C’è un fotografo diverso da tutti gli altri. Che avrebbe raccontato quello che sta accadendo in America in questi giorni mescolando, in dosi identiche, epica e poesia. Gli scontri di Minneapolis e quelli di New York. I saccheggi dei negozi e la gente che prega. La polizia che solidarizza e quella che picchia duro. Lui è Gordon Parks, uno dei più grandi artisti del secolo scorso. Se l’immaginario che oggi abbiamo dell’America black ha queste caratteristiche molto del merito è anche suo.

Faccia da attore o da cantante soul, Gordon ha raccontato meglio di chiunque altro il lato B del sogno a stelle e strisce afroamericano a cavallo fra gli anni Cinquanta e Settanta. L’utopia de “la legge è uguale per tutti” e la lotta per i diritti civili. La segregazione razziale nelle campagne e i ghetti delle metropoli. Cassius Clay e Malcom X. In ogni suo scatto ha sempre preso il meglio da tutti i suoi colleghi. Di Eggleston, ad esempio, quei colori saturi e quell’atmosfera tipica della provincia americana del dopoguerra, calma solo in apparenza ma in realtà bollente fino a ustionare. Di Robert Frank, certi scenari ruvidi che non hanno bisogno di didascalie. Di WeeGee, l’ironia. Di Dorothea Lange, l’epos. Di Ralph Crane, la raffinatezza.

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Diceva: “Colui che sa cogliere l'occasione, che sa camminare sul filo del rasoio tra noto e ignoto, che non ha paura di fallire... ecco lui avrà successo”. È stato buon profeta di se stesso.

Classe 1912, nato a Fort Scott, piccolo centro di ottomila anime nel cuore del Kansas, è l’ultimo di quindici fratelli. Frequenta le scuole per soli neri. Non gli è permesso praticare sport o partecipare a spettacoli, balli, eventi. A undici anni viene gettato nel fiume Marmaton da tre bulli bianchi, si salva solo raggiungendo la riva sott’acqua.

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Perde la madre quando è ancora un adolescente così il padre lo spedisce a Minneapolis (sì, proprio lì) dalla zia Maggie Lee. Durerà poco. Un anno dopo viene cacciato di casa: è costretto a dormire per strada. Per qualche tempo vive dentro un autobus. Per guadagnarsi da vivere fa di tutto: il facchino sul treno passeggeri della North Coast Limited, il cameriere in un club per soli bianchi, il pianista in un bordello, il giardiniere nel corpo di conservazione civile del New Jersey. Gioca perfino a basket. Arriva fino ai semiprofessionisti.

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La prima svolta arriva nel ’38, quando durante una sosta del treno, si compra una fotocamera al banco dei pegni di Seattle. Si tratta di una Voightlander Brilliant. “Mi resi conto che la macchina fotografica poteva essere un'arma contro la povertà, il razzismo e ogni tipo di bruttura sociale”, racconterà in seguito. “Fu allora che decisi di volerne una”. A colpirlo sono le immagini della grande depressione che vede quasi per caso in un giornale dimenticato all’interno di una carrozza.

Scatta ovunque, ritrae ogni cosa.

Il filo rosso che unisce ogni sua immagine è il lato umano delle persone. Non importa il colore della pelle, in cosa credono e quanto hanno sul conto in banca. La seconda svolta arriva quando un suo lavoro finisce nelle mani di Marva Louis, moglie del leggendario campione dei pesi massimi Joe Louis, che ne resta folgorata. Convince Gordon, che nel frattempo si è sposato con Sally, a trasferirsi a Chicago. Qui inizia a immortalare le signore dell’alta società yankee. Diventa fotografo professionista, firma diversi servizi di moda. I suoi sono shooting raffinati, che nascondono sempre un retropensiero. Non ci sono solo modelle o gli abiti. C’è qualcosa in più, meno edulcorato, che sembra voler venire in superficie. Estetica mista a sudore e sangue.

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La sua prima mostra è del 1941. L’anno dopo pubblica uno dei suoi scatti icona, American Gothic, versione riveduta e (s)corretta del celebre dipinto American Gothic, realizzato da Grant Wood nel 1930. Si vede una donna delle pulizie afroamericana che tiene fra le mani una scopa e uno spazzolone, mentre sullo sfondo si staglia la bandiera a stelle e strisce. Parks vuole denunciare il razzismo che serpeggiava a Washington in quell’epoca. “Prima di scattare ho chiesto alla donna di raccontarmi la sua vita”, ha detto. “Era così disastrosa, che ho sentito di dovere morale di ritrarla per mostrare a tutti cosa era l’America del 1942”.

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Nel 1944 Parks si trasferisce ad Harlem, fa il freelance per Vogue. Nel 1947 pubblica il suo primo libro, Flash Photography. Frequenta la pittrice Charles White e la scrittrice Langston Hughes. Prende il tè con il pittore Isaac Soyer e disquisisce di politica con il sociologo Max Weber. Il suo girovagare in ogni angolo degli States lo porta a Washington, dove inizia a realizzare reportage a sfondo civile. Nel 1948 entra nella squadra del magazine Life. È il primo fotografo afroamericano a farlo. I suoi reportage mettono al centro di tutto i poveri neri, l’ingiustizia sociale e l’emarginazione. Non sempre però il senso dei suoi servizi viene lasciato inalterato: i giornalisti spesso intervengono, modificano, plasmano. La spettacolare serie Harlem Gang Leader ne è l’esempio più eclatante. Parks racconta la vita di Red Jackson e della sua gang. Ma punta a mettere in luce il lato umano di quei ragazzi. L’effetto finale però non è questo: Life invece enfatizza gli aspetti violenti, riducendo al minimo la possibilità di redenzione. “Credo debba essere il cuore, e non l'occhio, a determinare il contenuto di una fotografia”, spiega.

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Gordon Parks è versatilissimo. Spazia dal reportage più crudo ai servizi di moda. Fotografa le collezioni parigine. Nel 50 e nel 51 visita l’Europa, ritrae scrittori, artisti, politici, aristocratici ma anche gente comune. “Tutti sono uguali”, dice, “tutti hanno lo stesso diritto di raccontare la propria storia”. Le sue immagini sono radicali e liriche allo stesso tempo. La serie Segregation Story realizzata in Alabama nel '56 è un pugno nello stomaco: rivela attraverso istantanee a colori quanto il razzismo sia parte integrante della società americana di quel periodo. Ci sono famiglie afroamericane raccolte in baracche, bambini aggrappati a reti metalliche che guardano le ville con piscine dei bianchi, vecchi che posano orgogliosi accanto a una stalla.

Dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta, firma ritratti meravigliosi spaziando dai più importanti leader neri - Muhammad Ali, Malcom X, Stokely Carmichael –ad attori come Paul Newman, musicisti come Glen Gould e Duke Ellington e socialite come Gloria Vanderbilt con cui avrà anche liason.

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Ma Parks non è stato solo un fotografo. “La guerra al razzismo”, affermava, “va combattuta su più fronti artistici”. Così nel 1953 compone il Concerto for Piano and Orchestra e nel 1967 Tree Symphony. Nel 1963 si dedica alla letteratura, scrive poesie e pubblica il romanzo autobiografico, The Learning Tree, che poi diventerà il film, Ragazzo la tua pelle scotta, che dirigerà lui stesso nel 1969 per la Warner Bros.

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Hollywood è la nuova frontiera. Nel ’71 è il regista di Shaft il detective. Il film, scritto da un bianco, Ernest Tidyman e interpretato dall'afroamericano Richard Roundtree, sarà una pietra miliare del genere blaxploitation, che comprende pellicole con attori afroamericani, dirette da registi afroamericani e con colonne sonore soul o funk. Costato 1.125.000 dollari ne incasserà dieci volte tanti. Poi arriva il sequel: Shaft colpisce ancora, diretto nel 1972. Nel 1974 è la volta di un altro poliziesco, The Super Cops, mentre due anni più tardi arriva Ledbelly, film biografico sul musicista blues Huddie Ledbetter. L’ultima sua regia è del 1984 per il film TV Solomon Northup's Odyssey. Nel 1989 torna alla musica e compone e coreografa il balletto Martin, dedicato a Martin Luther King.

Nel frattempo si sposa e separa tre volte. Con Sally finisce negli anni Sessanta. Poi arriva Elizabeth Cda cui divorzierà dopo undici anni di matrimonio nel 1973. Nello stesso anno, sposa Genevieve, il suo editore letterario. Il matrimonio resiste sei anni. Da queste relazioni, Parks ha quattro figli. Il più anziano, Gordon Parks Jr., anch’egli fotografo e regista, muore in un incidente aereo nel 1979 durante le riprese di un film in Kenya.

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Anthony Barboza//Getty Images

Uno dei suoi ultimissimi lavori, Parks muore nel 2006, è una raccolta di foto e poesie dedicate alle donna. Il volume si intitola A Star for Noon - An Homage to Women in Images Poetry and Music. “Credo che dopo quasi un secolo su questo pianeta ho il diritto, dopo aver lavorato così duramente nel raccontare desolazione e povertà, di mostrare qualcosa di profondamente bello”.