Non è per niente facile spiegare l'ultimo passatempo (che forse sta sfiorando lo status di ossessione) del fotografo Mario Santamaria. A scovarle questa passione e raccontarla per bene è stato FastCompany.com, in un articolo che racconta cosa sta facendo di questi tempi l'artista: innanzitutto esplorare i musei del mondo con Google Street View alla ricerca di immagini strane, molto strane. Per l'esattezza, in compagnia del suo mouse, Santamaria esplora i musei virtuali creati dalle immagini con cui i Google Robot li renderanno disponibili al mondo in forma digitale e, ignorando del tutto le opere d'arte, perfino a quelle dal valore inestimabile, si concentra sugli specchi. Sa bene, infatti, che prima o poi in uno di questi un Google Robot catturerà un'immagine che lo vedrà ritratto mentre catturava, a sua volta, un'immagine. In buona sostanza, quel che cerca Santamaria, oltre ai selfie virtuali, è la ricorsività dell'immagine che cattura un'immagine che ha catturato un'immagine. Etc, etc, etc. Una volta individuato uno di questi selfie involontari del robot, l'artista lo caricherà su the camera in the mirror , il progetto fotografico che ha creato su Tumblr.

Sono scatti bellissimi, non soltanto per il genio che c'è dietro all'intuizione di un fotografo perfettamente immerso nella contemporaneità ma anche per gli scenari che vengono ritratti, tra lampadari di cristallo, candelabri e busti di marmi. E al centro di tutta questa opulenza elegante, lui, il Google Robot che si guarda allo specchio e, se mai avesse visto uno Z Movie di fantascienza degli anni 60, si renderebbe conto di quanto sembrerebbe uscito da uno di quei film. In tutta questa tanto complessa quanto originale dinamica, Mario Santamaria trova un significato profondo e, come riporta lo stesso articolo citato in partenza, si pone alcune domande-chiave che hanno a che fare più con la cultura e la filosofia del digitale che con l'arte. Interrogativi focalizzati sulla tecnologia del tipo: “Come si pone l'occhio umano nei confronti di una realtà sempre più filtrata da processi che hanno come protagonisti le macchine?”. Oppure: “La bellezza del patrimonio artistico che senso assume per lo sguardo del robot?”. Ma anche più incentrati sull'individuo: “Per chi stiamo creando queste piattaforme digitali?”; “Siamo davvero noi i destinatari di questo mondo virtuale”?, “Oppure è solo un passaggio destinato a raccogliere informazioni per un mondo futuro dominato dalle macchine e dalle reti che si scambiano autonomamente dati”. Domanda esistenziali che (ancora) non hanno risposte. Che magari non arriveranno mai. Ed è forse anche per questo che Mario Santamaria continuerà, imperterrito, a fare il suo lavoro.