Sono un po’ come le collezioni di moda, ma molto meno frequenti. Per questo, quando arrivano, suscitano curiosità. Le nuove emoji Apple stavolta arriveranno in autunno ma il sito della compagnia di Cupertino ne ha dato un’anteprima in occasione del World Emoji Day. Secondo i primi commenti degli esperti di società e costume, questa nuova sfornata di iconcine esprime la crescente voglia di inclusione, per fare da deterrente ai fenomeni opposti. E così, oltre ai nuovi animaletti come il bradipo, il fenicottero, la puzzola, l'orangutan, e alla emoji che sbadiglia, troveremo 75 possibili combinazioni di tono della pelle e genere, ma anche sedie a rotelle, protesi di braccia e gambe, un cane guida per ciechi e un orecchio con un apparecchio acustico. Le emoji possono rappresentare uno specchio, anzi, uno specchietto, della società? Probabilmente sì.

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Pensare che tutto è cominciato nel 1963, con lo Smiley, che in Italia chiamavamo solo Smile, quando un tizio di nome Harvey Ball inventò la prima faccina come simbolo di una compagnia assicurativa. Nel film Forrest Gump del 1994 c’è una scena divertente in cui un attore che interpreta Ball porge a Forrest una maglietta per pulirsi il viso schizzato di fango, e quello gliela rende macchiata a forma di Smile, facendogli venire l’idea. In realtà Ball non registrò mai il simbolo e venne quindi utilizzato senza limitazioni da tutti. Infatti, quasi 20 anni dopo, il 19 settembre del 1982, l’informatico e professore alla Carnegie Mellon’s School of Computer Science Scott Fahlman, digitò per primo la versione digitale dello Smile con i due punti (gli occhi), il trattino (il naso), e la parentesi per la bocca. Siccome era un tipo molto ironico, alcuni suoi allievi e colleghi non capivano bene, dalle sue (proto)e-mail intranet quando era serio e quando scherzava. Aveva inventato questo sistema solo per aggiungerla al messaggio ed evitare ai destinatari l’imbarazzo di capire da soli che intendeva. Invece, la sua idea si diffuse.

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Nacque la parola “emoticon”, una crasi fra "emotion" e "icon", e il grande successo, con l’abbattimento delle frontiere e delle distanze determinato da internet, è dovuto all’universalità del messaggio. Tutti, in qualsiasi angolo del mondo, possono comunicare gioia o tristezza tramite le emoticon, anche se non si parla la stessa lingua. Non sono state mai più abbandonate: con l’evoluzione del digitale e dei dispositivi, si sono arricchite, hanno perso la schematizzazione e sono apparse come vere e proprie icone sempre più dettagliate, dei veri e propri simboli pittografici. Nel 1999 hanno anche cambiato nome, quando Shigetaka Kurita, un dipendente di una società di telecomunicazioni giapponese disegno le prime 176 “emoji”, crasi fra tre parole giapponesi che significano immagine, scrittura e carattere. Figurette da 12x12 pixel ispirate ai manga, ai caratteri cinesi e ai segnali stradali. Il vero boom finale lo ha decretato Apple, aggiungendole ai propri dispositivi. Oggi sono circa 1800 e cresceranno ancora di numero dal prossimo autunno con le nuove emoji Apple 2019. Con buona pace del loro nonno, Scott Fahlman che digitò la prima emoticon e che dice di trovare le emoji “orrende”. Lui le ha disabilitate e continua a usare solo i caratteri della tastiera, per esprimersi.

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Nella foto in apertura, un gruppo di computer specialist nella Francia del 1961