L’importante, in questi tempi sciagurati, è non perdere di vista i dettagli. È in arrivo il compleanno di mia madre. Non sono nella città in cui vive e decido di tornare in tempo per brindare con lei nel giorno dell’anniversario.
Le telefono. «Io passerei da te domani per gli auguri. Hai una bottiglia in fresco?».
«Sì, tu porta però le patatine... io non so dove si comprano».
Prima reazione. Dice così perché non le va di andare al supermercato. Seconda. Il vero messaggio che deve arrivare è: lei non mangia porcherie e tanto meno mi ha insegnato a mangiarle. Come potrebbe, se non sa dove trovarle...
Mentre ancora scuoto la testa, mi dico: ma certo, che cosa dovevo aspettarmi? È mia mamma, non molla; a costo di sembrare svampita o snob, si avvinghia a un istinto che non cede. Lei è quella che, quando io ero piccolo, ha alzato attorno a me un muro da cui erano escluse le cose che fanno male, anche se buone: merendine, bibite & company. Tutto cambia e perde certezza, ma lei resta la scorciatoia per riscoprire il “come una volta”. Tra le relazioni, l’unica che presenterà sempre un paesaggio noto per cui dirai, com’è possibile, ho fatto il giro del pianeta, mi sono venute le rughe, eppure da qui non mi sono mai allontanato. È la seconda vita che viviamo nella mente di chi ci vuole bene. È un addossarsi il peso del figlio, renderlo importante, fino alla fine. Siano voti, digestione oppure occhiali da cambiare.

In questi mesi senza viaggi neanche da pendolare, ho visto all’opera l’instancabile attenzione della mia compagna nei confronti di nostra figlia, che arrancava per l’esplosione di un mondo, le cui scosse l’hanno colpita più di quanto si possa immaginare (oltre al danno per le mancate lezioni in presenza, ci si dovrebbe occupare delle ferite alla fantasia, alla capacità di desiderare un domani). A casa, ho visto di nuovo salire quel “muro”, una specie di linea Maginot, ultima barriera prima del caos. Era un sottofondo onnipresente, più forte delle paure e delle rinunce; piena di richiami, attenzioni, incitamenti anche per superare la pigrizia che mi faceva mormorare (pianissimo): ma in mezzo a ’sto casino globale, ha ancora senso passare lo spazzolino elettrico?

Loro non saranno d’accordo ma entrambe le mamme quando lo “sono”, rivelano lo stesso desiderio: mostrare ai figli “come essere perfetti”. Le virgolette sono necessarie per due ragioni. La prima è ovvia: la perfezione non è un risultato ma uno sforzo. Sembra che dicano: in qualunque situazione, ricordati, migliorare significa amarsi al meglio delle possibilità e la perfezione cercala nell’unica verità, la bellezza. Il secondo motivo delle virgolette è perché la frase è il titolo di una poesia di Ron Padgett, dalla raccolta dal titolo horror ma che in realtà fa morir dal ridere, Non praticare il cannibalismo (Del Vecchio editore). La poesia è un elenco di sei pagine di “raccomandazioni” per condurre un’esistenza ideale: ognuno ci può ritrovare quella vocetta nel cuore instillata dalla madre. Ne scelgo due: «Prenditi cura innanzitutto delle cose vicine. Metti in ordine la tua stanza prima di salvare il mondo. Poi salva il mondo». E «Non dare troppo di matto. È una perdita di tempo». Ho potuto ammirare queste parole in azione. E so anche dove trovare le patatine. Eccomi allo scaffale dell’Autogrill, tra pacchetti al bacon, hot, sticki eccetera: dall’infanzia un messaggio arriva dritto al cervello e scelgo le classiche. A mia figlia porterò una mostruosa e coloratissima caramella a forma di hamburger, non sarà la fine del mondo.