Sarà forse per quell'aria frizzante tipica della Costa Azzurra. O per l'atmosfera pigra e sensuale che contagia chiunque faccia un salto in Riviera in qualunque mese dell'anno. O, ancora, per la leggendaria allure libertina che avvolge chi da sempre è stato educato a pane e rivoluzione (come lo sono i francesi). Ma il Festival di Cannes è stato da sempre fucina non solo di capolavori ma anche di pellicole tutte sesso e scandalo. L'eros sulla Croisette è un grande classico, un po' come lo sono da queste parti il pastis o il rosé. Lussuria, orge, depravazione, incesti, eccessi di ogni genere: l'elenco dei film che ha scandalizzato spettatori e critici del Palais des Festivals et des Congrès è lunghissimo.

Il padre dei film più hot della storia della kermesse transalpina è stato molto probabilmente Viridiana di Luis Buñuel, vincitore nel 1961 della Palma d'Oro. A sconvolgere il pubblico (ma a far centro nel cuore della giuria presieduta dallo scrittore Jean Giono) la storia della novizia che prima di diventare suora di clausura viene spedita dalla madre superiora dallo zio don Jaime, che impazzisce per lei e tenta di sedurla in ogni modo: narcotizzandola, segregandola e circuendola. La censura definirà questo film "Proibito. Blasfemo, antireligioso" e ne bloccherà la circolazione fino alla morte del dittatore Francisco Franco avvenuta nel '75.

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Nel 1962, altro scandalo. Stavolta per colpa (o merito) di Mondo cane, diretto a sei mani da Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Il documentario, anzi il freakumentary, mischia filmati d'archivio reali a fiction mostrando i più incredibili rituali sessuali del pianeta Terra.

Nel 1976 è la volta di Vizi privati, pubbliche virtù diretto dal regista ungherese Miklós Jancsó. La storia anche se non viene mai esplicitata è quella della relazione clandestina tra l'arciduca d'Austria Rodolfo d'Asburgo-Lorena - erede legittimo al trono degli Asburgo - e la sua amante, la baronessa ungherese Maria Vetsera, finita tragicamente con il doppio suicidio dei protagonisti. Tema predominante è, ça va sans dire, il sesso. In Italia il film viene sequestrato due volte, mentre il regista e la sceneggiatrice sono processati e condannati per oscenità. A scatenare l'ira dei censori, oltre alla ripresa esplicita di una masturbazione, anche un'orgia sfrenata e il pullulare di ermafroditi e uomini e donne nature.

Col passare degli anni la censura ha mollato la presa, facendo impennare il numero delle opere controverse. Polemiche a non finire, per esempio, ha suscitato Sesso, bugie e videotape di Steven Soderbergh, Palma d'oro nel 1989. A scandalizzare il pubblico di fine anni 80 nessuna scena hard, ma i protagonisti che si filmano mentre parlano di sesso.

Basic Instinct (1992) di Paul Verhoeven è un grande classico del genere. Indimenticabile la scena in cui Sharon Stone accavalla le gambe durante un interrogatorio e disegna una delle scene più seducenti mai prodotte a Hollywood. Tre anni dopo tocca a Kids del fotografo e regista americano Larry Clak. Presentato alla 48a edizione del Festival, racconta le avventure di Telly, detto «lo sverginatore compiaciuto» e sieropositivo, e Jennie (una giovanissima Chloë Sevigny), che contrae l’HIV dopo un rapporto non protetto col ragazzo. È un film spartiacque che segna un confine ben preciso: prima gli adolescenti parlavano di sesso, ora lo fanno. Ad aggiungere malessere, il tema dell'Aids che dondola per tutto il film come un cappio.


Irreversible del francese Gaspar Noé, con Monica Bellucci e Vincent Cassel, raggiunge nel 2002 lo Zenith dello scandalo. Motivo: scene di omicidi e sesso esplicite a go-go. Ma soprattutto uno stupro mostrato quasi in tempo reale, lungo oltre dieci minuti, che - narra la leggenda - porta almeno duecento spettatori a lasciare la sala durante la proiezione, mentre una decina di persone addirittura sviene a causa dell’iperrealismo di quelle immagini. Nel 2003 è ancora la Sevigny a fare scalpore. L'occasione è data dal dimenticabilissimo The Brown Bunny di Vincent Gallo e da una scena di sesso orale non simulata fra l'attrice e il regista.

Palma d'oro 2013, La Vita di Adele di Abdellatif Kechiche è l'ennesima offesa alla morale (almeno secondo alcuni critici). Protagoniste sono le sensualissime Adele Exarchopoulos e Léa Seydoux, invischiate in una relazione omosessuale e "costrette" dal regista a riprese estenuanti e scene di sesso interminabili, che la stressa Julie Maroh, autrice della graphic novel Il blu è un colore caldo da cui è stato tratto il film, ha definito “forzate e inutilmente voyeuristiche". Il risultato però è un film bellissimo ed emozionante, molto probabilmente anche per merito di queste "forzature".

Nel 2005 riecco Gaspar Noè, che con il suo Love porta in Riviera un porno 3D che non ci risparmia nulla. È la storia di un triangolo amoroso narrata senza seguire l'ordine cronologico con scene erotiche a profusione. "Volevo raccontare la passione di una giovane coppia in amore", dirà poi il regista. Ma la critica non apprezza.

Nel 2019 invece torna alla carica Kechiche con Mektoub, My Love: Intermezzo. E anche stavolta c'è chi non gradisce. Il film dura quasi quattro ore e trova il suo apice in un cunnilingus di 15 minuti in favore dell'attrice Ophelie Bau, con tanto di orgasmo finale. Una barzelletta se paragonato a Liberté di Albert Serra, presentato alla Croisette lo stesso anno. Un trionfo di pissing, torture sessuali a base di olio bollente, ferite, violenze e sottomissioni varie.