Non ho la più pallida idea di quali leggi, emozioni, sinapsi o abracadabra vari regolino il nostro umore quando ci svegliamo. Eppure ricordo con precisione, e con un sentimento che assomiglia alla più elettrizzante delle nostalgie, quella sensazione che ti assale la mattina prima che i pensieri e tutto il resto si siano rimessi in moto. Te ne stai lì, ancora mezza imbesuita, e a un tratto ecco che riaffiora quell'informazione portentosa: è finita la scuola, è finita la scuola! Oppure: è Natale, è Natale! E il corpo si riavvia in un istante, l'energia scorre, e la speranzosità sale oltre i massimi livelli. Un po' come quando ti innamori, però in maniera più semplice, più immediata, forse più infantile, ma poi chissà.

Comunque adesso la scuola è finita da un pezzo, e pazienza. Ma il 25 dicembre ritorna puntuale, e per fortuna mi riporta sempre a quell'emozione là, a quello stranguglione, a quell'eccitazione bambina. Che nulla ha di religioso ma nemmeno di consumistico. Piuttosto ha a che fare col tempo sospeso, e col desiderio, la sorpresa, le aspettative. E anche col piacere e la costruzione dell'attesa.

I ficus benjamin che arrivano al soffitto e che in maniera sbilenca ospitano palle di Natale o simil tali accumulate negli anni, compreso un coccodrillo pendulo piuttosto orribile che dicono porti fortuna e dunque è sempre lì. Un tot di piccoli addobbi disseminati qua e là, magari non precisamente natalizi ma imprescindibili, tipo le vecchie sorpresine fosforescenti degli ovetti Kinder che brillano nel buio, i cuccioli della savana in fila indiana da qualche parte, stelle di cristallo e vari reperti beneauguranti racimolati nel tempo. E poi tutta una sfilza di lucette bianche, intermittenti e fisse, via via sempre più numerose perché che disastro se si bruciano sul più bello anche se non si sono mai bruciate, e poi adesso ci sono anche quelle a led che funzionano con le pile, quindi lucette dappertutto, anche a chilometri dalle prese elettriche.

Infine ovviamente ci sono i regali, che con gli anni raccontano storie diverse. Compresa la débâcle sfiorata per un soffio: mio figlio credeva ancora a Babbo Natale e gli adulti di casa si erano addormentati prima di mettere pacchi e pacchetti sotto l'albero. Inutile provare a ispirarsi al De Niro di Toro scatenato: «La mia famiglia era così povera che ogni Natale mio padre usciva di casa e sparava qualche colpo di pistola. Poi rientrava e a noi ragazzi diceva che Babbo Natale si era suicidato». Io non sono Jake LaMotta e ancora un minuto perso e mi veniva un infarto. Come si fa a deludere l'attesa, a non mettere tutta la cura e l'immaginazione che hai nel pensare proprio a quel regalo lì, a impacchettarlo per bene, e poi stare a guardare l'effetto che fa?

Ps. Una volta ho letto un'intervista fatta a David Byrne nella sua casa di Manhattan. Il musicista aveva dato l'appuntamento prestissimo, alle 6.15 del mattino, e a quell'ora, puntuale, il giornalista suona alla sua porta. Byrne gli apre, lo fa entrare, e laggiù in fondo ecco un magnifico albero di Natale con tutte le sue belle lucette colorate accese. Niente di strano, peccato che era maggio. Eccola la soluzione pazza e illuminante, far finta che sia Natale tutto l'anno.