Il burro. Soffice, lucido, sensuale, quel giallo cremoso bello nell'aspetto e miracoloso in cucina. Oltre alle indiscusse proprietà culinarie, ci sono poi le qualità fisiche del materiale, levigatezza e malleabilità, che al primo sguardo lo rendono uguale alla cera. Non stupisce quindi sapere che la scultura più popolare al Philadelphia Centennial Exposition del 1876, intitolata Dreaming Iolanthe, fosse un busto in rilievo di una donna addormentata realizzato modellando 4 kg di burro ed esposto in una semplice bacinella di latta. La creatrice era Caroline Shawk Brooks, una contadina dell'Arkansas che, come tante altre donne dopo la Guerra Civile, cercava di fare qualche soldo in più vendendo il surplus del suo burro nei mercati locali. Questo burro artigianale veniva tradizionalmente pressato in stampi, marchiato o decorato per abbellire la tavola e per rendere il panetto riconoscibile tra quelli della concorrenza. È così che Coraline Shawk Brooks ha iniziato la sua carriera.

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Siamo ben lontani dalla tradizione romantica coltivata da poeti e pittori che celebravano la mungitrice voluttuosa, tutta curve e allusioni, dimenticando per convenienza quanta forza richiedesse a queste donne il lavoro della fattoria, in una vita di campagna dove i ruoli erano ben definiti e mungere le mucche, per poi trasformare il latte in burro e formaggio, erano compiti che si sommavano alle altre attività quotidiane della donna di campagna. L’immagine delle fattrici impegnate nella produzione casearia era talmente iconica da aver ispirato uno degli eccessi più stravaganti di Maria Antonietta, il laiterie d’agrément (“la Latteria della Regina”) nella proprietà di Versailles. Si trattava di in un villaggio costruito a tavolino per intrattenere i nobili con tanto di casette, mulini ad acqua e una fattoria. Qui Marie Antonietta e le sue dame di compagnia si travestivano da mungitrici e trascorrevano il tempo nella Latteria a fare il burro e altri derivati del latte.

Incoraggiata dal successo improvviso della fiera, Caroline Shawk Brooks si è buttata in una carriera artistica come scultrice del burro e ha passato il resto della vita impegnandosi per essere accettata dal mondo dell'arte, con tanto di inevitabile apprendistato in Italia, tuttavia non è mai riuscita a raggiungere di nuovo la fama della manifestazione di Filadelfia. La sua carriera, nonostante l'uso di un materiale inconsueto e la curiosa intersezione tra arte, vita domestica e produzione casearia, è stata per certi versi tipica del suo tempo. Il suo stile e i suoi soggetti non erano diversi da quelli dei contemporanei, ma la decisione di produrre sculture sia in burro che in marmo ha diviso la ricezione del suo lavoro in base al medium scelto. La tensione tra domesticità e professionalizzazione ha da sempre influenzato le carriere delle artiste americane e come altre sue contemporanee Brooks non è riuscita a colmare la distanza tra elitario e popolare proprio per colpa del burro: all'apparenza prezioso come l'alabastro, da sempre è stato identificato come materiale femminile, più adatto per essere scolpito da una donna a differenza di materiali mascolini come il bronzo e il marmo che richiedevano forza bruta. Ma è proprio l'uso del burro che ha permesso a molte donne di identificarsi con la sua arte. Le americane che avevano visitato la fiera di Filadelfia e che affollavano le successive performance in cui Brooks scolpiva il burro davanti al pubblico capivano il desiderio di dargli forma e plasmarlo con le proprie mani perchè già conoscevano intimamente i gesti della produzione casalinga del burro.

Caroline Shawk Brooks ha continuato a scolpire fino al 1910, quando aveva quasi 70 anni. Alla fine la sua carriera nelle belle arti non ha mai preso piede e quasi nessuna delle sue sculture in marmo è stata conservata, eppure il suo lavoro nel campo popolare con il burro ha avuto un impatto duraturo nella cultura americana. Anche se la produzione del burro fino alla fine del XIX secolo era stata una mansione domestica esclusivamente a carico delle donne, la tradizione americana delle sculture di burro è un’invenzione di Caroline Shawk Brooks. È grazie a lei che il burro è diventato materiale per le sculture pubbliche, come è grazie a lei che si sono diffuse le performance di scultura davanti a un pubblico non elitario.

Sono passati secoli ma i prodotti in burro scolpito oscillano ancora tra il campestre e l’artistico. Da una parte continua la sua celebrazione durante le esposizioni agricole, dove migliaia di persone si presentano per vedere i locali trasformare montagne di burro, congelato e riciclato ogni anno, nei soggetti più improbabili, da Elvis a Tiger Woods. Sul fronte opposto invece le sculture di burro si sono fatte concettuali per entrare nelle gallerie d'arte. Esemplari sono le opere ispirate ai templi dell'Antica Grecia di Laila Gohar, “designer di esperienze culinarie” nata al Cairo ma con base a New York, che ciclicamente si fa notare per le ingegnose installazioni di cibo per i grandi marchi della moda e del design, dalle conchas messicane per il lancio di Simone Rocha x HM alla scultura di marshmallow e zucchero per Tiffany and Co. Forse nessuno gioca più a fare la mungitrice o la formaggiaia, ma il fascino e la bontà sensoriale del burro sono qui per rimanere.