“Volevo raccontare una storia di persone che affrontano le proprie emozioni, oscillando tra momenti di sofferenza e momenti di felicità interiore”, chiedere a un regista cosa prova dietro la cinepresa è un po’ come chiedere a un padre cosa sente di fronte al sorriso di suo figlio. Chiedere a Mikhaël Hers che significa plasmare un film come Quel giorno d’estate vuol dire domandare a un uomo, prima ancora che artista della settima arte, come si traspongono su pellicola cinematografica le storie di vita che tutti noi potremmo essere chiamati ad affrontare. “Un film è fatto di elementi singoli che si incastrano tra di loro in modo inspiegabile, tanto che diventa necessario creare una storia, è inevitabile”, spiega il regista del dramma francese Quel giorno d’estate, al cinema in Italia dal 30 maggio distribuito da Officine UBU. “Il punto di partenza era il bisogno di fare un film sulla Parigi di oggi, catturando la fragilità e la violenza dei nostri giorni, e intersecarvi la vicenda di un bambino un po’ cresciuto e una bambina vera che si sostengono a vicenda per andare avanti dopo gli attentati del 13 novembre…”.

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Il “bambino un po’ cresciuto” è David, interpretato da uno dei giovani attori più promettenti del cinéma contemporaneo, Vincent Lacoste, che vive a Parigi e prova a sbarcare il lunario con piccoli lavoretti occasionali. L’unico contatto familiare è rappresentato dallo stretto legame con la sorella Sandrine e la nipotina Amanda, cresciuta senza un padre. Durante l'estate David incontra Lena (Stacy Martin), appena trasferitasi nella capitale, e tra i due nasce presto un amore. Quando tutto sembra andare per il meglio le loro vite vengono sconvolte da un attacco terroristico nel cuore di Parigi, nel quale Sandrine perde la vita. “E da lì, inizia la storia di due persone che cercano di colmare a vicenda il vuoto che li opprime”, continua Hers. Un indicatore di come la cinematografia francese ha reagito agli attacchi del 13 novembre, un ritratto sociale e culturale della "generazione Bataclan”, un dibattito in 106 minuti di un tema che che gli stessi media hanno già quasi dimenticato, il film Quel giorno d’estate vuole mostrarci quello che crediamo di sapere, quello che non vogliamo sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere. “Il duo che David e la bambina formano mi ha toccato nel profondo, è stato un modo per parlare anche della paternità… Una paternità accidentale, una sorta di eredità” che è quasi una “benedizione” per chi è chiamato ad affrontare un lutto. “Un lutto che è sia personale quanto collettivo”. Una pellicola che sembra scritta, interpretata, confezionata per lasciare che lo spettatore abbandoni la sala interiorizzando un’unica verità: “Anche quando si subisce una terribile perdita, una tragedia, il mondo comunque continua a girare, la vita va avanti”.

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