Il refrain, accompagnato dal classico tono di sprezzo del pericolo è sempre lo stesso: «Ma cos’è sto coronavirus? E che me ne frega a me, io ho passato la guerra». Questo grido di battaglia è pronunciato circa una trentina di volte al giorno ed è ormai parte di questo inedito lessico familiare che si è diffuso in un reparto del Fatebenefratelli di Milano.

Non un reparto qualsiasi, il reparto di Pediatria: se da poco più di un mese siamo stati catapultati nel mondo al contrario è quasi normale che in Pediatria siano finiti un bel gruppetto di anziani affetti da Covid-19. E che di loro si occupino non dei geriatri, ma gli stessi pediatri, ovvero tra i medici, probabilmente i più accudenti.

L’effetto cortocircuito è alquanto benefico: in questo reparto, ribattezzato Covid-19 Help dal suo ideatore, il primario di Pediatria dell’Ospedale milanese Luca Bernardo, le dottoresse e i dottori non solo si occupano dell’assistenza medica, ma vanno anche a fare la fila al supermercato per comprare cioccolato e Coca cola ai loro pazienti. I quali, quotidianamente, compilano una lista dei desideri, in cima ai quali ci sono i vizi consumistici dei bambini e, a seguire, le richieste più tenere, come fare videochiamate per vedere i nipotini.

Siamo ormai così abituati ad avere a che fare con le visite iperspecialistiche che questa operazione ci sembra strana. «Ma siamo pediatri, siamo pur sempre medici abituati a gestire le urgenze anche nei neonati», dice Bernardo. Con un esercizio di lateral thinking che finora avevamo visto soltanto nel film Il curioso caso di Benjamin Button, (con Brad Pitt che nasce vegliardo e muore neonato), questo pediatra è riuscito a mettere in piedi 25 posti letto nei giorni dell’emergenza più nera di fine marzo. Non è una terapia intensiva ma ci si avvicina. Molti anziani affetti dal virus hanno infatti bisogno dell’ossigenoterapia e di essere monitorati.

Bernardo, noto anche per l’impegno nelle problematiche adolescenziali, dall’abuso di droga ai disturbi alimentari passando per cyberbullismo e fenomeno delle sette, spiega che la «preparazione pediatrica è completa anche per intervenire sull’adulto quando i sintomi del Covid-19 portano alla criticità dei pazienti più fragili».

Ma c’è qualcosa che lo inorgoglisce anche di più, e che forse non si aspettava: l’adesione entusiastica del suo staff: «Questa è un’avventura di solidarietà che genera adrenalina e grande passione in professionisti che sapevo bene essere speciali, ma che me ne hanno dato una ulteriore prova. Non è uno staff, è un’orchestra e credo che questa caratteristica umana molto italiana stia emergendo più che mai. Questo è possibile anche grazie al sostegno dei cittadini e al supporto di tutti gli operatori sanitari del Fatebenefratelli. Ma davvero, credo si debba estendere il ringraziamento a tutti quelli che lavorano negli ospedali del Paese. Sono un grande esempio di eccellenza».

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In qualsiasi posto si facciano convivere 25 persone diverse, si forma una piccola rappresentazione stereotipica del mondo reale. E Laura Giordano, una di queste nuove “pedigeriatre” in azione al Fatebenefratelli, dopo notti insonni, riesce a fare ritratti disarmanti dei suoi pazienti: «Per esempio c’è Poldo Sbaffini, il goloso. Un uomo che sarà anche positivo al tampone ma chiede sempre un panino, poi un altro, poi un altro ancora». Il rischio è che qualcuno finisca per scrivere Poldo Sbaffini anche sulla cartella clinica.

«Queste persone mi stanno mandando tante di quelle benedizioni che è da escludere che io vada all’Inferno», scherza la Giordano dietro la mascherina, «sono ormai tutti i miei nonni adottivi, di cui conosco perfino le fisse per i Kinder cereali o altri generi di dolciumi. Mentre mi ringraziano con una devozione fuori dal tempo, però, non si rendono conto di quanto io sia grata a loro per ciò che mi danno. È così, sono pazza di loro, e quando torno a casa, ormai devo aggiornare mio marito sull’evoluzione di tutti i casi del reparto».

Nella singolare pattuglia umana costretta qui dentro, i toni drammatici della cronaca statistica si colorano di teneri e rassicuranti momenti stile Casa Vianello: per esempio c’è la sciura, quella che si vanta. Eh sì, perché lei è «stata visitata dal capo, mentre le altre no». Lo ripete alzando ogni volta un po’ la voce, da quando il primario si è fermato a fare due chiacchiere con lei, pur se bardato con tuttii dispositivi anticontagio. Lei è stata visitata dal capo, sia chiaro. Tutti lo devono sapere.

Piero Biondi, altra colonna del nuovo reparto è invece un fine lettore delle diverse psicologie: «C’è soltanto una missione possibile per un medico, quella di dare una mano all’essere umano a respirare, mangiare, vivere, e provare emozioni. Chiunque esso sia e con tutti i difetti che può avere». Anche Biondi ha personaggi interessanti nel suo repertorio anedottico. Il negazionista, per esempio. È lì per sbaglio, (dice lui) il coronavirus non ce l’ha, questo è lampante. La domanda riecheggia in tutto l’ospedale con toni marziali da prigioniero di guerra: «Io vorrei sapere una cosa, perché sono qui?». Biondi fa notare che tra coloro che la statistica definisce anziani, in fondo oggi ci sono anche i ribelli degli anni 70, coriacei e diffidenti, con una visione del mondo poco docile verso l’autorità. In particolare lui sta sulle scatole a una signora che non ama molto il dialogo profondo medico-paziente. Preferisce di gran lunga chiudere la coversazione con un bel “vaffa”. Biondi ne parla divertito. Davanti al Covid si può essere tutto tranne che permalosi.