La quarantena è come una scatola di Oro Saiwa: sai sempre quello che ti capita. Deve essere per questo che, da quando è cominciato il lungo conclave (Extra omnes!) che eleggerà ciascuno di noi sommo pontefice del suo sgabuzzino, abbiamo fatto di tutto per godere, se non dell’imprevedibilità dei cioccolatini assortiti, quantomeno del dinamismo delle videochiamate. Dalla più borghese delle sessioni a due di FaceTime al brivido blu dell’imbucarsi a un Houseparty altrui, la videotelefonia è la tecnologia che ha contribuito maggiormente a definire questo periodo, rimescolando le carte della socialità e scandendo le diverse fasi della microera in cui viviamo. In principio fu semplice: a una vita, per forza di cose, estremamente statica abbiamo provato a opporre l’apparente vitalità della videoconferenza. A una fotografia, sempre identica, del nostro salotto preferivamo le caleidoscopiche immagini in movimento di quello degli altri. Nella prima settimana di clausura prevaleva un mood entusiasta, incline ad aspirazioni irrealistiche e curiosità. Per la comunicazione — privata o professionale che fosse — non c’erano più regole; anzi, quelle riferite all’una cominciavano ad applicarsi all’altra, e viceversa. Quello che succedeva in ufficio non restava più in ufficio, anche perché l’ufficio era diventato il pouf letto della stanza degli ospiti. La vicinanza nella lontananza portava a capovolgere anche i proverbi più assodati: lontano dalla webcam, lontano dal cuore. In poco tempo non c’erano più risposte sbagliate alla domanda: a quanta dignità consolidata siamo disposti a rinunciare pur di non guardare Barbara D’Urso? Quello che, di norma, ci infastidiva diventava un conforto: il casino dei vicini, la curiosità dei colleghi.

lontano dalla webcam, lontano dal cuore

Sopraggiunse perfino una transitoria rivincita dei secchioni che, da un giorno all’altro, come salmoni tecnologicamente competenti, colsero l’occasione per risalire la corrente. Collaboratori nerd mai coperti raccoglievano punti fedeltà insperati, grazie al consiglio giusto al momento giusto su come configurare Skype Meet Now, o sul perché preferire a Zoom l’app BlueJeans (“tutta in cloud, con Dolby Voice”), che a loro sapeva anche vanagloriosamente di profilattico e vecchi sogni decolorati e ripiegati da tempo nel cassetto. Nascevano così timidissimi corteggiamenti nativi digitali, amori a prima notifica, poco verosimili in tempo di pace. Sollievi alle truppe, per una volta, non solo univocamente portati dalle ragazze di buona volontà ai poveri combattenti, ma reciproci, perché in questa guerra siamo tutti arruolati con lo stesso grado. In altri casi si facevano apprezzare i ragazzi all’antica, che usavano ancora solo iMessage: col destino incerto che si presentava, erano materiale da relazione seria.“Non l’ho mai visto caricare uno sfondo virtuale, dev’essere onesto”. Un sollievo di non poco conto, nel travaglio del notiziario, per una it girl avvezza da anni alla linea editoriale e al tono di voce dei giovanotti alla moda.

Nelle prime videoconferenze marzoline, mentre fuori era tutto anomalo, avveniva la scoperta di che sapore ha la normalità. Lo scollo a v del capo azienda che non avevamo mai visto senza cravatta. Poliamorosi di lungo corso, impossibilitati per legge all’esercizio delle loro funzioni, riscoprivano la pratica della monogamia con la fidanzata storica, che viveva a tre regioni di distanza, impostando la quarantena come surrogato digital first di un viaggio di nozze mai consumato. Insieme organizzavano videodate, ignorandosi di giorno, per ottimizzare ulteriormente il livello di esotismo, una volta giunta la sera. Più confortanti erano gli screenshot dai WhatsaApp video di famiglia. Venivano fuori quadripartiti, inquartati come stemmi nobiliari con mamma, papà e sorella al posto dei leoni araldici, delle palle, e mestoli e coperchi al posto delle spade e degli scudi. Palazzo Spada a Roma, con la sua facciata piena di nicchie con le statue di re e imperatori, è un museo fin dall’esterno. Così, il prospetto di ogni condominio in quarantena era come la schermata home di un immenso smartphone, ogni finestra corrispondente a un’app con la sua icona e il suo colore di fondo. E dentro ogni finestra altre finestre più piccole:

gli schermi perennemente accesi, ma sempre in cerca di più luce.

Non si può negare che i canti al balcone delle sei del pomeriggio, seppure di estrazione più analogica, rientrassero di diritto in questa fenomenologia. Quelle serenate invertite, dal balcone verso le strade vuote, e verso gli altri balconi, erano una forma di videochat non digitale rivolta a un pubblico casuale quasi come quello di ChatRoulette, ma non remoto: tangibile, quotidiano, anche se la paura del Coronavirus aveva fatto cambiare ai vicini volto, abitudini, identità. Ci sarebbe potuto venire il dubbio che non stessimo assistendo alla vita, ma a una sua versione videoludica. In effetti le prime due settimane potrebbero dirsi la fase Animal Crossing: New Horizons della quarantena, dal titolo per Nintendo Switch uscito proprio il 20 marzo. All’epoca tutti, come nel gioco, impostavamo ancora lunghezza e pettinatura dei nostri capelli, definendo con estremo realismo il modello e il colore del vestito che volevamo indossare. I set delle nostre videochat si allestivano non molto diversamente dai villaggi di quel simulatore di società in cui interpretiamo la versione cartoonesca e aggraziata di noi stessi e il ruolo del resto dell’umanità è assegnato ad animaletti interattivi, più o meno bendisposti, più o meno rassicuranti (anche se non fanno molto per nascondere disturbi che vanno dall’ossessivo-compulsivo del criceto Amleto a quello borderline dell’orsa Orsola, che è chiusa con te in un villaggio di dieci case, ma la sera ti bidona perché dice “avere una festa pazzesca”). In un mondo e nell’altro la cosa più romantica che da dire è la stessa: “Se vuoi ti invito sulla mia isola”. Non poteva durare a lungo. Prendete la curva di gradimento del videoaperitivo, molto in voga a metà marzo. Erano festicciole in cui ciascun invitato portava con sé il più uno costituito dalla propria webcam. L’entusiasmo portava a organizzare così cene di classe rimandate per anni, a causa di questa o quella indisponibilità, ora rimosse alla radice. I primi venti minuti li passavi a dire “Ti sento, tu mi vedi?”, cercando di apprezzare il lato tragicomico della faccenda, fino a che il tragico non ha preso il sopravvento. Il vero colpo di grazia sono state le serie Netflix seguite insieme in chat. Dalla terza settimana in poi la quarantena è andata in modo completamente diverso. La vita ai primi di aprile, intendiamoci, è ancora quello che accade tra un decreto in streaming e una vibrazione dell’iPhone. Ma la società sa emanare leggi ancora più ferree di un governo.

I primi venti minuti li passavi a dire “Ti sento, tu mi vedi?”

La tendenza è stata quella di ristabilire l’ordine. Per prima cosa gli individui alfa hanno cominciato a simulare di non avere la banda abbastanza larga. Cosa che, nel 2020, è un po’ come fingere l’orgasmo maschile. Poi hanno lentamente riconquistato i loro spazi operativi, nel lavoro e nel privato, che sono fatti sopratutto di assenze e reticenze: in amore vince chi esclude il video. La scoperta del pulsante che esclude il video in conference call è stata salutata come il rinvenimento del monolite nero in un remake kubrickiano del tipo 2020: Odissea nel trilocale: percuotendolo con qualunque cosa a disposizione. La seconda fase della comunicazione personale in quarantena è più subdola e sottocutanea della prima; non teatrale ma testuale. Le immagini in movimento, mostrati i limiti della loro natura performativa e realistica, hanno offerto il fianco alla maggiore versatilità narrativa dei messaggini. L’esempio migliore di questa inclinazione è il revivalismo degli amori del passato che, improvvisamente, si presentano tutti in processione alla porta del router come in un canto di Natale in cui la cover di Tu scendi dalle stelle è intonata da Alan Sorrenti. Questa fase è meno democratica della prima: la selezione naturale si fa sentire di più. Purtroppo, in materia di ex, c’è chi ha un album delle figurine Panini, chi un portaritratto monoposto sempre appeso al collo. Chi neppure quello. Se tua moglie sa insegnarti i rudimenti delle chat segrete di Telegram, tu godi e non chiederti il perché.

gli amori del passato che, improvvisamente, si presentano tutti in processione alla porta del router

Le intercettazioni del passato fanno della memoria una forma di ispirazione più felice e, se non altro, più feconda della realtà. Deve essere per questo che i podcast di storia di Alessandro Barbero, che raccontano le gesta di eroi basso-medievali in Terra Santa, rivaleggiano con quelli della Zanzara di Radio 24, che primeggiano nel dare voce alle forme derelitte di umanità cui ci ha abituato la contemporaneità. A dare un nome a questa fase ci aiuta un videogioco meno pacifista di Animal Crossing: Fortnite (prodotto, guardacaso, dalla stessa società di Houseparty). Qui lo scopo è di eliminare, in mezz’ora, gli altri 99 partecipanti a una battle royale, adoperando armi da fuoco e, in mancanza di esse, picconi. Chattata e simulazione bellica, così, non sono più semplicemente l’una metafora dell’altra, ma prodotti attigui di un unico mercato che considera valore comunicativo e pseudomilitare due facce della stessa medaglia.

Chissà che l’abbuffata di incontri e scontri digitali — anche nel migliore dei casi, se dovessimo essere noi a vincere la battaglia — non ci porterà a parlare da soli, come se lo specchio fosse la videochat di domani. Perché se è vero che l’inferno sono gli altri, anche noi non scherziamo, soprattutto quando non usciamo di casa da un mese se non per andare alla ricerca del lievito perduto. A volte l’avvenire può apparire indesiderabile, soprattutto quando non si manifesta progressivamente, update dopo update dei termini di servizio della nostra app preferita, ma tutto insieme, quando serve davvero a soddisfare dei bisogni che speravamo di non avere. Un po’ come quando si dice che la prima causa di divorzi sia il matrimonio o il maggiore rischio per il futuro sia rappresentato dal presente.

Se è vero che l’inferno sono gli altri, anche noi non scherziamo quando non usciamo da un mese