L’odore dei fiori selvatici, la polvere marroncina che ti si attacca addosso - sulla pelle sudata e tra i capelli come sui cofani bollenti delle macchine - ci sono sempre, non importa che stagione sia, e si fanno strada tra pini marittimi, cipressi e strade ordinatissime pur essendo in campagna dove spiccano, a sorpresa, case con colori ton sur ton col paesaggio. Le balle di fieno sono posizionate come un’installazione artistica che ritroviamo davvero sulla litoranea, tra Chiarone e Macchiatonda – le più frequentate località balneari del posto. Tutto questo e molto altro ancora è Capalbio che più che essere solo un paesino – “la perla della Maremma” come lo chiamano noiosamente i più, soprattutto chi non vi ha messo mai piede o lo ha visto, in lontananza, dall’Aurelia – è uno modo di essere, uno state of mind, una vasta zona che si espande in confini indefiniti che si perdono tra altre stradine, strade sterrate e spiagge.

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Giuseppe Fantasia

Cosa vedere a Capalbio (parola dei vip)

Il borgo (tra i più belli d’Italia) è lì e domina la vallata e la sua allure, a differenza di quanto detto e scritto ogni volta dai soliti invidiosi, non tramonterà mai. Sì, perché trovatelo voi un posto ancora autentico a poco più di un’ora da Roma o da Firenze e facilmente raggiungibile da Fiumicino, uno di quelli dove hai il mare e la campagna, l’acqua pulitissima come l’aria, lo stabilimento cool e quello libero o nudista, la solitudine più assoluta come feste così glam che nella Capitale difficilmente si vedono. Quest’anno, poi, Capalbio è stato ancora più al centro della scena, perché tutti i ricchi possidenti di ville e tenute gelosamente nascoste e perfettamente mimetizzate con la natura circostante, hanno passato più tempo qui, preferendolo alla Grecia, alla Sardegna e alle Eolie - dove hanno altre case, ma più o meno gli stessi giri (che fatica!) – e alternandole a Cortina o a St. Moritz, perché – si sa – dopo Ferragosto, caro mar non ti conosco e montagna a più non posso.

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Le spiagge di Capalbio

Se si frequentano questi lidi, basta davvero poco per essere arruolato – come ha detto qualcuno – tra le “Brigate Rolex capalbiesi”, quelle che selezionano, escludono, vivisezionano e condannano. “L’Ultima Spiaggia, checché se ne dica, resta sempre la prima”, ci dice Furio Colombo a colazione nel ristorante dello stabilimento, abbronzato e rilassato più che mai, con i suoi occhiali scuri, camicia bianca, shorts blu e Lumberjack d’ordinanza. All’Ultima – dove gli ombrelloni sono sempre stati distanziati sin da quando venne aperta, 22 anni fa - “ci vai per nuotare o per incontrare e intanto guardare, c’è un po’ di memoria di una certa euforia, polvere di allegria che il vento ha spazzato col tempo e la sabbia”, recitano i versi di una sua poesia dedicata proprio allo stabilimento e raccolta, assieme a tanti altri scritti, ricordi, foto e pensieri dei clienti storici e affezionati in “L’Ultima”, un libro pubblicato tre anni fa da Zig Zag in occasione del trentesimo anniversario. “Se qualcosa vi turba e qualcosa è cambiato e non ritrovate la festa, non è colpa nostra, è la destra”, ironizza. L’8 agosto del 1987 venne aperto quello stabilimento divenuto nel tempo leggendario per i suoi successi ed eccessi (tutto, nella vita, è sempre relativo), un posto “con l’aria libera e pulita, il mare a due passi, l’ombrellone sbrindellante e il lettino riposante”, ci spiegava Alberto Asor Rosa. “Tutto quello che c’è oggi lo si deve – aggiunge il professore – a quei quattro mascalzoni da cui tutto dipende”: Adalberto (detto “il Lungo”), Marcello (“Pelo”), Riccardo (“Cedrone”) e Valerio (“lo Straniero”). Furono loro ad aprire quello che all’epoca di notte diventava anche un dormitorio (avevano sempre coltelli da cucina sotto il letto per difendersi da eventuali malintenzionati) e furono loro, tra quegli assi di legno e un caffè shakerato, ad assistere alla trasformazione del Partito comunista e allo sgretolarsi della sinistra per quella che si era sempre concepita, così come alla caduta del governo Goria tra il 1992 e il 1993. “Occhetto e La Malfa ci chiesero di uscire perché dovevano parlare”, ricorda Riccardo, il ‘portavoce’ dei quattro, e lo ribadisce anche nel libro celebrativo i cui proventi saranno dedicati alla realizzazione di una biblioteca comunale nel borgo. “Il giorno dopo capimmo che quella chiacchierata aveva fatto saltare il banco”. Achille Occhetto, tra l’altro, fu il primo a essere paparazzato su quel lido abbracciato alla moglie Aureliana. Di scatti ce ne furono poi tanti altri e di tutti i tipi, rubati e non, come il topless di Lilli Gruber o quelli in cui traspare l’eleganza innata di Margherita Buy, vestita Armani anche sulla sabbia, che ci ricorda “l’Aurelia infuocata” percorsa per arrivarci e l’orizzonte sullo sfondo “che si squaglia come un quadro di Dalì”.

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Perché Capalbio è così famosa?

Capalbio la ricordiamo attraverso Nicola Caracciolo. Lo ricordiamo sempre con le sue camicie a maniche lunghe arrotolate (mai corte, ça va sans dire) e i pantaloncini di colori vari, come le cover dei libri Adelphi, su cui spiccava il Borsalino d’Ordinanza. Ricordiamo i suoi modi gentili praticamente ovunque, sempre con la moglie Rossella Sleiter che anni fa ci disse: Una frase perfetta per capire Capalbio che loro, e molti altri, hanno vissuto quando non c’era nulla e – soprattutto – quando ancora non era. L’unico Di Maio ammesso è un vino bianco ghiacciato che si scrive “Di Majo” e tra tuffi, canzoni, fritture, passeggiate, baby sitter e gonfiabili di ogni tipo (negli ultimi due anni vanno molto i fenicotteri rosa e gli unicorni come in un normalissimo stabilimento di Ostia), le giornate vanno avanti. Qui sono passati un po’ tutti quelli che contano (o credono di contare) e quei “quattro dannati del mare” hanno visto formarsi e crescere famiglie, ma anche sfasciarsene, per poi crescere di nuovo ma con altri volti e altri bisogni. Chicco Testa, in spiaggia sempre scalzo, lo incontriamo spesso a Capalbio Scalo, mentre Barbara D’Urso, in mini shorts da urlo, fa jogging a Pescia Romana quando non è in spiaggia, a La Dogana. Anche i nomi delle varie località e frazioni da questi parti hanno un che di magico. Ad esempio La Parrina, Ghiaccio Bosco, Valmarina, Pedemontana, Polverosa e molti altri ancora. Garavicchio è il più curioso, il regno della famiglia Agnelli/Caracciolo e non solo, lì dove c’è Il Giardino dei Tarocchi con le enormi sculture dell’artista Niki de Saint Phalle. È il giardino dei mostri ispirati agli arcani dei tarocchi, quello che ha dato il titolo al romanzo di Lorenza Pieri e pubblicato da e/o, quello che evoca i mostri che tutti noi ci portiamo dentro. Una storia ambientata tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta in questo paesino Maremma che non viene mai nominato, “perché troppo famoso per essere citato” dove vanno a intrecciarsi le vicende di due famiglie, una locale di allevatori di cavalli (i Biagini), e una romana altoborghese (i Sanfilippi) mentre il luogo in cui si incontrano diventa il teatro perfetto della messa in scena dei cambiamenti che avvengono in Italia.

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Anche al neonato club “La Macchia”, ospitato all’interno di un antico casolare seicentesco con vista sulla spiaggia di Macchiatonda, lo stabilimento più chic dove ci si accede solo se si è soci (o si è invitati da un socio), si intrecciano relazioni, amori e dissapori, ma tutto è perfettamente calmo in un ambiente rilassato con sdraio e sedie in vimini con cuscini a strisce bianche rosse, tavolinetti, grandi ombrelloni beige e camerieri vestiti degli stessi colori sempre a disposizione. Il club ha portato via molti clienti dall’Ultima, ma lì, a Chiarone, non si perdono d’animo, come Carlo Petruccioli che da giovane, arrivava lì da Roma, scendeva nell’allora stazione di Chiarone dove c’era il casale dell’amico Alberto Sironi (il regista di Montalbano) e, insieme, andavano a piedi in spiaggia per poi tornare nella Capitale in serata. Di vero c’è che Capalbio non è un posto per tutti. Un appartamento in affitto per quattro persone durante l’alta stagione arriva anche a tremila euro a settimana, il prezzo di un ombrellone con due lettini oscilla fra i 35 e i 65 euro al giorno, e una cena completa in uno dei pochi ristoranti sul lido costa non meno di 40-50 euro a persona, vini esclusi. Ma c’è sempre un’alternativa: le cene a casa da soli, con amici o amici di amici. Qui fare conoscenza e tessere nuove amicizie è semplicissimo. Poco importa se il giorno dopo si va al supermercato (qui più che mai è chicchissimo andarci, soprattutto nella fascia 19/21), si incontra il vicino di tavola della sera precedente, ci si guarda, non ci si riconosce e si va avanti, a prendere l’ultimo pacchetto di Pavesini, ovviamente in offerta. Basterà dire che la “colpa” è tutta della mascherina che copre e (forse) protegge: la miglior scusa ai tempi del Covid.