Tutti ne parlano, molti lo praticano stabilmente da un paio di mesi: il termine “smartworking” è ormai divenuto di uso comune. Come ha rilevato Elle Decor qui per il nostro Barometro Hearst Italia, esiste una varietà di opinioni sul tema dello smartworking, da parte di lavoratori e aziende, con grandi differenze a seconda del settore produttivo. Molti lavoratori hanno potuto sperimentare per la prima volta i vantaggi e gli svantaggi offerti da questa modalità di lavoro, e diverse aziende stanno pensando a rendere stabile questa innovazione “forzata” dalle contingenze dell’emergenza Covid-19.

Ma di cosa si tratta, esattamente? Spesso confuso con il telelavoro, che consiste nello svolgere in maniera identica la stessa attività sia a casa sia sul luogo di lavoro, il suffisso “smart” vuole indicare una gestione “intelligente” – smart, appunto – dei tempi di lavoro, che garantisca (in teoria) al lavoratore la possibilità di armonizzare il proprio tempo di lavoro con altre esigenze personali, come la cura degli anziani o dei figli, i propri hobby, oppure ancora semplicemente assecondare tempi di produttività diversi dal tradizionale 9-to-5. Il tema resta oggetto di dibattito da parte di una vasta platea di osservatori ed esperti: ma in che termini è stato discusso sui principali social media e nei media tradizionali in questo periodo? Per rispondere a questa domanda, grazie ad una raccolta dati Pulsar, è stato possibile analizzare un campione di 9625 tweet, 2788 post da Pagine Facebook, 32614 post su Instagram e 15655 articoli di news media tradizionali a partire da chiavi di ricerca come #smartworking, #lavorodacasa, e #telelavoro, pubblicati nel periodo tra il 20 Marzo e il 7 Maggio 2020.

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Courtesy Pulsar
Il volume di conversazione per l’argomento Smart working, dati Pulsar Platform. Dopo una prima fase di grande novità, ci siamo progressivamente stancati di parlarne con la fine di aprile.

Per quel che concerne i media tradizionali, lo smartworking emerge come un tema centrale all’interno del più ampio dibattito attorno alla crisi del lavoro che la diffusione del nuovo coronavirus ha innescato. Qui lo smartworking viene raccontato sostanzialmente come una pratica emergenziale, un momentaneo sostituto del lavoro tradizionale. Tra gli articoli più condivisi troviamo infatti contenuti, come questo articolo di Fanpage che riepilogano le norme dettate dal governo durante le varie fasi della crisi, o ancora un articolo de Il Giornale che discute del lavoro al Sud e in particolare il tema del lavoro nero. Accanto a questi troviamo poi articoli che riportano azioni straordinarie contro la crisi del lavoro, come il caso di Giovanni Rana che, invece di tagliare, intende aumentare gli stipendi dei dipendenti. Questi contenuti dimostrano la presenza di un framing politico-normativo del tema smartworking, caratterizzato nella sua dimensione più marcatamente istituzionale, come uno dei temi al centro della discussione del lavoro ai tempi del Covid-19. Accanto a questi articoli è però interessante notare l’ampia presenza di contenuti a carattere locale, che – questi sì - entrano maggiormente nel vivo del tema del lavoro a distanza e delle sue pratiche. Ad esempio, tra i più condivisi troviamo un articolo che racconta dei finanziamenti pubblici a favore dello smartworking nell’area di Ferrara, oppure ancora un articolo che racconta dell’adozione dello smartworking da parte dell’azienda ospedialiera di Cosenza.

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Courtesy Pulsar
La disposizione d’animo complessiva della conversazione sullo Smart working in Italia, dati Pulsar Platform. Tendenzialmente neutra o positiva, si direbbe che lavorare da casa non ci sia dispiaciuto.

Se ci addentriamo invece nel calderone variegato dei social media, troviamo una sostanziale differenza fra Facebook e Twitter, da un lato, ed Instagram dall’altro. Facebook e Twitter sono sostanzialmente collaterali alle fonti di media tradizionali, che spesso vengono utilizzate dagli utenti per sviluppare la conversazione. I profili di testate come Corriere, Repubblica e la Stampa la fanno da padrone tra i produttori numericamente più rilevanti di contenuti originali. Se osserviamo invece i Facebook post che hanno ottenuto più like, troviamo però anche altri tipi di contenuti: ad esempio, il secondo contenuto maggiormente apprezzato in termini di like è questo post dell’associazione culturale Tlon che sottolinea le contraddizioni dello smartworking come realizzato in questa fase, la difficoltà a separare il tempo di vita dal tempo di lavoro, e la difficoltà di gestire le ansie crescenti di produttività, che non diminuiscono lavorando da casa – anzi aumentano, vista la fase di crisi generale. Vi sono poi anche contenuti (come questo) che invitano riflettere sulla gestione dell’ansia, che molti durante la quarantena hanno sentito essere fortemente accentuata, per il lavoro ma non solo. Altri ancora invece, come questo, sottolineano come la quarantena evidenzi le diseguaglianze – in generale ma anche nel lavoro, includendo tra queste lo smartworking – contrapponendo le comodità di chi lavora da casa a chi non ha questa possibilità, e invitando a riflettere su come le differenze individuali vengono ad essere accentuate dalla crisi.

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Se ci spostiamo su Twitter, tra i contenuti più retwittati troviamo molti articoli “how to”, che offrono suggerimenti sul lavoro a casa e come svolgerlo al meglio. È interessante notare come diversi tra questi provengano da attori istituzionali dei settori coinvolti, come AGCOM, che fornisce consigli su come ridurre l’uso di banda di rete quando si lavora da casa, o di INAIL, che spiega come usufruire al meglio dei benefici dello smartworking. Tra i contenuti più condivisi vi è anche un tweet del Ministro per l’innovazione Tecnologica Paola Pisano, che auspica una diffusione dello smartworking come soluzione di lungo periodo per il lavoro post-pandemia.

Spostandoci su Instagram, invece, troviamo un ricco archivio di immagini di influencer ed utenti comuni che immortalano la loro postazione di lavoro in quarantena ed i loro outfit, raccontando un po’ meglio il quotidiano del lavoro domestico ai tempi del Covid. Tra gli influencer, che ovviamente spopolano in termini di contenuti più condivisi, troviamo tra gli altri Danilo Bertazzi, curatore di un seguitissimo canale YouTube, che propone il suo look per una riunione via Skype, ed ancora il content creator Marco Bocci, che ironizza sulle distrazioni che interferiscono con il lavoro domestico. Anche i vip mostrano un po’ di sé stessi e del lavoro che solitamente svolgono dietro le quinte, come ad esempio Filippa Lagerback, che offre uno scatto di lavoro domestico al computer dalla sua abitazione. Ci sono poi i post che sottolineano le differenze di genere intrinseche allo smartworking, evidenziando ancora una volta l'effetto di amplificazione del Coronavirus.

Tra gli utenti comuni, invece, molti postano immagini di setting di lavoro domestico, spesso tra il serio ed il faceto: vediamo postazioni e design dello spazio che si accompagnano a pose di outfit per lavorare a casa, capi d’abbigliamento più corporate insieme a pose di stile tipicamente domestico ed ironie sull’impossibilità di tagliare i capelli i quarantena. C’è chi si mostra in smartworking sul balcone facendo babysitting e chi sente la mancanza dei momenti di socialità legati al lavoro, come le pause caffè. Molti sottolineano i vantaggi dello smartworking nella gestione del tempo libero e per ritrovare armonia tra lavoro e vita personale. Altri, invece, sognano di tornare in ufficio, sentendo la dimensione domestica come una restrizione significativa della vita sociale. Ci sono poi, ovviamente, anche i meme che ironizzano sul lavoro da casa, come questo, che sottolinea la confusione fra lavoro e tempo libero.

In conclusione, la narrazione dello smartworking tra media tradizionali e social media combina una dimensione normativo-istituzionale, spesso tipicamente informativa, a storie di vita quotidiana, che mostrano le pratiche autentiche del lavoro a casa, i suoi vantaggi e le sue difficoltà fuori dalla retorica e dalle idealizzazioni. Si conferma la sostanziale interdipendenza tra news media tradizionali e social media come Facebook e Twitter, dove gli utenti usano abitualmente fonti di news come device per sviluppare conversazione. Instagram, d’altro canto, offre invece un’inusuale finestra sul quotidiano degli smartworker, mostrando come all’atto pratico il lavoro da casa non consista semplicemente nello “spostare il lavoro” entro le mura domestiche ma includa un ampio spettro di forme di adattamento, opinioni e difficoltà pratiche da negoziare. Il tutto, comunque, accompagnato da una buona dose d’ironia. Segno che, sebbene minacciati dalla pandemia, gli italiani non hanno ancora perso del tutto il senso dell’umorismo.

Alessandro Gandini insegna Sociologia delle Culture Digitali all’Università Statale di Milano, Dipartmento di Scienze Politiche e Sociali. Con Emma Garavaglia (Università Cattolica di Milano) è responsabile del progetto Coronavirus Work Inquiry, che esplora l’impatto della crisi del Covid-19 sulle pratiche di lavoro in Italia.

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