Mi ricordo che una era secca secca, cattivissima, e posteggiava sempre sbilenco il suo Maggiolino rosso; e che un’altra forse era brava ma così placida che nessuno se n’è accorto. Mi ricordo del giorno in cui ho sostituito i calzettoni coi collant, ma così spessi e bianchi che sembravo un’infermiera pazza; della volta che mi sono rotta il pollice facendo una schiacciata vincente a pallavolo e sono diventata l’eroina della II D. Poi mi ricordo che studiavo eccome, ma con finta nonchalance sennò col cavolo che il carino della classe m’invitava a mangiare il gelato. E che le medie sono volate, stritolate fra i fondativi maestri delle elementari e i temibili prof del liceo.

Qualche giorno fa mio figlio, incline a una certa ruvidezza, mi manda un messaggio: è morta la sua prof di lettere delle medie, e “mi dispiace tanto, lei è stata brava con me, e importante, e preziosa”. Mi è venuto da piangere, l’avevo amata tantissimo anch’io. Era intelligente, curiosa, colta. Empatica e brusca il giusto con quella ciurma di portatori sani dell’età più distratta e più scema. Sapeva maneggiarli con cura ma senza cincischiare, aiutandoli a coltivare il loro nocciolo prezioso. Sono sicura che l’hanno amata anche le ragazzine che un giorno di febbraio si sono sentite dire «in questa classe fa un caldo boia, ora apro le finestre e se voi con le vostre pance all’aria avete freddo domani vi coprite», e pure il so-tutto-io del secondo banco di cui ha ignorato il commento strafottente che altrimenti l’avrebbe portato dritto in presidenza.
E ovviamente so quanto le ha voluto bene mio figlio, bravo nelle sue materie ma gran casinista. Un ragazzetto che tutt’a un tratto crescerà quindici centimetri ma che intanto nasconde l’insicurezza dell’età dietro a smargiassate da simil bullo.

La prof argina, valorizza quel che conta. Finché un giorno lui arriva a casa con una nota sul diario dove lei mi convoca con una certa urgenza. Che è successo? Il reo non confessa, e mercoledì alle 11 sono a scuola. Mi dice che lui le piace perché è così e cosà, ma che deve smetterla di spadroneggiare, «e questa volta ha superato il limite». Mi passa un foglio e mi racconta che da un po’ i maschi classificano ossessivamente le compagne per bellezza, simpatia eccetera, e hanno creato un clima insopportabile. Adesso mio figlio ha davvero esagerato, criptando i nomi delle ragazze e costruendo strani incroci. «Guardi anche lei, così si rende conto». Apro il biglietto spiegazzato, vedo una specie di piramide capovolta fatta di rettangoli con dentro nomi fitti fitti, frecce, numeri. Cosa diavolo è? Guardo meglio, e capisco. Altro che il codice cifrato di chissà quale classificazione di zuckerberghiana memoria. Quelli sono i nomi delle tenniste che si stanno per sfidare a Wimbledon, di cui mio figlio ha pronosticato chi arriverà agli ottavi, ai quarti e così via. Non sono appunti di storia ma neanche un algoritmo fatto per valutare le femmine della classe.

Imbarazzata, e non particolarmente desiderosa di prendere le sue difese con una donna che aveva tutte le ragioni per avercela un po’ con lui, le ho detto la verità. E poi nel 2005 mica tutti sapevano chi fossero Lindsay Davenport o Amélie Mauresmo. Gabriella Fusi ancora una volta è stata splendida, «meglio così!», e si è fatta una risata.
“Mi dispiace tanto, lei è stata brava con me, preziosa”: immensa gratitudine agli adulti che ti allenano per la migliore versione di te. Basta crederci, e restarle fedele.