Le statistiche di Women and Hollywood, sito dedicato alla raccolta di informazioni sulla gender diversity nel cinema, ci dicono che le donne nel 2018 rappresentavano soltanto il 27% tra coloro che si occupano della creazione, regia, scrittura, fotografia, produzione, produzione esecutiva, editing e direzione della fotografia in tutta la televisione pubblica, cable e streaming. È un dato da cui è importante partire se si vuole parlare di autrici televisive nella tv contemporanea, perché, nonostante gli enormi progressi degli ultimi dieci anni - eravamo al 16% nel 2008 - chiarisce una situazione sistemica in cui l'assenza delle donne nelle fasi in cui la tv viene pensata e scritta genera un effetto a catena per cui, di conseguenza, anche i personaggi femminili di gran parte della serialità risentono della mancanza di uno sguardo plurimo che dia loro profondità e realismo. Decenni di donne televisive appiattite sui ruoli bidimensionali di ingénue, seduttrice, caretaker hanno poi contribuito a costruire un immaginario lacunoso in cui il punto di vista maschile etero sul mondo, da semplice punto di vista si è fatto unica chiave di lettura della realtà. Anche se le cose sono parecchio migliorate in questi ultimi anni (ma siamo ancora ben lontani dall'avere la metà femminile del mondo coinvolta e rappresentata come dovrebbe) il merito va soprattutto alle reti televisive che sono state capaci di creare un sistema di meritocrazia in grado di premiare il talento, cercando di smarcarsi dalla discriminazione che colpisce alla base il ruolo delle donne nel mondo del lavoro e dello spettacolo in particolare.

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Serie come Fleabag, Crazy Ex Girlfriend, Killing Eve, non nascono dal nulla ma da politiche produttive che hanno saputo vedere più lontano e intuire il potenziale delle autrici che le hanno scritte e non a caso, sono serie andate in onda originariamente su CW e BBC, due reti che su sponde opposte dell'oceano e con modalità e tempi diversi hanno avuto la lungimiranza di creare un vivaio di professioniste in grado di portare una visione innovativa, potente, fuori dal coro. Per questo, quando parliamo delle protagoniste di queste serie, e di novità come Gentleman Jack (drama in costume co-prodotto da BBC e HBO che si spera arrivi presto anche in Italia), è riduttivo parlare di “donne forti” o di “punto di vista femminile”, perché si tratta di molto più di questo: l'importanza di queste opere all'interno dell'ecosistema televisivo non si esaurisce infatti nel saper tratteggiare protagoniste femminili assertive e potenti. La riscrittura di trope consolidati o addirittura di un genere non può limitarsi infatti al virare gli stereotipi maschili al femminile, altrimenti rischia di incappare nella stessa bidimensionalità dalla quale cerca di fuggire: non basta mettere una donna al posto di un uomo per ottenere qualcosa di nuovo, come è avvenuto in prodotti come Sharp Objects (adattamento di Marti Noxon del romanzo di Gillian Flynn) in cui la protagonista Camille è caratterizzata con lo stesso usurato e banale cliché del detective marcio e alcolizzato che in genere si utilizza per i personaggi maschili noir, mancando di sfruttare l'opportunità di fare qualcosa di nuovo con un genere televisivo di appartenenza, il southern gothic, che rarissimamente offre una protagonista femminile in un ruolo d'azione.

Certo, vedendo le seconde stagioni di Fleabag e di Killing Eve, arrivate entrambe in Italia da pochissimo, a saltare agli occhi è la personalità fuori dal comune delle protagoniste. Ma la vera potenza di queste serie sta nel modo in cui usano queste donne peculiari per offrire allo spettatore un nuovo modo di raccontare storie a cui siamo abituati. Nel caso di Eve e Villanelle a essere aggiornato è il cliché del rapporto di odio e amore - ed erotismo - tra killer e detective, una delle costanti narrative di tanta televisione thriller di successo (di cui Hannibal di Brian Fuller è stata una delle ultime varianti, in chiave camp e omoerotica) ma in cui almeno uno dei due punti di attrazione e repulsione è generalmente un uomo. Nel caso dell'omonima protagonista di Fleabag (o di Rebecca di Crazy Ex Girlfriend) a ricevere una riscrittura è la figura dell'antieroe tormentato e instabile, il “difficult man” dai rapporti problematici col mondo e dalle difficoltà affettive che tante serie drammatiche di culto ci hanno proposto in infinite variazioni sul tema, da Tony Soprano a Walter White a Don Draper. Per tutte queste serie, la costante è il tentativo di non soltanto mettere donne al posto degli uomini in questi ruoli e in questi plot, ma di rivoluzionarne dall'interno i cardini narrativi.

In Killing Eve, l'ambivalenza nei confronti della famiglia e la fragilità esplicitata di Eve sono tratti impossibili da ritrovare nei detective di qualunque altro thriller, così come l'attrazione tra lei e Villanelle si colloca al di fuori di qualunque tentativo di catalogarla secondo canoni eteronormati. Persino il ruolo che gli abiti hanno nell'esplorazione della personalità della killer porta con sé alcuni elementi di innovazione, che certo si rifanno alla tradizione dell'assassino dandy alla Hannibal Lecter ma innalzano i vestiti a inedito strumento di dialogo e seduzione. Allo stesso modo Fleabag e Crazy Ex Girlfriend costruiscono protagoniste che ci fanno credere di trovarci davanti al classico personaggio “che amiamo odiare” ma finiscono per portarci in tutt'altri territori, collocando entrambe in un percorso di crescita e auto-miglioramento impossibile da ritrovare nel percorso degli antieroi maschili, che in genere anzi fanno una bruttissima fine o al massimo si pentono dei propri errori, ma mai in nessun caso fronteggiano i propri limiti e lavorano per superarli: se vanno in analisi, come Tony Soprano, si tratta di un espediente narrativo e non certo del complesso percorso di liberazione dalla malattia mentale durato quattro stagioni che Rachel Bloom e Aline Brosh McKenna hanno pensato per Rebecca Bunch; se parlano allo spettatore, è con sicumera e ironia come Kevin Spacey in House of Cards, non certo con la paura negli occhi e il bisogno di conforto che caratterizzano sia la protagonista di Fleabag che Anne Lister, protagonista di Gentleman Jack.

La rottura della quarta parete, con cui appunto il personaggio si rivolge al pubblico direttamente, in Fleabag e Crazy Ex Girlfriend viene addirittura esplicitata internamente alla storia: a un certo punto anche i comprimari si accorgono che le protagoniste parlano con lo spettatore, togliendo il velo dell'illusione e desacralizzando, con ironia, uno degli artifici più comuni usati dalla televisione per far empatizzare il pubblico con l'interiorità dei personaggi principali. Una volta svelato questo artificio, lo sguardo in macchina svela tutta la sua natura di strumento “ruffiano” che serve soltanto alla ricerca del consenso, mostrando le protagoniste svelate, oltre l'immagine di donne forti, nei conflitti e nelle fragilità meno evidenti. Se il pinkwash, ovvero l'inserimento di una femmina a caso in un ruolo tradizionalmente maschile, è il rischio in cui più facilmente incappano serie tv e cinema contemporaneo quando cercano di cavalcare l'onda e compiacere le spettatrici, l'unico modo di sfuggirgli è muoversi in un territorio nuovo, cercando di smarcarsi dai cliché narrativi e stilistici creati dagli autori maschi. Le nuove autrici televisive fanno esattamente questo, ovvero usano gli old tricks della televisione e del cinema al servizio di nuove cose da dire e reimpostando regole di genere che sembravano scontate, oppure cercano nuovi percorsi per indagare l'interiorità dei propri personaggi - ad esempio creando antieroine che devono gran parte del proprio fascino ai lati negativi della loro personalità ma facendole diventare persone migliori. Un'operazione rischiosa che potrebbe sembrare di una noia mortale (anche perché il cinismo contemporaneo tende ormai a tacciare di buonismo qualsiasi narrazione che volga verso il positivo) e che mette in crisi le aspettative del pubblico, ma che in Fleabag e Crazy Ex Girlfriend si è dimostrata non solo vincente, ma una vera e propria deflagrazione: Fleabag e Rebecca compiono un percorso accidentato che le porta a essere se non migliori, molto meno pessime di prima, ma soprattutto ad accettare sé stesse e i propri errori senza autoflagellarsi né riversare il senso di colpa sul prossimo, senza perdere un millesimo del proprio fascino, che continua a funzionare perché non è fondato sulla negatività, ma sulla complessità, grazie a una scrittura in grado di immaginare donne mai bloccate all'interno di un'immagine immutabile di sé e restie a ogni tipo di definizione che le ingabbi, persino quando prendono in prestito stilemi e percorsi che si inscrivono perfettamente nel genere cui appartengono. Personaggi che senza la fiducia data alle autrici che li hanno creati (Phoebe Waller-Bridge, Sally Wainwright, Rachel Bloom e Aline Brosh McKenna) non sarebbero mai esistiti e non starebbero insegnando a noi spettatrici che c’è anche un altro modo di fare televisione, non necessariamente superiore ma senz'altro molto, molto necessario.

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