«Dai, fa troppo caldo... C’è la partita di pallone... E poi li odio, li ho già fatti in classe». Vi suona, il tormentone? Sappiate che anche noi mamme siamo stufe di vacanze e weekend golpizzati dalla cartella in trasferta, dalle frazioni apparenti, da Carlo Magno. E stanche di usare minacce e ricatti se l’analisi grammaticale non viene portata a termine.

Ma è proprio indispensabile questa overdose di matematica e italiano in vacanza? Insomma, servono i benedetti compiti in vacanza? Certo, la memoria va tenuta in esercizio ma ci augureremmo, veloce, un cambio di passo come ha promesso la ministra Giannini nell’ambito della riforma della Buona Scuola, dove anche i compiti a casa dovrebbero essere di diversa natura. Evvai.

Anche perché gli studenti italiani, secondo l’Ocse, detengono il “primato” europeo di 9 ore di compiti contro le 4 al di fuori del tempo scuola (meglio non dirglielo!). Basterebbe confrontarci con la Francia, che li ha aboliti in nome dell’égalité, perché discriminano chi non ha un sostegno genitoriale. O con Inghilterra e Stati Uniti, dove sono stati sostituiti da letture narrative e riassunti. In attesa che la Buona Scuola si spalmi sulle famiglie, come sopravvivere all’incubo dei compiti da finire? «Dividere un “elefante in hamburger”, ovvero programmare», suggerisce Rachele Macchi Cassia, madre, pedagogista e professional counselor, ideatrice per l’Associazione PuntoUno di Milano di workshop per genitori e campus per bambini e ragazzi dedicati alla gestione dei compiti. «Stabilite con il bambino un calendario, suddividete le pagine per i giorni di vacanza a disposizione, e accordatevi sul tempo massimo di studio, massimo un’ora alla volta. Vedrete che funziona: impostata la cornice, sfuma il capriccio del “non ho voglia!” che è una forma d’ansia. Però, i genitori a questo punto non devono metterci il becco, lo studio è autonomo, “aiutami a fare da solo” diceva Maria Montessori, sarà affare dell’insegnante a settembre capire le carenze e provvedere ».

Inchiodare i figli alla sedia per un’ora di concentrazione non è facile, ma il trucco c’è. Ce lo passa Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e ricercatore all’università di Milano: «Fate un contratto, collegate l’esecuzione del compito a un obiettivo e a un bonus, 1 punto ogni volta che il bambino dimostra di essere capace e autonomo, più 3 se la settimana è a punteggio pieno. Quando arriva a 10 merita un’avventura speciale da fare insieme, che accende motivazione e autostima».

A noi però il dubbio resta: dobbiamo proprio digerirli i compiti a casa? Pellai ha una risposta: «Cento giorni privi di un minimo impegno è anarchia totale, i nostri figli oggi sarebbero preda della tecnologia, e il polpastrello non è il cervello. Siate creativi, applicate il principio dell’edutainment, che è educare divertendo: la passeggiata nel bosco serve al ripasso della fotosintesi clorofilliana, lo yoga con la mamma per ricordare gli elementi del sistema respiratorio, il museo fa scoprire cosa mangiavano i greci, le tabelline si possono ripetere anche palleggiando».

Compiti necessari, però così diversi da non essere più compiti. Ecco il pensiero radicale di Elvira D’Alò, preside dell’Istituto Comprensivo Santa Chiara di Brindisi e pedagogista clinica: «Dove c’è obbligo non c’è apprendimento, compiti delle vacanze fotocopia di quelli scolastici sono inutili. La cosa migliore invece è la lettura, ma facendo scegliere a loro i libri. Tiene acceso il cervello, ed è tutto ciò che serve».