Chiama un amico, è disperato. «Non ho dormito. Mi sento una merda. Lei mi aveva anche comprato i biglietti per i Green Day... Mi faccio schifo. Basta! Scusami». Mette giù. Lei è la moglie. Una settimana prima le aveva comunicato di amare un’altra donna e la decisione di separarsi. Quel giorno, al telefono, lui era al settimo cielo.

In questo periodo, è il quarto amico messo così. Le storie si somigliano: da una parte c’è un rapporto che sembra decotto, tanti piccoli odi, niente sesso. È sempre inverno. E all’improvviso, ecco l’altra. Attenta, dolce, intuitiva: com’è possibile che riesca a farmi sentire così commosso, vivo, compreso? Passato un po’ di tempo, arriva l’assalto della nostalgia, di una casa, insieme alla gratitudine (o è di più?) e al senso di colpa nei confronti di chi ha dato e amato tantissimo e chissà, forse ancora.
Mi mancano i figli! Vorrebbero che l’altra tornasse a due dimensioni, un nome e basta.

È un’altalena tormentosa e che consuma giorni. Mi telefonano esaltati: le loro parole scottano. La novità, bionda o bruna che sia, s’intrufola in cerca di verità nel mio rapporto, dove la routine ha messo radici da anni. E m’inchioda: sono abbastanza felice? Abbastanza perché, se incontrassi un’altra donna... Io che cosa farei?

Una risposta, credo d’averla trovata. Qualunque sarà poi la scelta - restare o andarsene, la storia o il mistero - per risalire in due dalle pianure malconce dell’affetto alle vette o almeno colline dell’amore (o passione) occorre accettare la responsabilità e il rischio di fare e farsi male.
Non devi temere quel tipo di dolore: la chiarezza ti aspetta lì vicino, caro amico.
Che cosa vuoi dire, mi chiede.

Quando un rapporto è consolidato, è naturale che non si voglia essere provocati da incertezze e imprevisti: dalla realtà confusa. Se il tumulto emotivo da cui pensavi di essere protetto, ti ha comunque raggiunto, è perché vuol darti l’occasione di tornare a essere spaventosamente umano. Sì, amare non perdona comodità e abitudini, ti ricorda che è un pericolo e che le difese schierate per proteggerti, erano inutili, perché il “nemico” era dentro di te ed era il bisogno di un amore
migliore. Magari proprio per tua moglie.
E quindi?

Trattieni il respiro e guardati dentro il buio. Potrebbe significare non dare la buonanotte ai figli per mesi, essere insultato fino all’alba, dover affrontare argomenti sepolti in fondo a te e dove ripromettevi di tornare in futuro, ma non l’hai più fatto; rinunciare a privilegi, tenerezze, tutto. E poi immaginare, ricordare, confidarsi e chiedere senza maschere o pretese: questo è farsi del male. E amerai di nuovo.
Ma chi delle due?
Tu lo sai già, rispondo, che un po’ è barare e un po’ no. E aggiungo la morale. Noi maschi vorremmo potere tutto senza far soffrire nessuno...
Dopo qualche giorno l’amico richiama.
Sai, con mia moglie, erano anni che non ci parlavamo così... malissimo, cioè bene. In due giorni ci siamo raccontati verità che non ci dicevamo da anni.

C’è un’età oltre la quale occorre diventare insensibili a qualunque richiamo esterno? In Un altro candore, romanzo di Giacomo Verri (un amabile Kent Haruf nostrano), sembrerebbe di no. C’è una coppia anziana. Lei scopre le lettere del marito a un vecchio amante (sì, un uomo) e lo spinge a riprendere contatto con l’amore lontano. Lui teme di offenderla. Lei preferisce rischiare. «Alla nostra età l’amore assomiglia troppo all’affetto. Se tu ne hai provato e ne provi ancora per lui, o per il ricordo che hai di lui, dimostraglielo. Non farai del male a nessuno».