Balliamo? Le ha chiesto Giuseppe, quella sera di fine febbraio. E prima che lei potesse rispondere o anche solo capire quante domande ci fossero dentro a quella domanda, eccola lì, senza farlo apposta, fra le braccia di Giuseppe. A ballare.
Eccola lì a raccontare, eccola lì a chiedere.

Succede anche a te, quando tutto di colpo fa silenzio, prima che la città si svegli o un attimo dopo quello in cui s’addormenta, di sentire arrivare da chissà dove, dentro e fuori di te, la voce di tua madre quando ti diceva buongiorno, ti diceva buonanotte, amore mio? Succede anche a te, in certe domeniche, di sentirti così solo da non avere nemmeno una persona a cui pensare per toccarti? Succede anche a te di sentirti, stanotte, come non credevi di poterti sentire più?
E Giuseppe diceva sì, sì e ancora sì. Mentre le baciava le dita dei piedi, una per una, e poi saliva su, fino agli occhi. Si sono incontrati ogni giorno: sempre a casa di lei, perché lui stava per traslocare - ma è una storia lunga, masticava, e poi riprendeva a baciarla.

Ogni giorno, finché non è arrivato quello - il nove marzo. E ognuno è rimasto chiuso a casa sua.
In quella che stavi per lasciare o nella nuova? Gli ha chiesto lei, subito, con un messaggio. A cui lui ha risposto con un fiore. Allora lei lo ha chiamato. Ma lui non ha risposto.

L’ha richiamata dopo tre giorni - mi manchi sempre, le ha soffiato. Mi manchi adesso, ha soffiato lei: dove sei? Sto andando a buttare la spazzatura. E perché proprio mentre vai a buttare la spazzatura finalmente mi chiami? Non succede anche a te, in questi pazzi giorni, in queste notti allucinate, di dimenticare che il mondo s’è ammalato, tanto ti sei ammalato tu di me? Perché a me sì, succede. Perché io sì, mi sono ammalata di te. Avrebbe voluto chiedergli, avrebbe voluto dirgli. Ma non ci è riuscita.

È riuscita invece a chiedergli: «Da quant’è che sei sposato?». «Da diciannove anni». «Quanti figli hai?». «Due. Ma non è come sembra».
Se c’è una frase che in quarantadue anni lei sperava di essersi meritata di non ascoltare mai era proprio quella: non è come sembra. Eppure il bisogno di crederci si è preso tutto, anche quella speranza. Non è come sembra, si è ripetuta il quindici, il venti, il trenta marzo. Il sette, il venticinque aprile. E ogni volta che lui, sempre andando a buttare la spazzatura, o qualche volta andando a fare la spesa, riusciva a chiamarla.

Finché, finalmente, ma facendo piano, il mondo ricomincia a entrare, a uscire dalle case. Ma Giuseppe non entra più in quella di lei. Però: «Mi manchi come l’aria», le dice. Mandami una tua foto mentre fai la doccia, mandami una foto di quello che vedi dalla finestra, mandami una foto delle scarpe che hai appena comprato, le scrive. Ma intanto, arriva l’estate. È il primo giorno di luglio, quando lei, in fila per entrare in una libreria, lo incontra. Tiene per mano un bambino che ha la sua stessa bocca e i suoi stessi capelli.

«Ciao». «Ciao». E poi, rivolto al bambino: «Andiamo, amore, la fila è troppo lunga, torniamo domani». «Ma papà, mi avevi promesso che».
«E ora ti prometto che torniamo domani».
Si allontanano. Perdonami, ma preferisco essere sereno nella mia vita vera piuttosto che felice, gli scriverà lui, qualche ora dopo. Lei non risponderà mai. Ma ancora si domanda che cos’è, la vita vera. E perché non sia un posto dove si possa ballare. Senza farlo apposta e senza farsi male.

La vostra vita diventa un racconto scritto da Chiara Gamberale, mandate le vostre storia a Chiara: mcsentimentalisti@hearst.it