E poi la luce comincia a sgomitare, una brezza leggera mi accarezza i capelli, il viso e mi investe il profumo degli ibiscus: eccolo qui il mio premio... Stanotte è stata davvero dura. Il caldo mi entrava nel respiro, sentivo tutti i rumori della foresta come se non ci fosse nemmeno questa zanzariera a separarci.

È da quindici anni che vivo qui: sono tanti, certo. Ma sono tanti anche i ventisei che ho passato a Como. Anzi, sono di più e non sono undici di più, sono mille e undici di più. Perché non erano miei e quando la vita non è tua pesa tre tonnellate: tanto che, se ripenso a quella ragazza ricca e invidiata che aveva tutto eppure non riusciva a godere di niente, mi sembra strano che si chiamasse Gemma, come me, mi sembra assurdo che fossi io. Dammi una risposta, ti prego: imploravo all’unico amico da cui mi sentivo capita, il crocifisso della Chiesa davanti a casa mia. Che però risposte non me ne poteva dare, perché era la domanda... Gemma, dov’è che sei felice?

Quando ho avuto il coraggio e l’incoscienza di ascoltarla, quella domanda, la sera stessa ho deciso: e ho mollato tutto il troppo che per me era niente per farmi suora - è così che si dice. Ma io preferisco dire per essere. Non solo una suora: per essere la persona che sono. Una persona che finalmente ha trovato un posto da chiamare casa, nell’orfanotrofio di questa foresta africana. Quanti bambini ho conosciuto? Non li ho mai contati, ma li ho amati e li amo tutti come fossero figli miei. Arrivano qui quasi sempre allo stesso modo… In una scatola di cartone abbandonata sotto alla pianta di ibiscus che sembra fare la guardia al porticato. Ieri notte ne sono arrivate tre, di scatole. Anzi, due scatole e una cassetta della frutta. C’erano foglie e fiori gialli a fare da materassino al neonato... Così l’abbiamo chiamato Fiorenzo.
È da un po’ che ho cominciato a dormire qui, sulle assi del porticato perché chi lo sa, mi dico, posso dare una benedizione a una madre prima che scappi, protetta e perseguitata dall’oscurità del suo segreto e di quelli della foresta, posso parlarle, convincerla a rimanere qualche giorno con noi per trovare una soluzione... Le altre sorelle mi lasciano fare, mi hanno sempre lasciata fare, mi chiamano Suor Illusione, ma l’illusione non è in fondo la speranza di un cambiamento? Di un segnale? Il segnale che io per prima davanti a quel crocifisso cercavo incessantemente.

E che, da quando è arrivato, non mi abbandona mai. Gemma, dov’è che sei felice? Continuo a chiedermelo.
Sono felice quando aspetto quelle donne.
Sono felice quando qualcuna si ferma e magari non dice niente, ma ascolta.
Sono felice quando rimaniamo in silenzio insieme, lei, io e il bambino.
Sono felice quando un bambino impara a leggere.
Quando arrivano le altre donne, le donne che vengono da lontano e hanno la pelle bianca e i modi gentili.
Quando quelle donne prendono in braccio per la prima volta il bambino che le stava aspettando e diventano subito madri.
Quando tornano da dove sono venute e il bambino parte con loro.
Sono felice quando la notte sfuma e sale il profumo degli ibiscus.

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