Come da tradizione, da quindici anni a questa parte, tra maggio e giugno ha preso vita il MI AMI Festival, al Circolo Magnolia. Sulla porta d’ingresso la scritta: Siete tutti i benvenuti, tranne razzisti, sessisti, omofobi e soprattutto gli antipatici. Il Circolo Magnolia è il luogo dove sentirsi a casa, che accoglie i ragazzi in modo inclusivo, anche tra l’umido e le zanzare dell’Idroscalo, a cui anzi nemmeno si fa caso. Il MI AMI Festival dura tre giorni e a suonare nel parco è la musica con cui ci siamo immedesimati di più nell'ultimo anno, o in tutta la vita, e anche novità assolute.

In questa edizione due main stage, uno spazio con food truck da tutto il mondo, palchi più piccoli, tra cui quello con la direzione artistica del fumettista Alessandro Baronciani, che ha ospitato live painting dei tantissimi artisti che stanno colorando la scena italiana.

Il MI AMI è il nostro festival, di quelli che credono nell’arte, nella musica, nella cultura in tutte le sue forme: anche quella narrativa. Il palco Mi Parli era dedicato al racconto orale (tutti potevano calcarlo e dare sfogo al pensiero) e arricchito dalle parole di alcuni scrittori, come Giulia Cavaliere. C'era anche la narrazione politica, quella di Emma Bonino, che è salita sul palco principale con la carica di sempre e un discorso appassionato.

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Claudio Caprai
MI AMI Festival

Il MI AMI siamo noi, le nuove tendenze, tutta la musica che riempie il nostro Spotify o il nostro Tidal: l’arroganza di Massimo Pericolo, la sperimentazione dei Coma Cose, lo stile di Mahmood. È tutto, tutto insieme: i nuovi big, Myss Keta e le sue ballerine in completino nero e rosa da cowgirl; il cantautorato di Motta; le origini del rap italiano di Bassi Maestro.

Il pubblico era appassionato anche alle novità, c’erano quelli venuti a sostegno delle loro band emergenti preferite «Noi siamo qui solo per sentire Nava e gli Uccelli»; c’erano le fan sfegatate di Chadia, che durante la sua performance brandivano una maglia con la scritta Bitch 2.0; c’era chi già cantava a memoria le canzoni indie di Clavdio.

E a proposito di nomi (più o meno) nuovi ma soprattutto interessanti, eccone alcuni:

GOMMA
I Gomma
sono composti da Ilaria, Giovanni, Matteo e Paolo, quattro ragazzi di Caserta che esordiscono nel 2016 con Toska, un album pieno di rimandi cinematografici dal tono drammatico. Dopo una pausa in cui hanno seriamente pensato che non sarebbero mai più tornati a fare musica insieme, invece, tornano. I Gomma pubblicano Sacrosanto a gennaio 2019 e ricominciano da capo, come dicono loro stessi. Tolgono il superfluo, ripartono da ciò che è sacrosanto, essenziale. La voce di Ilaria è più aggressiva, ancora più punk-rock. Nei loro testi religione, ironia e dediche a persone care. Come va, Paolo ad esempio, è stata scritta da Giovanni per Paolo, il batterista. Nasce per dirgli alcune cose, per aiutarlo in un periodo buio e poi si rivela catartica per Giovanni, che scrivendola capisce qualcosa in più di sé. E all'ascoltatore fa esattamente lo stesso effetto. Il lato più punk dei Gomma esce, tra le altre, in Verme che è criptica e ripetitiva. Come solo i Gomma sanno fare, da un lato ti urla in faccia il senso di impotenza e dall’altro ti chiama a reagire.

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Courtesy Phtoto
Gomma

ANY OTHER
Adele, classe 1994, suona praticamente da sempre e, quando il suo primo progetto musicale finisce, non smette, anzi imbraccia la chitarra e comincia a girare per piccoli palchi da sola. È così che prendono vita gli Any Other, di cui sono parte anche Erica e Marco. I testi di Adele sono vulnerabili e trasparenti, la musica degli Any Other è puro sfogo, il racconto di una storia personale. L’ultimo album è Two, Geography, uscito nel 2018 per l’etichetta indipendente 42 Records. Gli Any Other suonano un indie rock degli anni Novanta, cantano in inglese e si avvicinano al mondo della musica anglofona più che all’italiana. Mother Goose è una chicca, è l’unica canzone totalmente acustica dell’album, quasi stridente, un inno incredibile all'amore per sé stessi «Recover always needs it slow». La musica per Adele è un luogo di intersezione, tra il sound più pop e quello che ti permette di fare “i viaggioni”.

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Courtesy Photo
Any Other

LA RAPPRESENTANTE DI LISTA
Go Go Diva
, il loro ultimo album uscito nel 2018, esplora in modo dolce la consapevolezza del proprio corpo e dell’amore. Costringe a quella tenerezza che, in nome dell'equilibrio mentale, di solito si mette da parte «Maledetta tenerezza che ti spezza anche le ossa» come cantano appunto in Go Go Diva. Veronica e Dario raccontano che il loro punto di vista musicale è femminile plurale. È queer, ossia stravagante e include generi diversi, sta fuori da un sistema identitario. La Rappresentante di Lista nasce nel 2011 dall'incontro tra Vernoica e Dario, due attori di teatro, che da subito scrivono a quattro mani testi e musica. Le loro tematiche pian piano si affinano, il loro genere rimane eccentrico e indefinibile, pop, punk, prog e così via. Go Go Diva è nato scrivendo su un foglio World tutta una serie di suggestioni, appunti e note audio raccolte nel tempo da entrambi, poi i brani hanno preso forma da soli.

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Claudia Pajewski
La rappresentante di lista

FRANCO 126
È quello dell'album Polaroid, che assieme a Carl Brave, ci ha fatto sognare Roma su note indie. Ora però Franco 126 si muove da solo e lo fa anche bene. Stanza Singola, esce a gennaio 2019 e racchiude la sua anima cantautoriale. Quello che è rimasto del Franco 126 di Polaroid sono i testi descrittivi, che raccontano in modo semplice una sensazione, una serata, ma questa volta in modo più intimo. È rimasta la romanità un po' nostalgica, che esplode in Stanza Singola, nella collaborazione con Tommaso Paradiso e nel video girato Lungotevere; in Ieri L'Altro, che Franco dedica all'amico scomparso troppo giovane e in cui ricorda la vita della Love Gang nella Roma di quando erano piccoli. Via l'autotune, dentro una voce calma e sensibile, un po' svogliata ma efficace. Nei live la lacrima è quasi garantita, nelle cuffiette oltre ad un ritmo sempre piacevole, anche quei giochi di parole dolceamari, un po' ironici «Ed è dura da digerire e ho finito anche i Brioschi».

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Beatrice Chima
Franco 126

GIORGIO POI
«Cos'hai che non sorridi più?»
Chiede Giorgio Poi in Vinavil, una delle canzoni più sognanti di Smog, il suo secondo disco, uscito nel 2019. Una risposta potrebbe essere che, forse, hai ascoltato Giorgio Poi per troppe ore di fila. Certo quella di Smog non è esattamente la musica che ti mette di buon umore, ma Giorgio Poi non lo ascolti per questo. Lo ascolti per i rimandi al cantautorato italiano degli anni Settanta e Ottanta. Lo ascolti perché, anche grazie alle influenze raccolte tra Berlino e il tour americano ad aprire i concerti dei Phoenix, Giorgio Poi è riuscito a prendere la Musica italiana (come si intitola una delle sue canzoni) esplorarla fino al fondo e uscirne con qualcosa di assolutamente non moderno, ma nuovo. Nel disco synth e chorus che richiamano gli anni Ottanta, suoni di gabbiani e cicale, i suoi disegni (totalmente privi di tecnica come lui stesso ammette) in copertina e nel libretto. Giorgio Poi parla dritto all'anima e racconta di equivoci (Stella), di tristezza (Vinavil), di piccole pieghe al lato della bocca (Ruga Fantasma) e di sottomarini dalla forma anatomica prettamente maschile (Non mi piace viaggiare).

Giorgio Poipinterest
Federico Torra
Giorgio Poi