Gentile Lei, mi dispiace disturbarLa proprio di domenica, l’unico giorno in cui, ogni settimana di questi ultimi cinque anni, può avere creduto che io non esistessi - perfino io, sa, oramai di domenica lo credo: credo di non esistere. E anche per questo Le scrivo, mentre La immagino impastare la torta di mandorle che tanto piace al Suo Eugenio, e lui guarda la partita e presto troverà una scusa per scendere in garage e telefonare. Ma non a me, oggi pomeriggio: è proprio questa la grande notizia che sono felice di darLe. Telefonerà all’Altra Ancora, certo. Ma all’Altra no, non telefonerà. Dovesse anche provarci, stanotte ho bloccato il suo numero e non potrà più avere nessun modo per entrare in contatto con me. Come si sente, Lei che è sempre stata Lei e sempre Lei rimarrà? Ora che l’Altra se ne va, come si sente? Rimane il problema dell’Altra Ancora, lo capisco: ma si fidi di me, non è una cosa seria. In questi cinque anni di Altre Ancora ce ne sono state almeno undici, ma nessuna ha mai preso il mio posto: lo conosciamo bene Eugenio io e Lei, no? Ha bisogno di piacere per piacersi, ha bisogno di quel tipo di messaggi, quel tipo di giochi per avere la sensazione, almeno per un momento, di mettere a tacere quella voce che da laggiù, dentro, gli ripete solo ancora. Ancora, ancora ancora. Il punto è che la vita non mi basta, mi ha confidato una notte, mentre si soffiava il naso con la mia canottiera: e a me è sembrato il bambino che non ho mai avuto. Non l’ho avuto per colpa vostra, mi ero abituata a cantilenare da qualche mese. Di Eugenio e di Lei, intendo.

Ed è soprattutto per questo che Le scrivo. Perché abbiamo sbagliato tutte e due. Io a credere che, se non potevo avere la vita piena che desideravo, era perché Lei, con le Sue raffinatissime tecniche che mascherano il ricatto da innocenza, obbligava Eugenio a rimanerLe accanto. Lei a credere che, se non poteva avere la vita piena che desiderava, era perché io, con le mie raffinatissime tecniche che mascherano il ricatto da desiderio, obbligavo Eugenio a rimanermi accanto. Mentre in realtà ognuno è responsabile solo di una vita, la sua. E chi lo sa dov’è che finisce quello che chiamiamo destino e comincia quella che chiamiamo una nostra scelta. Chi lo sa se a me è “capitato” di ascoltare come si piega la voce di Eugenio quando appena ha finito di fare l’amore ha di nuovo, subito, voglia di ricominciare e se a Lei è “capitato” di ascoltare come quella stessa voce si abbassa quando, la notte di Natale, sistema sotto l’albero i regali di Babbo Natale per i vostri bambini, attento a che non si sveglino. Chi lo sa se invece non l’abbiamo scelto molto tempo fa, quando anche noi eravamo bambine: di crescere per diventare Lei o per diventare L’Altra. Quello che so è che da oggi io voglio smetterla. Di essere L’Altra, di sognare di trasformarmi in Lei, ma Lei senza bisogno di Un’Altra Ancora, Lei L’Unica. Mi basterebbe tornare a essere Agata, per il momento. Eugenio dice che gli mancherò come il sole e come l’aria. E a Lei? A Lei mancherò? Ormai si era abituata a me, come io mi ero abituata a Lei, ammettiamolo. Sarà difficile continuare da sole, io con il mio letto troppo largo per una persona sola, Lei con il suo letto troppo stretto per tutto quello di cui Eugenio ha bisogno per non abbandonarLa. Ma di sicuro a entrambe rimarrà per sempre il ricordo di questi cinque, eterni anni passati insieme.

Con molta stima e un certo affetto,

Agata

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