“Mettete via per favore i vostri telefoni e le macchine fotografiche per vivere il momento. Passerete in tre ambienti diversi, dove potrete sedervi, camminare, sfogliare i libri, ascoltare la musica, rilassarvi… starete cinque minuti in ogni stanza. Questo braccialetto registrerà la vostra risposta fisiologica ai diversi stimoli e all’uscita potrete vedere la visualizzazione di questi dati e rendervi conto di come il vostro corpo ha risposto. Dopo la lettura del vostro braccialetto, le informazioni verranno cancellate e vi verrà consegnato il risultato su carta, dove potrete vedere dove vi siete sentiti più a vostro agio, se vorrete emulare questi dettagli di arredamento e atmosfera nel vostro spazio personale”.

Queste le istruzioni che venivano impartite all’ingresso di Google A Space for Being allo Spazio Maiocchi durante la Milano Design Week 2019, mentre a ognuno di noi veniva chiesto di indossare un braccialetto con quattro diversi sensori in grado di misurare i biomarcatori (sensori per l’attività del cuore e la respirazione, per il sudore, il movimento del corpo e misura della temperatura della pelle).

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Edoardo Delille

Google prosegue la ricerca di una tecnologia e di un design con la persona al centro inaugurata l’anno scorso presso la Galleria Orlandi. Non presenta un nuovo device e un'innovazione tecnologica, ma una riflessione: come reagisce il nostro corpo a un ambiente? Come può il design influenzare il nostro stato psicofisico e il nostro benessere?

Sotto la guida di Ivy Ross, Vice President Hardware Design, Google ha portato a Milano un percorso in tre ambienti-salotti diversi per colori, texture, musica e materiali dove gli ospiti erano invitati a soffermarsi. Il concept di questa installazione è stato messo a punto applicando i principi delle neuroestetica, campo interdisciplinare che unisce la neuroscienza e l’estetica analizzando e studiando come la nostra mente e il nostro corpo rispondono ai diversi stimoli di un’esperienza estetica.

Al fianco di Ivy Ross, il Direttore Creativo di Muuto, Christian Grosen, Suchi Reddy dello studio americano di architettura e design Reddymade e Susan Magsamen, fondatrice e Direttrice dell'International Arts + Mind Lab presso l’università Johns Hopkins di Baltimora.

Le tre stanze - Essential Room, contraddistinta da materiali caldi e luci soffuse, Vital Room con colori più vivaci e Trasformative room, sui toni chiari e ricca di specchi - sono state arredate dall’azienda scandinava Muuto.

Dice Christian Grosen: “L’idea di A Space for Being è incoraggiare tutti noi a essere più consapevoli degli elementi di cui ci circondiamo, capendo cosa risuona meglio per la nostra sensibilità personale e spingendoci a essere più consapevoli di come gli oggetti intorno a noi possono influenzare come ci sentiamo. Dovremmo essere tutti più attenti all’uso di forme, texture, materiali e colori nella nostra vita quotidiana”. - Per scoprire inaspettatamente che magari ci siamo trovati più a nostro agio e rilassati proprio in quella stanza che ci è piaciuta di meno.

A esperienza conclusa, ne parliamo con Ivy Ross dalla sede Google di Mountain View in California.

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Edoardo Delille

Questa installazione come nessun'altra alla Milano Design Week, ha richiesto tempo a ognuno di noi: 5 minuti in ogni ambiente e anche l’inevitabile coda. Ci hai convinto a “perdere” del tempo per Google e per noi stessi, proprio nella settimana più intensa e frenetica dell’anno.

Con questa nostra presenza a Milano volevamo regalare un’esperienza personale a ciascun ospite e continuare la conversazione riguardo l’importanza di un design consapevole e ben pensato. Questo è stato uno dei feedback più frequenti che abbiamo ricevuto: durante la settimana del design, dove si corre da un evento all’altro, la nostra installazione ha permesso agli ospiti di prendersi un momento di pausa e lasciare che tutto lo stress e l’energia si dileguassero. E tutti ne sono stati contenti: prendersi 20 minuti di calma e avere il tempo di pensare agli elementi delle diverse stanze e vedere come ci fanno sentire. Questo voleva essere il nostro regalo per ogni ospite, offrirgli l’opportunità di una riflessione personale.

Come mai hai voluto darci quest’opportunità?

Ho toccato con mano quanto questi principi siano importanti e benèfici per il mio team e la mia vita, e così volevo condividerli con quante più persone possibili. Ed è molto più semplice e più efficiente viverlo nella vita vera che raccontarlo in un’intervista. Poter dimostrare alle persone che possono influenzare il loro sentire in base a quello di cui scelgono di circondarsi è stata una delle cose più emozionanti per me.

Ci avete prestato un braccialetto. Avete potuto valutare i dati ottenuti da ognuno di noi quasi come un sondaggio per vedere l’influenza di ogni ambiente, colore e forma? Ci sono state delle maggioranze in termini di reazioni?

Non abbiamo raccolto e tenuto nessun dato. I risultati di ognuno di voi venivano cancellati non appena il braccialetto era stato analizzato alla fine del percorso. Quello che abbiano notato dalle conversazioni e dai racconti delle persone è che più di metà di loro è rimasta sorpresa nello scoprire in quale stanza si è sentita più suo agio. E questa era una delle cose che speravamo si verificasse, perché dimostra come spesso quello che la nostra mente pensa non è quello che sente il nostro corpo.

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Edoardo Delille

Eravate già consapevoli degli effetti e risultati di alcune texture e forme e, quindi, avete progettato gli ambienti più come conferma o è stato un esperimento?

Abbiamo simulato l’installazione in California, per iniziare a visualizzare le stanze e testare il design e gli elementi specifici. Abbiamo usato lo spazio riprodotto a Mountain View anche come un’opportunità per provare rigorosamente la tecnologia del braccialetto e la visualizzazione software. Volevamo arrivare a Milano pronti al via. Ma l’aspetto più sorprendente di questa esperienza è stato che ognuno ha avuto la propria e individuale risposta ai rispettivi ambienti. Sapevamo che il concept e i dati potevano validare una risposta di neuroestetica individuale rispetto a ogni stanza, ma a Milano è stato davvero meraviglioso vedere come l’esperienza di ciascuno fosse così diversa. Prima non potevamo prevederlo.

A Space for Being si base sui principi della neuroestetica. Ci sono delle regole oggettive per cui a tale stimolo corrisponde sempre una data risposta? O i risultati sono sempre personali, quindi quello che può essere il miglior design per me non lo è per un’altra persona?

Questa è una bella domanda e credo che se un buon design incorpora sempre principi simili, la risposta di ognuno di noi sarà invece sempre soggettiva e unica. A Space for Being non voleva diagnosticare o dettare nessuna specifica attitudine al design: ognuno ha una risposta soggettiva. Quello che io potrei trovare rilassante potrebbe creare eccitamento per te. Magari qualcosa può non piacermi ma posso comunque apprezzarla e amare il pensiero con cui è stata progettata.

Non stavamo cercando di testare i colori o altri elementi di design, al contrario, volevamo offrire a ciascuno un’opportunità di riflessione: una chance per dimostrare a ogni persona come il suo corpo risponde a design diversi e come potrebbe fare propri questi “insegnamenti” nella sua vita.

Dicevi che spesso la nostra mente pensa qualcosa di diverso da quello che il nostro corpo sente. Può essere che io ami un certo colore o forma ma il braccialetto lo neghi e riveli un altro stato psicofisico?

Sì, e questa è una delle cose più interessanti emersa dall’installazione: tu puoi pensare “questo è il mio spazio preferito” o più rilassante, in realtà il tuo corpo potrebbe raccontarti una storia diversa. E questo è stato uno degli aspetti più sorprendenti che abbiamo visto a Milano. Gli ospiti uscivano sorpresi dai risultati e questo li ha costretti a fermarsi per un attimo e ripensare a quali elementi di design li avevano agitati e quali rilassati.

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Edoardo Delille

Neuroestetica e design. Inconsapevolmente, il lavoro di un designer ha sempre considerato i suoi principi e riflessioni?

Sì, in modo innato. Da sempre un buon design e i bravi designer considerano come faranno sentire le persone. Ma solo di recente abbiamo iniziato a capire davvero l’entità del suo impatto sulla nostra biologia. Oggi la neuroscienza è in grado di dimostrare che possiamo condizionare in modo positivo la nostra mente e il nostro corpo con l’ambiente e gli oggetti dei quali scegliamo di circondarci.

Quando e come ti sei avvicinata alla neuroestetica?

Come facciamo, come designer, a creare oggetti che diano un senso di benessere a chi li prende in mano, attraverso i loro colori, texture, forme, persino elementi nella tecnologia come l’interfaccia dell’utente nel software?

Di recente il campo della neuorestetica ha cominciato a puntare i riflettori sempre di più su questi processi e l’importanza di un design ben pensato e consapevole che può condizionare il nostro benessere. Circa due anni fa ho cominciato a studiare all’International Arts + Mind Lab dell’Università John Hopkins dove la conoscenza con Susan Magsamen non ha fatto altro che rafforzare il mio pensiero sull’importanza di questi principi.

Oltre a Susan Magsamen, nella squadra di Milano hai coinvolto Muuto e lo studio di architettura Reddymade. Come vi siete divisi i “compiti”?

Con Muuto eravamo già in contatto da un paio di anni, la nostra estetica è complementare. Abbiamo iniziato a vedere se ci fosse una strada di sinergia per la Milano Design Week 2019. E nello stesso periodo, mi è venuta l’idea di un concept che riuscisse a dimostrare ai visitatori la vera influenza del design su ognuno di noi. E abbiamo iniziato ad approfondire questa possibilità e a portarla in vita grazie alla mia conoscenza con Susan e Suchi Reddy.

Noi da Google abbiamo sviluppato il braccialetto che raccoglie i dati e il software per la loro visualizzazione, che ciascun ospite riceveva. È stata una partnership tra noi 4 nel vero senso della parola: una collaborazione grandiosa nel progettare le tre stanze usando i principi della neuroestetica, dalla scelta dei materiali, dei colori, i mobili e il pensare attraverso le specifiche forme e strutture di ogni spazio.

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Edoardo Delille

Sensi: uno è più importante degli altri o sono tutti sullo stesso piano?

Penso che la risposta sia davvero personale. Sappiamo che alcuni sensi sono legati in modo più forte al processo del pensiero, per esempio il profumo e la memoria. Penso che ciascuno di noi si relaziona ai propri sensi in un modo molto personale. Alcuni di noi amano cucinare per il senso del tatto o gli aromi, altri amano vivere la natura perché i loro corpi reagiscono alla vista degli alberi e dei fiori in modo intenso. Io posso avere un mio senso preferito, e qualcun altro può averne un altro. E questo è meraviglioso. E come designer vogliamo e dobbiamo considerare tutti i sensi con la stessa scala di valori.

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Edoardo Delille

“Cosa pensi” versus “cosa senti”? Il futuro del design è nel sentire?

Il design “che sente” porta davvero i principi della neuroestetica alla loro forma più pura nel campo del design. I designer, come dicevamo, considerano da sempre, per natura, come il loro lavoro possa condizionare chi lo usa. Ma quello che intendiamo qui è cambiare l’importanza di che cosa buon design significhi, come ci avviciniamo a esso e che risultato vogliamo. Il continuare a dare importanza all’aspetto “feeling” del processo del design contro il più razionale e logico “pensare” porterà sempre più a un raffinato progresso capace di influenzare il nostro benessere.

Dando più importanza al “sentire”, il processo del pensare incomincia a essere più naturalmente e organicamente. Ma pensare e sentire sono entrambi necessari e c’è un momento e un luogo per utilizzarli entrambi.

Come da Google li fai “danzare” insieme ? Come la neuroestetica, la neuroscieinza e biologia rientrano nel tuo lavoro di ricerca e sviluppo hardaware?

La struttura del mio team riflette entrambi gli aspetti. Abbiamo manager di programmi che aiutano a guidare gli aspetti più logici del processo, così i designer possono focalizzarsi su come i loro progetti condizioneranno mente e corpo. Come uno specifico colore o texture ci fa sentire? Perché non testare centinaia di combinazioni diverse di questi elementi e in questo modo identificarne uno che possa accendere la gioia quando prima non lo faceva?

In un futuro prossimo sarà possibile una personalizzazione non solo per le scelte estetiche del design ma anche per gli effetti su di noi?

Penso di sì. La tecnologia progredisce e riconosciamo il bisogno che sia sempre più vicino a noi come essere umani. Continueremo a mantenere la personalizzazione come uno degli elementi vitali. Quello che è giusto per me non lo è necessariamente per il mio vicino di casa. Dobbiamo essere consapevoli nel creare prodotti e software che permettano a ogni persona di essere se stessa ed esprimere la propria individualità.

La tecnologia potrà diventare un’alleata della neuroestetica per il nostro benessere e stato emotivo quasi a portata di click?

Assolutamente. Vediamo già la possibilità di cambiare i colori dell’illuminazione e l’intensità così come la musica e la temperatura semplicemente parlando al nostro home assistant. E questa tecnologia evolve: diventerà sempre più semplice da usare e con più capacità. Immagina di tornare a casa di sera e semplicemente dicendo “sono a casa” di attivare una catena di reazioni dove l'illuminazione, la musica, il profumo, la temperatura, la TV e molto altro ancora interagiscono per creare l’ambiente più piacevole in termini di neuroestetica su misura per te, e tutto questo allo stesso tempo.

Di solito un designer, quando racconta il proprio metodo di lavoro, parte per lo sviluppo di un prodotto e di una collezione dal piacere della sperimentazione di un materiale o di una forma, quasi mai al centro pone chi deve usare quell'oggetto e come si sente. Con A Space for Being questa intervista cambia la prospettiva.

Apprezzo molto quello che mi stai dicendo. Da Google ci immaginiamo sempre l’utente di fronte a noi, e lo mettiamo al centro della nostra ricerca, chiedendoci: come si sente usando i nostri prodotti? Desideriamo essere sicuri che la riposta a questa domanda sia sorprendentemente individuale e una reazione positiva per tutti. Questo è quello che guida me e la mia squadra a Mountain View quotidianamente.

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