Una Coppia Pandemica Veramente Felice, specialmente a San Valentino, può sembrare il loop spaziotemporale più bello del mondo. È un animale policefalo piuttosto raro, che predilige consumare in isolamento la sua stagione dell'amore permanente. Eppure, facendo attenzione a non disturbarlo, è possibile studiare il suo comportamento e provare a carpirne qualche segreto.

Se le Coppie Pandemiche Diversamente Contente, cioè il resto del mondo che convive e lotta insieme a noi, hanno atteso il 14 febbraio – nel migliore dei casi – come un momento di ilarità condivisa nei confronti del loro personale State of the Union; o tutt'al più per ordinare, una volta tanto, un Deliveroo più ricercato di una pizza a forma di paturnia, le Coppie Pandemiche Veramente Felici saluteranno questo giorno come ogni altro giorno dell'era Coronavirus: scartandosi a vicenda come tubi di Baci Perugina antropomorfi, i cui cartigli riportano immancabilmente la stessa frase:

Non si vive se non il tempo che si ama.

Il sentimento che unisce queste creature fortunate è così intenso e costante che la loro idea di festa degli innamorati 2021 equivale a un Groundhog Day, con due marmotte al prezzo di una, che si ripete, ogni ventiquattro ore, da marzo 2020. Non celebreranno, infatti, una data in particolare, ma un anno intero di scarpette della medesima, deliziosa minestra servita nella zona rosa che ha i confini strettissimi e immensi della loro tana e della loro gioia di non uscirne.

Ma non è toccata a tutti eguale sorte. A condizioni ambientali diverse corrispondono modalità di adattamento diverse. Ad esempio, alle soglie dei 365 giorni di coworking con quella specie di collega – di cui, un tempo, bramavano le trasferte di lavoro per prendersi del tempo per se stessi, e di cui ora aspettano un attimo di sonnolenza per raccoglierne i peli superflui dal pavimento – i membri delle CPDC hanno elaborato un nuovo richiamo, per amore, se non dell'altro, quantomeno della sintesi: ehi.

Ci si sveglia mariti e ci si riaddormenta sottoforma di conoscente.

Per gli esemplari, diffusissimi, di CPDC le giornate in casa sembrano tutte partite a tennis giocate contro un acerrimo rivale: la nozione pre-Covid del proprio partner, puntualmente perse al primo set. Una sindrome di Stoccolma a ciclo continuo, di cui si è carceriere e detenuto, con turnazioni rigorosamente cadenzate da un calendario di cazziatoni e sensi di colpa. La vita coniugale in cattività è uno stallo alla coreana: un Kdrama in cui ciascuno è Parasite dell'altro. Le CPVF, invece, hanno saputo prosperare nella segregazione come azionisti di Zoom o Amazon ma, se possibile, con maggiore avidità. Per queste stakanoviste dei sentimenti ogni scusa è buona per applicare alla lettera la regola monastica che hanno riformato in coccola et labora. Il telelavoro diviene così l'habitat ideale per una sessione di gioco di ruolo tematizzato sulla sexual tension aziendale.

Gli anni di fidanzamento di una CPDC si conteggiano in un modo alternativo, come per talune specie zoologiche: trenta giorni corrispondono a un anno o più, in base alla pesantezza; ma si perde presto il conto, anche perché per molte di queste coppie la crisi del settimo mese, prevista in autunno, è stata anticipata nel pieno dell'estate, quando la voglia di libertà prese il sopravvento e agosto piccolo grande congiunto mio non ti conosco. La giornata tipica sotto Coronavirus apparirà agli occhi di una CPDC come un corto immaginario di Christopher Nolan alle prime armi, quando non aveva ancora il budget per gli effetti speciali di Inception o Interstellar e gli unici paradossi che poteva mettere in scena erano casalinghi e coniugali, invece che onirici o spaziali, ed è la semplice curvatura delle pareti di casa a schiacciare i protagonisti, nella versione invertita del cielo in una stanza di Gino Paoli:

il mondo, con tutti i suoi problemi, che si restringe ed entra in un lettone in un tinello.

Lo stesso lasso di tempo, per una CPVF, sarà una passeggiata di salute in tapis roulant e trascorrerà in un battito di ciglia opportunamente deterse dal partner. Tutto quello che è apparentemente odioso per una CPDC, per la minoranza linguistica che si esprime come le CPVF, invece, è fonte di piacere e di accrescimento dell'amore. Non tutte le CPVF si accontentano di piaceri elementari come imboccarsi o completarsi i profili Tinder a vicenda (per uso esclusivo indoor). Ce ne sono di tecnologicamente evolutissime e non esiste app concepita per aprire uno spiraglio al mondo esterno che non siano riuscite a ricodificare e customizzare. Questa nicchia sembra aver trovato, proprio a ridosso di San Valentino, la sua piattaforma social ideale. Clubhouse sarebbe anche, sulla carta, una bella idea: una web radio di se stessi e dei propri personal branding guru preferiti rivolta a un pubblico che puoi far intervenire o espellere, senza altre gradazioni di possibile interazione, in qualunque momento. In altre parole, l'Eden di ogni logorroico digitale. Ma aveva anche un difetto fondamentale: non avrebbe mai potuto essere migliore delle persone che l'avrebbero animata. Da qui la tendenza a considerare Clubhouse la patria della JOMO (Joy of missing out). Ma le CPVF hanno trovato un rimedio geniale per arginare questo problema. La loro idea di Clubhouse – che corrisponde in parte o in tutto alla loro definizione di vero amore – è una room di benvenuto per il partner, appena invitato, in cui restare soli e fuori dal mondo, dalle sue banalità, dalle sue aggressioni. Mentre Michelle Hunziker ringrazia uno per uno i suoi 500 ascoltatori, mentre Morgan litiga con i suoi 1,5k detrattori, pochissimi – tra le mille notifiche – nota la serenità di quella room, Welcome to Clubhouse Giulietta, dove non c'è bisogno di alzare la mano e mettersi in fila per parlare, dove nessun moderatore può porre freno all'immoderabile dolcezza delle parole sussurrate da un capo all'altro dello stesso appartamento, lucchettate e paghe, incuranti dei topic più scabrosi (Seduzione, come si comunica?) come di quelli più intriganti (Room a colazione: qual è la tua sigla di oggi?), ignari del giorno e della notte, della tristezza e della fatica. Basterebbe questo uovo di Colombo a svelare tutti i trucchi delle CPVF. Non era chissà quale segreto industriale.

Palm Springs (Vivi come se non ci fosse un domani, su Prime Video), scritto e girato prima della pandemia, è stato profetico dell'amore in loop temporale come Contagion lo è stato per tematiche più strettamente infettivologiche. I suoi protagonisti si innamorano e si rinnamorano mentre vivono all'infinito il giorno in cui si sono conosciuti a un matrimonio. Lo so che è una cosa folle che la mia persona preferita sia quella che ho conosciuto mentre ero bloccato in un loop temporale. Ma sai cos'altro è folle? Essere bloccati in un loop temporale. La differenza col suo modello storico, Groundhog Day, è Nyles e Sarah rivivono in due che quel giorno. Nelle varie iterazioni del loro loop conoscono di tutto: violenza, attrazione, drammi esistenziali, dinosauri, per approdare infine alla soluzione più coraggiosa ma fattibile che potesse venire loro in mente. Guardacaso, è la stessa di ogni CPVF. Non è detto che le CPVF non abbiano il coraggio di vivere come se ci fosse un domani. È che hanno compreso prima di altre che il problema di non poter ancora immaginare un futuro non implica che non possiamo cogliere l'opportunità di goderci quello che possiamo del presente. Se, fino a prova contraria, nella salute e nella pandemia, siamo condannati ancora per un po' a rivivere più o meno sempre lo stesso giorno, che questo giorno sia almeno San Valentino (invece che la Pasquetta scorsa o gli esami di maturità). Cerchiamo di seguire il loro esempio. Da soli, contro il loop, non si può vincere, ma si può pur sempre perdere insieme, a lungo. Chissà che non abbiamo tutti un potenziale secondo in una Coppia Pandemica Veramente Felice, magari dove meno ce lo aspettiamo. A volte perfino nella persona con cui già conviviamo. Pensavamo fosse un loop, invece era un tarallo: non un cerchio perfetto, con pretese giottesche. Un semplice anello di pasta le cui estremità combaciano come possono, finché qualcuno non lo morde.