Ginevra Boldrocchi è una biologa marina che abbiamo conosciuto durante la presentazione del progetto che unisce One Ocean Foundation Yacht Club Costa Smeralda e Land Rover Italia con il fine di sostenere ed educare alla tutela dei nostri mari a partire dallo straordinario Canyon di Caprera: dalla raccolta della plastica sulla spiaggia a vetture realizzate con materiali riciclati e messe a disposizione per scoprire il territorio. La sua vita tra Italia e Africa è un diario di bordo costante che qui racconta in esclusiva per Marie Claire.

Tra i paesi che si affacciano sul Golfo di Aden, il Gibuti rappresenta sicuramente un importante hotspot di biodiversità marina dove gli squali balena si aggregano ogni anno, ma di cui ancora si conosce poco. Vista la mancanza di informazioni scientifiche in quell’area dell’Africa, e che questa specie è considerata a rischio di estinzione a livello mondiale, nel 2016, insieme alla professoressa Roberta Bettinetti, a capo del Laboratorio di Ecologia delle Acque dell’Università degli Studi dell’Insubria, abbiamo avviato un progetto di ricerca per studiare l’ecologia di questi animali e supportarne la conservazione. Per questo da cinque anni a questa parte trascorro diversi mesi invernali nel Golfo di Tadjoura, in Gibuti, a bordo del caicco Elegante che ospita ogni settimana subacquei da tutto il mondo interessati a immergersi con questi animali. Vivere in questi luoghi è sicuramente un’esperienza unica che mi proietta in una dimensione completamente diversa da quella a cui siamo abituati in Italia. Ogni domenica salpiamo dal porto di Gibuti e ci dirigiamo nel mezzo del Golfo del Tadjoura, dove trascorriamo cinque giorni circondati da squali balena e reef incredibili. Solo il giovedì, ci troviamo ancorati vicino alle altre due imbarcazioni che organizzano crociere subacquee ma anche queste, dopo tanti anni trascorsi nel Gibuti, sono diventate come una seconda casa.

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Oltre a squali e subacquei, ogni tanto incrociamo militari di diversa nazionalità, tendenzialmente francesi visto che a fianco alla baia degli squali balena si trova il loro centro di addestramento. Ricordo di quando, mentre ero in acqua cercando di fare la foto-identificazione degli squali, ho alzato lo sguardo e mi sono trovata una decina di paracadutisti poco lontano da me che stavano facendo prove di atterrando sull’acqua. Altre volte, nel mezzo della notte, vediamo i razzi di segnalazione lanciati dietro le montagne vicine, che illuminano il cielo e lo colorano di arancione. Alcune mattine ci svegliamo con il boato delle bombe proveniente dalla base militare vicina, altre volte ci divertiamo a osservare i caccia allenarsi sopra le nostre teste o i militari fare manovra con l’overcraft. Ricordo di aver conosciuto un militare francese che pilotava gli elicotteri e ovviamente non ho perso l’occasione per chiedergli di comunicarmi la posizione degli squali quando sorvolava la nostra posizione. A distanza di un anno da quell’incontro, mentre eravamo sui gommoni alla ricerca degli squali con un bel mare mosso e il sole prossimo al tramonto, da dietro la collina compaiono due elicotteri: ci raggiungono, si posizionano sopra le nostre teste, aprono i portelli e mi salutano, dopo di che hanno sorvolato tutta la baia, fermandosi sopra a ogni squalo che incontravano, indicandocelo con i fucili. Solo nel Gibuti possono succedere esperienze del genere!

Per quanto riguarda le mie attività di ricerca, i campionamenti spaziano dalla raccolta e analisi di campioni di zooplancton, che sono gli organismi di cui gli squali balena si nutrono, a biopsie cutanee, per determinare lo stato di salute di questi animali; visual surveys e anche attività di foto-identificazione. Gli squali balena, infatti, hanno la particolarità di avere un pattern unico di punti e linee, equivalente a una nostra impronta digitale, che permette l’identificazione di ogni esemplare fotografato. Questo ci ha permesso di catalogare più di 200 squali diversi e di scoprire che una buona parte di questi animali torna anno dopo anno nel Golfo di Tadjoura. Un’altra particolarità è che gli squali balena che si aggregano in quest’area sono tutti giovani esemplari sui 4 metri (un adulto può raggiungere i 18 metri), e tendenzialmente maschi. In realtà, nell’Oceano Indiano questo dato non è insolito, infatti in quasi tutte le aggregazioni vicine (Mozambico, Tanzania e Seychelles…) la situazione è simile alla nostra, anche se i “loro” squali sono mediamente un po' più grandi. E qui arriviamo a uno dei quesiti ancora irrisolti: dove vanno le giovani femmine?

Dall’analisi dei campioni raccolti, abbiamo scoperto che gli squali arrivano nel Gibuti in autunno perché attratti da un grande aumento di prede zooplanctoniche che si verifica grazie a fenomeni di upwelling, ovvero di risalita di acque profonde ricche di nutrienti, che favoriscono un aumento della produttività primaria locale. Quindi possiamo considerare il Golfo di Tadjoura come una sorta di pit stop alimentare per i giovani squali balena che abitano il Corno d’Africa. Con l'arrivo del monsone invernale, questo fenomeno diminuisce, provocando così un declino della biomassa di zooplancton e quindi la scomparsa degli squali balena. Questo ci ha portato a ipotizzare che gli animali lascino il Gibuti verso altri siti alimentari, rendendoli, però, potenzialmente vulnerabili ad attività di pesca. Infatti, mentre il Governo del Gibuti ha adottato misure di protezione per la conservazione di questa specie vietandone la cattura e il commercio, i paesi vicini, quali Yemen e Somalia, pescano regolarmente squali vanificando potenzialmente gli sforzi di protezione messi in atto nel Golfo di Tadjoura. In questo contesto, nel 2018 sono stata finanziata dal National Geographic Society per monitorare gli spostamenti degli squali balena nel Golfo di Aden e fornire, quindi, informazioni utili per un piano di gestione regionale per la conservazione di questa specie. In collaborazione con un team di ricerca internazionale, che include lo Shark Research Institute (USA), Sundive Byron Bay (Australia) e il Centre d' Etudes et de Recherche de Djibouti, nel 2019, abbiamo iniziato il monitoraggio degli spostamenti degli squali balena con l’utilizzo di tag satellitari, dispositivi che permettono di tracciarne i movimenti. Grazie a questi strumenti, stiamo lavorando oggi con le autorità gibutiane per la creazione di aree marine protette per implementare la protezione di questi animali. Per quanto riguarda le loro migrazioni ad ampio raggio, abbiamo visto che gli squali taggati finora, una volta lasciato il Gibuti, si sono diretti verso il Mar Rosso, supportando così l'ipotesi di una connettività regionale tra quest’ultimo e il Golfo di Aden. Non solo, uno dei nostri squali, chiamato Max, in pochi giorni si è spostato dalle acque territoriali gibutiane a quelle yemenite e ancora a quelle eritree, rivelando spostamenti transfrontalieri in zone potenzialmente pericolose per la sopravvivenza di questa specie. Questo da una parte rafforza sicuramente l’importanza del nostro monitoraggio, dall’altra evidenzia la necessita di creare al più presto un piano regionale tra i paesi che si affacciano sul Golfo di Aden per la salvaguardia di questi animali.

Oltre alle ricerche africane, di recente mi sto occupando anche di cetacei nel Mar Mediterraneo per la Fondazione One Ocean. I cetacei, al pari degli elasmobranchi (squali e razze), sono animali molto importanti per la salute dei nostri mari, ma spesso minacciati dalle nostre attività umane. Per tutelare la biodiversità marina nell’area del Canyon di Caprera, un grande sistema di canyon sottomarini a nord est della Sardegna, la Fondazione One Ocean sta promuovendo diverse attività di ricerca al fine di realizzare una IMMA - area di importanza per i mammiferi marini. Infatti, nell’area del Canyon di Caprera, è possibile avvistare ben 7 delle 8 specie di cetacei comunemente presenti nei nostri mari, oltre che diverse specie di squali e tartarughe marine. Quindi insieme al CMRE – NATO (La Spezia), stiamo realizzando diverse attività scientifiche come, per esempio, un monitoraggio acustico per lo studio dell’ecologia e del comportamento di varie specie, soprattutto i cosiddetti deep divers ovvero zifio e capodoglio che sono in grado di immergersi per lungo tempo a grandi profondità. Questo tipo di monitoraggio permetterà, inoltre, di valutare il possibile impatto dell’inquinamento acustico nell’area del Canyon di Caprera e proporre azioni dedicate. Il rumore, infatti, è una forma d’inquinamento marino che impatta la vita e la salute dei cetacei. Per questi animali, l’importanza dell’udito è paragonabile a quella della vista nell’uomo e garantire loro la possibilità di continuare a servirsi dei suoni equivale a garantirne la sopravvivenza. I rumori antropici, infatti, non solo possono stressare gli animali, portandoli potenzialmente anche all’abbandono di aree importanti per la loro sopravvivenza, ma anche a modifiche del comportamento, e nei casi più gravi, causare danni al sistema uditivo. Oltre alle attività acustiche, per la Fondazione One Ocean abbiamo iniziato anche la raccolta di DNA ambientale, ovvero di tracce di DNA lasciate dagli organismi nell’ambiente marino. Questo tipo di campionamento rappresenta un nuovo approccio del tutto non invasivo che serve per monitorare la biodiversità marina, comprese specie rare, criptiche o vulnerabili all’estinzione. E per finire, la Fondazione sponsorizza anche dei monitoraggi visivi che permettono la racconta di dati sulla presenza, distribuzione e movimenti degli animali al Canyon di Caprera. Queste tre macro-aree di ricerca hanno l’obiettivo di produrre evidenze scientifiche che permetteranno di avere il riconoscimento IMMA e successivamente misure di tutela per questo importante hotspot di biodiversità.