Revenge porn: ovvero, quando un uomo decide di rovinare la reputazione di un genere intero, quello maschile, danneggiando milioni di bravi ragazzi che mai si azzarderebbero di mettere online per vendetta le foto delle proprie ex nei momenti intimi con loro. Minando quindi la fiducia di ogni donna, perché da quando sono accaduti i primi casi (non vanno mai dimenticate le storie di Tiziana Cantone e Michela Deriu), non si può più vivere il piacere di lasciarsi andare a un legittimo gioco erotico, come quello di essere fotografata in atteggiamenti audaci, senza chiedersi "posso fidarmi davvero di lui?". Il 25 maggio esce in Italia Sotto il suo occhio di Giulia Seri, il secondo volume della serie antologica Wildworld di Transeuropa Edizioni, una collana che riadatta e mescola fatti di cronaca ottenendo storie nuove sul concetto del “realismo aumentato”.

Sotto il suo occhio racconta la storia di una ragazza di provincia che s’innamora di un giovane fotografo, sostenuto nella sua ambizione da un inseparabile amico d’infanzia. Fra i tre si crea un legame pieno di ambiguità e frustrazione che culmina in una notte di sesso immortalata con il cellulare. Non molto tempo dopo la ragazza viene licenziata, i vicini non la salutano, sconosciuti la insultano o le gridano sconcezze. Non riesce a capire cosa stia succedendo, finché un giorno le viene confidato da una conoscente che sul web girano immagini porno di cui è protagonista. Chi ha diffuso quel filmato sui server di mezzo mondo? In esclusiva per MarieClaire.it un estratto del libro.

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Cecilia Grandi / Tuttotonno

Una mattina non avevo troppe cose da sbrigare. Avevo già chiuso la maggior parte delle pratiche che stavo seguendo e mi ero messa a bere un caffè sulla terrazza, prima di riaccendere il pc. Dovevo aggiungere zucchero e latte in abbondanza, per farmi piacere la bevanda del distributore. Poi fumavo una sigaretta e guardavo l’orizzonte, anche se non vedevo un gran panorama: qualche albero piantato lungo i passeggi e un’ampia strada a tre corsie. Ricordo che Marisa si avvicinò e mi chiese cosa ci facessi sul balcone. Lei lavorava lì da prima che arrivassi. Faceva le pulizie e riordinava gli armadi. Non era una mansione elementare, perché per maneggiare carte e documenti serviva qualcuno che ci mettesse un minimo di testa e lei era perfetta: semplice e sveglia. Arrivava presto in ufficio e la maggior parte delle volte, al mio ingresso, la trovavo già con la scopa in mano, mentre rassettava i bagni o spolverava qualche scrittoio. […]

D’un tratto mi si fece più vicina, allungò una mano e mi afferrò l’avambraccio. Mi strattonò appena, poi abbassò lo sguardo e si avvicinò al mio orecchio:«Guarda quella roba in giro, ovunque capiti. Non riesce a farne a meno,» fece una pausa e poi continuò: «Gli uomini sono fatti così, lo so bene! Ma lui va oltre: la sua è un’ossessione!» e allungò la vista in un punto preciso, come se avesse scorto qualcosa di rilevante. Un ricettacolo di sporcizia? Non sapevo se domandarle a cosa si riferisse. Onestamente non mi incuriosivano i problemi di suo figlio, ne avevo a sufficienza dei miei, e in più sembrava quasi non badare a me, come se in fondo non le importasse di avere la mia attenzione.

Restò zitta per qualche istante: non aveva lasciato la presa, faceva pressione sul mio braccio e di tanto in tanto spostava qua e là la punta del piede. Raccontò altro. Il ragazzo abbassava gli scuri, si chiudeva in camera e ci restava per ore; ogni tanto metteva la musica alta, di quella che ascoltano i giovani, ma alle volte il volume della radio non si sentiva, non si udiva alcun rumore a parte la sedia che grattava sul pavimento.
«So bene cosa fa,» sgranò gli occhi.
Posai il palmo sulla sua mano e dissi a voce bassa che si era fatta ora di andare o avrei peggiorato la mia situazione. In verità non mi interessava né del lavoro né tanto meno di lei e delle sue fissazioni: ne avevo abbastanza di tutta quella storia e soprattutto non capivo perché mai la stesse raccontando a me. Ma quella sembrava non essersi accorta del mio disagio. Alzò la testa, mi guardò dritta negli occhi e poi disse che una volta il ragazzo aveva lasciato la porta della camera socchiusa. Ogni tanto lo faceva, anche se in genere era ben attento a chiudere il pc con la password, ma quella volta se n’era dimenticato. Allora si era guardata alle spalle ed era entrata nella stanza, si era avvicinata al tavolo e aveva sollevato lo schermo del computer. Ci capiva poco di tecnologia, ma non dovette far nulla. Dritto davanti a lei c’era il riquadro di un video: si chinò, e dopo essersi appuntata gli occhiali sul naso si mise a osservare l’immagine.
«Eri tu…» […]
Che fosse stato Diego a caricare i video? O forse Vincenzo? E perché mai lo avrebbero fatto?
Mi sentii persa. In quel frangente un flusso di pensieri mi inondò e tra la confusione ricollegai gli avvenimenti degli ultimi giorni.

Sentivo le guance infuocarsi per il sangue che pulsava a fior di pelle. Alzai il busto e scossi la testa. Forse era un eccesso, una specie di alienazione mentale che stavo subendo per lo shock. Cercai di respirare: riempivo piano i polmoni e soffiavo aria fuori dal naso, ma invece di calmarmi mi prendeva un lieve senso di vuoto allo stomaco e dei brividi mi contorcevano il ventre.
Quella sera restai in ufficio a lungo, fino alle nove passate. Aspettai finché non fui certa che se ne fossero andati tutti; poi rimasi oltre, per essere sicura che non tornasse nessuno: non volevo mai più vedere Marisa in faccia né incontrare qualcuno tra i corridoi.

Quando rientrai in casa mi scordai di chiudere la porta d’ingresso e corsi in cucina. Diego non c’era e presi il suo pc dalla borsa, andai in camera, mi sfilai le scarpe senza slacciarle e con il cappotto indosso mi sedetti in punta al letto. Aprii lo schermo, avviai la macchina, poi attesi qualche istante prima di digitare la ricerca e solo allora mi accorsi che in rete una sfilza di diciture riportavano la mia immagine.
Trasalii – come potevano essere così tante? –, mi tremavano le mani e un nodo mi serrava la gola ormai secca. Non ero affatto certa di voler proseguire lo strazio, un senso di terrore mi pervase le viscere.
Mi adagiai sul letto sistemando il cuscino dietro alle spalle, poi mi portai una mano alla fronte: era sudata. Sospirai a lungo e dopo essermi scansata i capelli dagli occhi feci partire uno dei link.

La prima cosa che vidi fu il primo piano deformato dalla vicinanza della telecamera. Gli occhi sembravano molto più grandi e sovradimensionati rispetto al resto del viso; le guance erano leggermente arrossate e i capelli spettinati cadevano in parte sulla fronte mentre altri contornavano gli zigomi. Il filmato era pessimo e la sequenza confusa, ma qualcosa non mi convinceva. La ripresa non era ferma. L’immagine tremava e di tanto in tanto sobbalzava come se il telefono fosse stato sbattuto o fosse scivolato dalle mani di chi lo reggeva, tanto da rendere difficile distinguere con precisione i frame: Diego e Vincenzo non erano riconoscibili. Guardai la parete sullo sfondo: era sgombra – quando avevamo tolto le stampe appese ai muri? –, e la luce che entrava nella stanza faceva uno strano effetto, come se la finestra fosse esposta a sud: che fosse dovuto alla presenza del volto che occupava la maggior parte dello schermo? […]

L’inquadratura si spostò leggermente verso il basso tanto da mostrare in primo piano il collo e i seni. Di tanto in tanto appariva una mano che si posava sui capezzoli e copriva l’immagine. Vidi le labbra e la lingua impastate di saliva che si contorcevano e allora trattenni il respiro, mi portai le mani alla bocca e sgranai gli occhi; poi indietreggiai con le ginocchia sul materasso mentre scuotevo la testa e mi arrestai solo quando le gambe trovarono il lenzuolo sotto cui ripararsi. L’oggetto della ripresa era cambiato, ora mostrava il volto e solo allora fui certa che non si trattasse di me. Chi era quella donna e perché aveva messo il video in rete?

Trascorsi la notte a guardare. Ero sconcertata: mi assomigliava in tutto e per tutto. La forma dei lineamenti, il taglio di capelli, la corporatura e la sagoma del profilo. Era impressionante. Solo la voce appariva diversa. La sua era più bassa e pronunciava le vocali con un tono aperto biascicando lievemente in chiusura delle frasi.

Era disinvolta. Si atteggiava con sorrisi e rivolgeva sguardi allusivi alla telecamera. Sembrava essere del tutto a suo agio nelle riprese. Muoveva le mani con tranquillità, sorrideva e districava il corpo in tutta naturalezza. Era sicura di sé e lasciava trasparire un senso di piacere; come se godesse dall’essere filmata nell’aspetto più intimo della sua essenza.

In un’altra scena arricciava le labbra, le inumidiva passandosi la lingua tutt’attorno e poco dopo lanciava un bacio verso l’inquadratura. Rideva e si passava le dita tra i capelli per sistemarli sulla fronte, poi alzava una spalla, sbatteva le ciglia e si abbassava una bretella dell’intimo che aveva indosso. Di tanto in tanto si allontanava dalla ripresa, allora si vedevano il busto regolare e le lunghe gambe affusolate, mentre dalla sottoveste sbucava la pelle ambrata delle cosce che mostrava a poco a poco sollevando la stoffa di qualche centimetro.

D’un tratto il volto tornava sotto l’inquadratura e mi rivolgeva quel suo sguardo allusivo; attorcigliava i capelli sopra alla nuca e si voltava verso il mirino. Poi inarcava la schiena e si sfilava l’altra spallina perché la sottoveste scivolasse a terra; per qualche istante esibiva il corpo nudo e infine si portava una mano alla bocca per nascondere una risata.

A guardarla bene, la sua sagoma era in sintonia coi movimenti e per quanto fosse grossolana con la sua voce indelicata, la nota di malizia che le compariva in volto rendeva il video attraente, come se il contesto in cui era stato fatto fosse del tutto istintivo. Non riuscivo a staccarmi dal monitor. Avrei voluto allungare una mano oltre lo schermo e toccarle una gamba o sfiorarle una spalla. Fermavo i fotogrammi e restavo a osservare la rotondità delle natiche, le scanalature dei fianchi e gli addominali piatti che divergevano all’altezza del pube. Riavviavo il video e quando terminava lo facevo ripartire. La guardavo e la riguardavo. Era provocante e ammirare le sue movenze dava una sensazione di appagamento; il desiderio di esplorare le sue forme si accendeva nello stomaco e si irrorava dal basso ventre lungo la spina dorsale fino a inebriarmi il cervello: trasmetteva una carica erotica dalla quale non era semplice sottrarsi.

Le condivisioni erano nell’ordine delle centinaia di migliaia o dei milioni, a seconda della notorietà del sito che visitavo. Alle sei di mattina stropicciai gli occhi e guardai fuori dalla finestra. Il cielo cominciava a schiarirsi, non c’erano nuvole ed ebbi l’impressione che la giornata sarebbe stata luminosa. Ero stanca. Avevo il corpo vitreo, arrossato, e sentivo le orbite appesantite. Mi facevano male i muscoli delle spalle e la nervatura della schiena si stirava con dolore al più piccolo movimento. Mi portai le mani alle tempie, mi sdraiai e allungai i piedi sul fondo del letto. Era una situazione paradossale. Cercavo di capire per quale motivo avesse messo in piedi tutto lo sceneggiato, ma per quanto mi sforzassi non trovavo alcuna ragione. Non sapevo se fosse a conoscenza della mia persona né se fosse al corrente della mia relazione con Diego e di tutto quello che avevo passato negli ultimi mesi. Che si fosse resa conto della nostra somiglianza e l’avesse usata per mettermi alla gogna? In ogni modo restava oscuro il motivo che l’avesse spinta a tanto. Feci un sospiro profondo e mi rigirai sul materasso, chiusi gli occhi e solo quando riuscii a liberare la mente da quei pensieri mi assopii in un dormiveglia sgradevole. Non saprei dire cosa sognai, ma al risveglio ero sudata, avevo delle palpitazioni e un profondo senso d’ansia mi attanagliava lo stomaco. Doveva essere ormai tarda mattina o primo pomeriggio e Diego di certo non si sarebbe visto prima di sera. Se mai fosse riapparso. Dubitavo che fosse al corrente della situazione. Non potevo credere che mi avesse tenuta all’oscuro di tutto, ma in quel frangente non avevo nessun appiglio per pensare che fosse estraneo all’accaduto.

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Sotto il suo occhio, Giulia Seri, Transeuropa Edizioni (14,37 euro su transeuropa.it)