Il lockdown ha pesato senza dubbio più sulle donne, perché il lavoro domestico era già (ed è rimasto) distribuito in maniera iniqua. Ecco che la famiglia intera riunita a casa, in assenza di servizi, ha determinato per loro un raddoppio di incombenze. Pranzi e cene da preparare quotidianamente e per tutti, bambini e adolescenti senza scuola o con una scuola da organizzare online. Problemi non solo italiani: anche in Paesi che vantano politiche più paritarie e una cultura che facilita la condivisione dei lavori casalinghi e di accudimento dei figli o in cui è normale che entrambi i componenti della coppia lavorino fuori casa, la differenza di impegno si è fatta sentire. A discapito della donna: se è lui che compra il latte o porta i bimbi all’asilo, è sempre lei che gestisce e organizza.

«Anche in Paesi che vantano politiche più paritarie, la differenza d’impegno si è fatta sentire»

Compiti ben più impegnativi che effettuare piccole commissioni, come spiega Gøsta Esping-Andersen, sociologo danese, esperto mondiale di welfare state, che si batte per una riorganizzazione sociale forte che consenta alle donne di liberarsi dei compiti domestici per dedicarsi all’affermazione professionale. Se possiamo imparare qualcosa da questo periodo? Che flessibilità del lavoro e smart working sono effettive risorse per la gestione femminile del tempo, ma solo se non comportano perdite economiche o ridimensionamenti di carriera. E soprattutto se, a periodi alterni, saranno obbligatori anche per gli uomini.

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Ingrid Salvatore. Nata a Melfi (Potenza) 57 anni fa, vive a Roma dove è professore associato di Filosofia politica e docente di Studi di genere all’Università Luiss-Guido Carli. È una PANK militante (Professional Aunt No Kids - Zia professionista senza figli), adora Roma, città d’adozione, il vino bianco ghiacciato e la Sicilia.

Le donne hanno pagato il prezzo più alto dal punto di vista economico. Penso soprattutto alle professioni precarie non protette da contratti, al mondo delle colf e delle badanti. Ea, tra queste, molte sono anche l’unica fonte di reddito per la famiglia, per esempio se divorziate. Inevitabilmente, quel gender gap economico (secondo l’Onu, nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini, ndr) è cresciuto. E temo che se non si farà una nuova riflessione sulla distribuzione delle risorse e, nello specifico, non si provvederà a stabilire delle tutele governative, già il prossimo autunno le ripercussioni saranno evidenti a tutti, ovvero assisteremo a licenziamenti tra le fasce più deboli. E quindi le donne saranno ancora penalizzate.

«Un conto pesante da pagare, ma la leadership femminile più empatica è risultata vincente»

Certo, chi aveva redditi maggiori vive una situazione più rosea, ma comunque anche manager e professioniste hanno risentito di questo periodo di crisi. Dal mio piccolo osservatorio di coach, in questi mesi sono entrato nell’intimità delle case e ho spesso visto che mentre il papà al lavoro non si disturba, con la mamma, invece, si può, perché si dà per scontato la sua funzione accudente. Ma c’è un rovescio della medaglia: nei casi in cui è stata lasciata la leadership alle donne, si è dimostrata vincente. Più empatia e meno autoritarismo hanno prodotto più efficienza. E molte donne hanno potuto diventare punto di riferimento aziendale.

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Roberto D’incau, milanese, 57 anni, vanta grande esperienza nel campo delle risorse umane e dell’head hunting. Ha scritto vari libri - l’ultimo, Il lessico della felicità (Baldini+ Castoldi) - ed è da sempre impegnato sui temi della diversity.