il lavoro, mi cerca per sincerarsi che vada tutto bene, indaga prudentemente sulla mia situazione lavorativa. E ogni volta discutiamo secondo copione: “Le conosci le testate per cui scrivo, mamma, vai sul sito e leggi i pezzi!”, “Ma Facebook è comodo!”. Per chi? Per lei. Io ogni giorno devo condividere qualcosa. Sennò mia madre di preoccupa.

Io ogni giorno devo condividere qualcosa. Sennò mia madre si preoccupa.

A proposito di condivisione, pochi giorni fa ha fatto molto scalpore la sbottata di Apple Martin su Instagram. La figlia di Gwyneth Paltrow ha ripreso sua madre per aver postato un loro selfie insieme e le ha ricordato che non può postare nulla su Instagram senza il suo consenso alla pubblicazione. La risposta della 15enne Apple Martin ha aperto ampi spazi di discussione non solo attorno alla privacy dei figli dei vip, ma anche dei figli delle persone normali. Che sono persone, va sempre ricordato. Magari non vogliono ritrovarsi esposti su profili social non loro sin dalla nascita, non vogliono apparire. Ma la replica di mamma Gwyneth, che ha tentato di abbozzare spostando il discorso sul contenuto della foto (“Ma non ti si vede nemmeno la faccia!”), è stata il vero fallimento della comunicazione reale. Abbiamo palesemente visto tutti quello che è successo: una madre che ignora il diritto alla privacy della figlia, arrogandosi la possibilità di pubblicarla senza chiederle se lo vuole o meno. Se una ragazzina ti chiede di non condividere le sue fotografie, bisognerebbe rispettarla. Idem al contrario, ovviamente: il consenso sui social è un argomento spinoso, delicatissimo e quanto mai attuale. Io ho dovuto vietare a mia madre di inviare le mie foto via Whatsapp alle sue amiche. Ok, non è Instagram, ma una chat o un gruppo Whatsapp è più social di un social. Esagerata io? Forse. Ma il principio dell’infinita riproducibilità del file mi impaurisce, sono prudente sulle condivisioni e ho un forte attaccamento alla privacy. È inclinazione da digital native. Per chiarezza, faccio lo stesso con lei: posso mostrare la sua foto dal mio telefono ma non la invio senza il suo consenso. Chiedo lo stesso.

Ho dovuto vietare a mia madre di inviare le mie foto alle sue amiche.

Oltre che una questione di relazioni sociali diverse, dominate tutte dal frastagliato e sempre più assottigliato concetto di privacy, i rapporti social tra genitori e figli sono un problema di linguistica. Nel nome di Roman Jakobson, Ferdinand De Saussure e pure Noam Chomsky, io e mia madre sui social siamo un assunto di linguistica pura. Parliamo “linguaggi” diversi, è semplice. Il mio è funky, intriso di citazionismo nerd e pop, corollato di musica di tutti i tipi, declinato in diverse lingue (queste sì) spesso ermetizzate, riadattate e giocate a modificarne il significato. Detta così come parliamo sui social è incomprensibile pure a me. Ma mia madre, se scrivesse sui social - immagino - sarebbe ben più descrittiva e specifica, elegante, pulita, letteraria. Alessandro Manzoni 4.0. Dove sta la differenza? Parliamo la stessa lingua, un italiano corretto e pure parecchio variegato nel vocabolario, ma non riusciamo a comunicare. Le nostre due varietà linguistiche sono diverse: direbbe Umberto Eco che non abbiamo gli stessi riferimenti enciclopedici. Ai nostri messaggi mancano troppi contesti: la chiave d’accesso al linguaggio specifico dell’altra, lo scenario di riferimento, i rapporti tra le persone che stanno interloquendo. Il significato di ciò che stiamo dicendo/scrivendo/postando emerge irrimediabilmente distorto. Mettiamola sulla linguistica pura: io e mia madre non usiamo il codice linguistico nella stessa misura. Il fatto che siamo due parlanti di italiano non fa di noi due soggetti chiamati a comprendersi per forza. Non ci si capisce mai del tutto, ci si capisce sempre un po’, semplificando il concetto di incomprensione espresso da Tullio De Mauro. Sui social questa massima diventa ancora più centrale. Mamma, so che stai leggendo, ti ribadisco un concetto: non ti possiamo spiegare certe battute.

Ho bloccato mia madre su Instagram per salvaguardare lei e me.


Oltre alla linguistica, il rapporto genitori/figli apre anche alla social-logia (social + sociologia, l’ho coniata adesso). Prendiamo Instagram nello specifico: i filtri non sono solo quelli delle foto. Siamo noi che scegliamo cosa pubblicare, chi può commentare, come reagiamo ai contenuti degli altri, in base alle nostre misteriose leggi social-i che intratteniamo con followers e followed. Tutto segue un particolare codice espressivo. Lo so, non vi ho ancora risposto alla domanda sul perché ho bloccato mia madre su Instagram. Per salvaguardare lei e me. Non ho niente da nasconder(l)e, altrimenti non lo posterei affatto; non sono una di quelle che sui social è in un modo e dal vivo in un altro. Semplicemente, non voglio che mia madre interpreti me attraverso quel poco che traspare dai miei social. Lo reputo quanto di più rischioso e compromettente per la delicata, complessa e stratificata relazione madre/figlia che portiamo avanti tra amore e cornate da 35 anni. Preferisco chiamarla per raccontarle qualcosa di importante che mi è successo, qualcosa che comunque non scriverei sui social nel 2019 (sono cambiati loro e sono cambiate le modalità di fruizione da 15 anni a questa parte). Se glielo racconto a voce è molto più bello, è davvero importante, e in più permette di evitare le incomprensioni. Resto convinta che non sarà una foto o una story su Instagram a darle un nuovo tassello della donna che sono o come cambio, mentre un racconto diretto e una riflessione insieme è un anello di catena più forte tra di noi. No, non mi pento di aver bloccato mia madre su Instagram. Forse dovrei farlo anche su Facebook.

(Si ringrazia Giorgia Iovane, docente di Semiotica Applicata all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, per la consulenza linguistica)