Eccolo, il grande quesito. Che, come tutte le cose importanti, di solito arriva quando meno te lo aspetti. A me il figlio quasi novenne l’ha buttato lì come per caso, tra una chiacchiera e l’altra, mentre preparavo la cena. E la mente mi si è riempita di pop-up. Perché in quell’adesso che sembrava detto in corsivo c’erano i mesi passati insieme. In uno spazio che aveva le dimensioni perimetrali di una casa ed emotive di un rifugio, e che a volte (a me, figlio, marito) calzava a pennello, altre volte ci andava strettissimo. Ma cosa c’è dentro questa domanda? «In questi momenti, l’universo», spiega Marina Zanotta, psicologa e psicoterapeuta che lavora con età evolutive e genitorialità, collabora con l’associazione Alice Onlus e ha scritto Stiamo calmi! Gestire la rabbia dei bambini senza farsene contagiare (Bur). E prosegue: «Intanto c’è l’aspettativa di una ripresa della normalità (“Se tu esci e vai, allora anch’io a breve potrò ricominciare”), poi un po’ di timore per la salute dei genitori, specie nei bambini che sono già nella fascia delle elementari e che hanno vissuto la situazione in modo più consapevole. E infine anche la forte ansia del distacco che dopo i mesi in famiglia si fa sentire in modo più pungente».

Io, personalmente, l’ho capito dallo sguardo del novenne dopo la mia risposta, e lo conferma anche Serena, mamma di Davide (7 anni). «Ne abbiamo parlato e riparlato e mi sembrava tutto tranquillo, ma la mattina in cui mi stavo preparando non la finiva di chiedere “ok, ma quando torni?”». E non è così soltanto per i più piccoli. «Claudio (13 anni e mezzo)», racconta la madre Gaia, «che spesso sembrava infastidito dalla mia presenza costante (e dalla mia guerra ai videogiochi) e si chiudeva in camera, non mi è parso così entusiasta alla notizia. Forse perché lui era ancora confinato. Ma dopo qualche settimana, complice l’inizio del campo estivo, uscire è ridiventata un’abitudine».

Abbiamo varcato la soglia e, con tutte le precauzioni del caso, consapevoli che per alcune cose ci vorrà parecchio tempo, e che tutto cambia di continuo, stiamo tornando nel mondo. «Riprendersi i propri spazi è positivo e necessario», prosegue Zanotta. «Per gli adulti, cui serve una dimensione di normalità in cui possano riacquistare l’aspetto professionale, tassello fondamentale della loro identità fuori casa (anche se lo smart working ha funzionato). Per gli adolescenti e i preadolescenti, per riattivare il contatto con il gruppo dei pari e con gli interessi fuori dalla famiglia (punto dolente, perché ancora non è garantito). E per i piccoli: per ricostruire il fatto che il nucleo familiare non è l’unico posto sicuro sulla Terra, ma ce ne sono altri». Sarà una cosa lunga e complessa, di cui ci dovremo occupare. Ma pronunciare quel: «Ciao vado, ci vediamo stasera», mi è sembrato un inizio.