Nina è italiana, vive a Beirut, fa la giornalista, e con Omar, il fotografo siriano di cui è innamorata, nel 2013 decide di andare ad Aleppo per raccontare quello che sta accadendo. È indomita, spericolata e non può immaginare cosa si troverà davanti. E nemmeno come tutto questo cambierà la sua vita. La guerra di Nina (Longanesi), il romanzo d’esordio di Imma Vitelli, giornalista e reporter di guerra (che molte storie ha raccontato anche su Marie Claire), ci porta in Siria e ci parla di amore, ribelli, prigionia, regime, segreti e conflitti che stanno dentro e fuori di noi.

Com'è nato questo libro?
L’idea ha iniziato a balenarmi circa 6 anni fa, sul confine tra Siria e Turchia ascoltando le storie di prigionia di un mio amico siriano. Sapevo che di quei racconti avrei fatto qualcosa. Poi un po' di tempo dopo, ho scoperto per caso, che due anni prima in Afghanistan avevo rischiato di essere rapita. E da lì ho iniziato a farmi delle domande, a pensare a una storia di formazione per trasfigurare le mie tante esperienze di guerra, ma anche quello che avevo imparato sull’amore.

Quanto c'è di te qui in queste pagine?
Parecchio. C’è l’inconsapevolezza, l’incoscienza, c’è il bisogno di riscatto, l’ira, la rabbia… e poi a un certo punto la presa di coscienza.

Quanto ti somiglia Nina?
Molto, diciamo che Nina è la ragazza che sono stata a 20 anni, una giovane donna in cerca di riscatto che non aveva paura di niente e credeva fosse possibile affrontare i draghi con la cerbottana, come scrivo nel libro.

Hai seguito molte guerre, perché raccontare questa?
La Siria è stata un urlo nella notte, uno spettacolo agghiacciante, in un periodo storico in cui nessuno poteva dire di non sapere.

Cosa ha rappresentato per te?
L'avvento del disincanto, avendo vissuto a Beirut la conosco bene (Beirut e Damasco distano 134 chilometri), ci sono stata tantissime volte prima della rivoluzione e della guerra e durante, ho abbracciato le speranze dei ribelli e poi sono stata testimone di quello che è successo.

C’è qualcosa che ti è rimasto particolarmente impresso?
Ho tantissimi ricordi di quella guerra. Forse uno dei momenti di maggiore poesia mi è capitato in una base di ribelli vicino ad Aleppo, dove c'era questo comandante, un uomo che prima coltivava le api, che aveva questi tre piccioni in gabbia a cui aveva avevo colorato le piume (proprio come racconto trasfigurandolo nel libro, era difficile inventare una cosa così). Ecco vedere la tenerezza di quest'uomo, che poi la sera magari sarebbe andato a combattere, con questa colomba, mi è sembrato emblematico: un'immagine che catturava tutta la struggente complessità dell’animo umano, tutte le contraddizioni che poi ho cercato in qualche modo di raccontare.

Nina d'un tratto si trova senza parole, a te è mai capitato?
Durante la prima guerra che ho seguito quella dell'estate del 2006, l'invasione israeliana del Libano. Vivevo a Beirut da quattro anni ormai, avevo una casa, amici, colleghi. Io e un mio amico, un fotografo iracheno, abbiamo deciso di andare al Sud dove c'era il conflitto. E proprio come Nina anche io sono partita con le infradito e mi sono ritrovata a camminare sulle macerie con i sandali ai piedi. E quando siamo arrivati a Cana, dove c'era stato un massacro, non ho pensato a come avrei potuto raccontare quello che stavo vedendo (mi sembrava impossibile) ma mi sono messa ad aiutare una vecchina che poteva avere 90 anni e che era rimasta intrappolata in una cantina.

Come mai ambientare questa storia nel 2013?
Quello è stato il punto di svolta, l’anno in cui Obama, che aveva in qualche modo detto che sarebbe intervenuto se fossero state usate le armi chimiche, non l’ha fatto. La guerra in Siria l’hanno vinta nel 2013 il regime con gli iraniani e i russi. Il resto è stato una lunga conseguenza. Credo che i punti di svolta nella vita delle persone, nella storia dei Paesi siano quelli in cui è necessario scavare. Quando un giorno qualcuno scriverà davvero che cosa è successo in Siria, si dovrà per forza tornare al 2013.

A un certo punto Walid, un ragazzino siriano, dice: «Il passato è passato, se lo scrivi non passa». È davvero così?
Io penso sia esattamente il contrario. Che solo guardandolo da vicino, capendo cos'è successo, possiamo liberarcene.

Da cosa sei riuscita a liberarti scrivendo?
Intanto ho guadagnato una distanza - tra la me di adesso e quella di allora. È stato come essere al servizio di una mia identità passata, renderle onore, giustizia e in qualche modo volerle bene. Penso che tutti scrivendo ci liberiamo dei nostri fantasmi, li esorcizziamo. E io con questa storia credo di aver davvero trovato un posto, attribuito un significato a delle esperienze che mi hanno segnato, e che oggi sono ricchezza. Ecco io adesso celebro questa ricchezza.

cover la guerra di ninapinterest
Courtesy Longanesi
Imma Vitelli (classe ’70), giornalista e reporter, è tornata a vivere in Italia dopo aver passato dieci anni in Medio Oriente. La guerra di Nina (Longanesi, € 16,90) è il suo primo romanzo.