Icona dell'estate per antonomasia, anche per chi non sa nuotare, la piscina è molto più di quel che sembra. Da sempre parte dell'architettura pubblica, dalle terme romane agli onsen giapponesi, nella sua versione privata è diventata simbolo del Sogno Americano, dove la staccionata bianca, un prato verdissimo e la piscina a fagiolo erano la prova indiscutibile di quel che si può ottenere con il duro lavoro. Status symbol lo è ancora oggi, nella versione infinity pool, attrazione irrinunciabile per un hotel di lusso che vuole rimanere rilevante di questi tempi. Non per niente si dice che Beyoncé e Jay-Z ne abbiano (almeno) due.

Il primo a immortalare le piscine dell'America del dopoguerra e a farne una carriera è stato David Hockney, direttamente dal vecchio Yorkshire, che una volta atterrato in California del Sud nel 1963 ne è diventato involontariamente il ritrattista ufficiale, ossessionato dal connubio tra architettura essenziale, piscine private, il sole splendente e sensualità dei corpi seminudi. Il dipinto Bigger Splash (esistono anche The Splash e A Little Splash) è ormai nella coscienza collettiva, ma per i veri fan di Hockney vale la pena visitare l'Hotel Hollywood Roosevelt dove l'artista, con un secchio di vernice e pennello, ha tracciato un pattern che richiama le increspature dell'acqua: un tuffo e da statico ci si ritrova istantaneamente in una danza di blu.

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Sulla costa opposta, nonostante la gentrificazione in corso nel Greenwich Village (New York), sopravvive una piscina civica decorata con un murales di Keith Haring. Era il 1987 e la piscina si chiamava Carmine Street Pool, ora è ancora aperta al pubblico con il nome di Tony Dapolito Recreation Center e rimangono in bella vista, con lo stile riconoscibilissimo di Haring, omini stilizzati alternati a figure acquatiche come delfini e pesci, il tutto in una serena palette bianco/giallo/blu.

Per i collezionisti d'arte contemporanea la via più facile è quella di abbellire la piscina con una scultura, a patto che resista alle intemperie e non sia posizionata dentro la vasca, per evitare l'effetto fontana. La casa dei coniugi Stillman nel Connecticut (Litchfield County) con la piscina disegnata da Marcel Breuer - il migliore studente uscito dalla scuola Bauhaus - e decorata con pannelli di Alexander Calder è il connubio perfetto ai quali tutti dovrebbero ambire.

Ancora più ambiziose sono le piscine nelle residenze dei galleristi, che hanno la possibilità di lavorare a stretto contatto con gli artisti. Talvolta l’estetica vince sulla funzione, come nel caso della piscina nera - quindi perennemente calda - di Sylvie Fleury per il gallerista Thaddaeus Ropac o quella sotterranea di James Turrell nascosta in un granaio di Greenwich (Connecticut), buia e illuminata solo da LED, una sorta di cenotes artificiale, tanto bello quanto pericoloso, dove ovviamente una signora è caduta la sera dell'inaugurazione, confusa dall’illusione ottica (lo stesso Turrell l'ha ripescata).

Secondo le storie che si leggono della piscina del ballerino di flamenco Antonio Ruiz Soler, non tutte sono frutto di lunghi progetti ma possono nascere dall'impulso del momento (impulso che non si trattiene, se l'artista in questione è un vecchio compagno del Partito Comunista francese, Pablo Picasso). Con un disegno e firma autentica sul fondo, la villa vicino a Marbella, già lussuosa in partenza, ha raggiunto un valore astronomico. Un'altra piscina cubista, questa volta di George Braque, si trova sulla Riviera Francese alla Fondazione Maeght: poco profonda per poterci nuotare, ma realizzata in mosaico tradizionale con dei pesci astratti, è quasi una scultura site-specific a cavallo tra arte e architettura.

Ci sono poi decine di piscine d'artista temporanee delle quali rimangono solo le immagini, come la Social Pool di Alfredo Barsuglia in un punto non precisato del deserto della California, con libero accesso per chiunque riuscisse a trovarla, o lo spazio meditativo di James Turrell per Le Confort Moderne di Poitiers, intitolato Heavy Water, un'installazione con piscina e costume disegnato per l'occasione per i visitatori, o ancora la versione sciropposa di Mike Bouchet Flat Desert Diet Cola Pool, con una vasca piena fino all'orlo di una bibita senza zucchero formulata dall’artista.

Tante, quasi troppe, sono le piscine viste alle varie Biennali, belle da vedere, ma la cui qualità artistica va dalla fregatura (spesso) al concettuale ponderato (su questo Elmgreen & Dragset, che hanno affrontato il tema più volte, sono una certezza). Con tutto il bagaglio storico e simbolico accumulato nel tempo, il fascino della piscina sembra non diminuire e rimane una fonte di ispirazione per gli artisti. Per noi, che artisti non siamo, le piscine d'artista sono prima di tutto spazi di frescura, poi visioni fluttuanti, dai colori vibranti e psichedelici, e ci garantiscono un’invidiabile scenografia per l'ultima foto di un'altra estate che se ne va.